02. Psyche nel Nuovo Testamento

02. Psyche nel Nuovo Testamento

La parola greca psyche, anima, è usata nel Nuovo Testamento secondo i significati propri dell’ebraico nefesh che abbiamo già esaminato al capitolo 2. Vale la pena considerare brevemente il significato di psyche, ponendo particolare attenzione al significato più ampio del termine, alla luce degli insegnamenti e della redenzione di Cristo.

É la persona intera

L’anima psyche nel Nuovo Testamento indica l’intera persona nello stesso modo in cui nefesh la indica  nell’Antico Testamento. Per esempio, nella sua difesa davanti al Sinedrio, Stefano menziona che «settantacinque anime (psyche)» della famiglia di Giacobbe scesero in Egitto (At 7:14), figura e usanza, queste, presenti nell’Antico Testamento (cfr. Gn 46:26, 27; Es 1:5; Dt 10:22). Nel giorno della Pentecoste, «tremila anime (psyche)» (Atti 2:41) furono battezzate e «ogni anima (psyche)» era presa da timore (At 2:43). Parlando della famiglia di Noè, Pietro dice «otto anime (psyche) furono salvate attraverso l’acqua» (1Pt 3:20).

È evidente in testi come questi, che il termine anima è usato come sinonimo di persona. In questo contesto, merita considerare la nota promessa di Cristo del riposo per le «anime» di coloro che accettano il suo giogo (Mt 11:28). L’espressione «riposo per le vostre anime» deriva da Geremia 6:16, in cui il riposo per l’anima è promesso a quanti camminano secondo i comandamenti di Dio. Circa il riposo che Cristo offre all’anima, Edward Schweitzer dice: «siamo assai lontani dalla mentalità greca, secondo la quale l’anima trova riposo quando è liberata dal corpo. Qui è mantenuta ferma l’unità e la totalità dell’uomo. Proprio nel suo corporeo agire in ubbidienza l’uomo troverà il riposo in Dio».[1]

Cristo dà riposo (pace interiore e armonia) alle anime di quanti accettano la sua grazia e la sua salvezza («venite a me») e vivono secondo i principi di vita che egli ha insegnato e vissuto («imparate da me»).

È vita

La traduzione più frequente della parola psyche nel Nuovo Testamento è «vita» (46 volte),[2] In questi casi psyche si riferisce alla vita fisica. Nel pieno della tempesta, Paolo rassicura i membri della nave che «non vi sarà perdita della vita per nessuno di voi ma solo della nave» (At 27:22; cfr. 27:10). In questo contesto, psyche è correttamente tradotto «vita» perché Paolo sta parlando della perdita di vite umane. Un angelo disse a Giuseppe: «Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che cercavano di uccidere il bambino » (Mt 2:20). Questi sono alcuni dei numerosi testi che fanno riferimento alla ricerca, alla soppressione e alla salvezza dell’anima e che aiutano a capire che l’anima non è una parte immortale della natura umana, ma la vita fisica stessa, esposta ai pericoli. Come nell’Antico Testamento anche la psyche smette di esistere quando il corpo muore.

Gesù associava l’anima con il cibo e le bevande: «Non siate in ansia per la vostra vita (psyche), di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita (psyche) più del nutrimento, e il corpo più del vestito?» (Mt 6:25). Qui l’anima è associata al nutrimento e ai vestiti (per coprire il corpo). Associando l’anima con cibo e bevande, Gesù mostra come essa includa l’aspetto fisico della vita, anche se ritiene che la vita valga più del cibo e delle bevande. I credenti possono elevare i propri desideri e pensieri verso le cose celesti e meditare sulla vita eterna. In questo modo, Gesù ha esteso il significato dell’anima alla ricerca di un senso più elevato, cioè la vita eterna che in lui è stata donata all’umanità. Rimane il fatto, però, che associando l’anima agli alimenti e alle bevande, Cristo mostra come l’anima costituisca l’aspetto fisico dell’esistenza e non una componente immateriale della nostra natura.

Salvare l’anima perdendola

Abbiamo già trovato nell’Antico Testamento l’uso di nefesh associato frequentemente all’incertezza della vita, al rischio di ricevere un danno e perfino alla distruzione. Gli antichi israeliti erano preoccupati della salvezza, liberazione, restaurazione e sicurezza dell’anima come anche di sostenerla con il cibo. In un simile contesto, i giudei dovevano provare imbarazzo nell’udire Cristo affermare: «Chi vorrà salvare la sua vita (psyche), la perderà; ma chi perderà la sua vita (psyche) per amor mio e del vangelo, la salverà» (Mc 8:35; cfr. Mt 16:25; 10:39; Lc 9:24; 17:33; Gv 12:25).

L’impatto sui giudei dell’affermazione di Cristo deve essere stato enorme, visto che aveva l’audacia di proclamare che le loro anime potevano essere salvate solo se fossero state perse per causa sua. Il paradosso della salvezza dell’anima dopo averla persa era sconvolgente per i giudei perché esso è assente nell’Antico Testamento. Cristo con la sua vita ha dimostrato in maniera concreta il proprio insegnamento, concludendo la sua vita mediante la crocifissione. Egli venne «per dare la sua vita (psyche) come prezzo di riscatto per molti» (Mt 20:28). Come il buon pastore, «dà la sua vita per le pecore» (Gv 10:11).

L’insegnamento di Gesù secondo cui per salvare la propria vita bisogna essere disposti a rinunciare a essa permette al Maestro di ampliare il concetto di nefesh degli scritti ebraici. L’anima è sì la vita fisica, ma Gesù vi include la vita eterna che è offerta a coloro che sono disposti a donare la propria esistenza (anima), per causa sua.

L’evangelista Giovanni conferma questo significato ampliato di anima: «Chi ama la sua vita (psyche), la perde, e chi odia la sua vita (psyche) in questo mondo, la conserverà in vita eterna» (Gv 12:25). La correlazione fra «questo mondo» e «vita eterna» indica come il termine anima sia applicato a entrambi i riferimenti: vita terrena e vita eterna.

La comprensione di Giovanni delle parole di Gesù dimostra che l’anima non debba essere considerata immortale, «altrimenti» afferma Edward Schweitzer, «non potremmo essere invitati a odiarla. Psiche resta la vita che è data all’uomo da Dio, ma che poi dal comportamento dell’uomo di fronte a Dio riceve il suo carattere mortale o eterno… Quindi non si parla mai della psyche aionios o athanatos (anima eterna o immortale), ma solo della psyche (anima) dotata e preservata da Dio per la zoe aionios (vita eterna)».[3]

Il significato dell’anima come vita eterna è presente anche in Luca 21:19, dove Cristo dice: «Con la vostra costanza salverete le vostre vite (psyche)». Il contesto indica come Cristo non stia parlando della conservazione della vita terrena giacché predice che alcuni suoi seguaci saranno traditi e uccisi (v. 16). Qui psyche è da comprendere come la vita eterna ottenuta da quanti vogliono impegnarsi totalmente, sacrificandosi per Cristo. La promessa che la vita sarà salva quando è spesa per Cristo mostra la vita autentica che egli offre a coloro che lo accettano come personale Salvatore. La vita in Cristo non è diversa dalla vita naturale perché è quella vissuta da quanti sono liberati dal pensiero di conservarla. Si tratta di una vita libera, pienamente realizzata ricca di significato e che porta a compimento l’esistenza biologica stessa. Questo è il significato più ampio che Cristo dà all’anima; beninteso è assente la nozione di un’anima immateriale e immortale coesistente con il corpo.

La chiesa apostolica ha annunciato il senso ampliato dell’anima, vivendo e consacrandosi totalmente al Salvatore. Giuda e Sila sono stati uomini che «hanno messo a repentaglio la propria vita (psyche) per il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (At 15:26). Epafrodito ha rischiato «la propria vita (psyche)» per il servizio di Cristo (Fil 2:30). Lo stesso apostolo Paolo ha detto: «Ma non faccio nessun conto della mia vita (psyche), come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine [con gioia] la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio» (At 20:24). Se Paolo fosse stato convinto dell’immortalità dell’anima è molto improbabile che l’avrebbe vista quasi senza valore e degna di essere persa a causa del Vangelo. Questi testi mostrano che la chiesa apostolica accettava praticamente il significato ampio dell’anima, vivendo una vita di totale impegno e di sacrificio per Cristo. I credenti avevano capito che la loro anima, come vita fisica, poteva essere salvata soltanto consacrandola al servizio di Cristo.

L’errore maggiore che si possa commettere è guadagnare tutto il mondo e perdere l’anima (psyche) (cfr. Mc 8:36). È questa la vita che trascende la morte, l’oggetto primario della redenzione (cfr. Eb 10:39; 13:17; Gc 1:21; 1 Pt 1:9,22). Mentre il termine «anima» è usato meno frequentemente nel Nuovo Testamento rispetto all’Antico, questi passi chiave, però, ne indicano un significato più ampio: la vita eterna donata a coloro che sono pronti a dimenticare se stessi e a vivere una vita consacrata al Signore.

In rari casi l’anima nefesh è usata nell’Antico Testamento per indicare la vita che trascende la morte. Un esempio è il Salmo 49:15: «Ma Dio riscatterà l’anima mia dal potere del soggiorno dei morti, perché mi prenderà con sé». Questo significato di anima intesa come vita oltre la morte viene sviluppato dall’insegnamento di Gesù con il perdere e trovare l’anima. La continuità fra la vita presente e quella futura è garantita non dall’immortalità dell’anima, ma dalla fedeltà a Dio che darà la vita eterna ai credenti.

La vita fisica e quella eterna non sono due realtà distinte, perché entrambe sono donate da Dio. L’anima racchiude ambedue perché la vita eterna è la vita fisica vissuta per Dio. Dopo tutto, la vita fisica è l’unica forma di esistenza che si conosca, ma il significato ambivalente dell’anima serve a ricordare che la vita umana non è soltanto salute e ricchezza, ma vita in relazione con Dio.

Il duplice significato biblico dell’anima come vita fisica ed eterna nega la distinzione ellenistica tra corpo e anima, tra vita sulla terra con il corpo e nel cielo con l’anima. Secondo la prospettiva biblica, la vita del corpo costituisce la vita dell’anima, perché il modo in cui una persona vive la vita presente determina il suo destino futuro, vita eterna o distruzione eterna. L’anima, allora, non è una sostanza che sopravvive alla morte del corpo; è la vita che si vive attraverso la grazia di Dio e che sarà rivelata e compiuta da Dio al giudizio finale.

Anima e carne

Un testo importante nel Nuovo Testamento pone l’anima psyche in chiara antitesi con la carne sarx. Si trova in 1 Pietro 2:11 dove l’apostolo dice: «Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali (sarx) concupiscenze che danno l’assalto contro l’anima (psyche)». Edward Schweitzer afferma che questo è l’uso più ellenistico dell’anima nel Nuovo Testamento, dal momento che l’evidente antitesi fra l’anima (psyche) e la carne (sarx) può suggerire una componente dualistica della natura umana.[4]

Uno sguardo più attento al testo mostra come Pietro fosse influenzato non dal dualismo greco, ma dalla comprensione dell’anima dell’Antico Testamento. Nelle Scritture ebraiche abbiamo già visto in quanti modi la nefesh fosse costantemente in pericolo e quanto avesse bisogno di essere protetta. Lo stesso tema è presente nell’ammonizione di Pietro. La differenza è che Pietro si riferisce a un nemico che agisce sull’anima dall’interno stesso dell’uomo: le passioni carnali che guerreggiano contro l’anima e inducono la persona a vivere solo per soddisfare gli appetiti fisici.

Pietro vede l’anima non come entità immateriale che sopravvive alla morte del corpo, ma come vita della fede santificata dall’ubbidienza alla verità rivelata di Dio. Riprende il pensiero con queste parole: «Benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime (psyche)» (1 Pt 1:8,9). «Avendo purificato le anime (psyche) vostre con l’ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor fraterno…» (v. 22). Siccome la salvezza dell’anima (vita eterna) è il risultato di una vita di ubbidienza fedele alla verità, le passioni carnali minacciano l’anima (vita eterna), perché causano a una persona di vivere in maniera infedele e disubbidiente alla verità. Così, l’antitesi fra la carne e l’anima, in questo passo, è etica e non ontologica; è fra una vita di disubbidienza (carne) e una di ubbidienza (anima). Più avanti vedremo in che modo Paolo esprime la stessa antitesi nel contrasto tra la carne e lo spirito.

Dio può distruggere l’anima

Il senso più ampio del termine anima (psyche) ci permette di comprendere quel famoso detto di Gesù, troppe volte frainteso: «E non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima (psyche); temete piuttosto colui che può far perire l’anima (psyche) e il corpo nella geenna» (Mt 10:28; cfr. Lc 12:4). I dualisti fanno leva su questo versetto per sostenere l’idea che l’anima è una sostanza immateriale che è salvaguardata e sopravvive alla morte del corpo.

Robert A. Morey, per esempio, afferma: «Qui Cristo (Mt 10:28) dice chiaramente che, mentre noi possiamo uccidere e sopprimere la vita fisica di un corpo, non possiamo uccidere o sopprimere l’anima, e cioè il trascendente immateriale, la mente o l’ego. Egli utilizza la dicotomia del corpo anima che si trova in tutta la Scrittura».[5]

Quest’interpretazione riprende la comprensione dualistica greca della natura umana e non il concetto unitario delle Scritture. Il riferimento alla potenza di Dio per distruggere l’anima (psyche) e il corpo nella geenna nega la nozione di un’anima immateriale e immortale.

Come può l’anima essere immortale se Dio la distrugge con il corpo nel caso di peccatori impenitenti? Oscar Cullmann giustamente nota: «Il detto di Gesù, spesso citato (Mt 10:28), non suppone affatto la concezione greca come se l’anima non avesse necessità del corpo. Il seguito mostra giustamente che tale non è il caso».[6] Nel paragrafo precedente abbiamo visto che Cristo ha ampliato il significato dell’anima psyche per indicare non solo la vita fisica, ma anche la vita eterna, offerta a coloro che credono e stabiliscono un’alleanza con lui. Questo testo, alla luce del significato dato da Gesù si può comprendere in questo modo: «Non temete coloro che possono privarvi dell’esistenza terrena (soma) e non possono annullare la vita eterna in Dio (psyche); temete piuttosto Dio che può distruggere per sempre il vostro essere intero».

La morte dell’anima

L’insegnamento di Cristo difficilmente conduce all’immortalità dell’anima. Egli insegna in che maniera Dio può distruggere sia l’anima sia il corpo. Edward William Fudge osserva giustamente che «a meno che Gesù stia facendo minacce vane, l’avvertimento stesso implica che Dio eseguirà una tale sentenza su quelli che ostinatamente si ribellano alla sua autorità e resistono a ogni proposta di misericordia».[7] Fudge continua: «L’avvertimento di nostro Signore è chiaro: la capacità dell’uomo di togliere la vita si limita al corpo e solo nel tempo presente. La morte che l’uomo infligge non è finale, perché Dio chiamerà i morti dalla terra e darà ai giusti l’immortalità. La capacità di Dio di uccidere e distruggere è senza limite, va ben oltre l’aspetto fisico e il presente. Dio può distruggere il corpo e l’anima, ora e nell’avvenire».[8]

Luca riporta le parole di Gesù, tralasciando il riferimento all’anima: «Non temete quelli che uccidono il corpo ma, oltre a questo, non possono far di più. Io vi mostrerò chi dovete temere. Temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella geenna. Sì, vi dico, temete lui» (12:4,5). Luca tralascia l’anima (psyche) e si riferisce invece alla persona intera che Dio può distruggere nella geenna. È possibile che l’omissione del termine anima sia stata intenzionale per impedire un malinteso nei lettori non ebrei abituati a considerare l’anima come una componente indipendente e immortale che sopravvive alla morte. Per rendere chiaro che niente sopravvive alla distruzione di Dio, Luca omette di parlare dell’anima.

La conferma di questa interpretazione è fornita in Luca 9:25, dove di nuovo tralascia il termine anima: «Infatti, che serve all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso (eauton)?». Presumibilmente, Luca utilizza il pronome «se stesso» invece dell’anima (psyche), come invece è usato in Marco 8:36, perché quest’ultima definizione, come suggerisce Edward Schweitzer, «potrebbe essere erroneamente intesa come punizione dell’anima dopo la morte»;[9] usando invece il pronome «se stesso», Luca intende la parola di Gesù come riferita alla perdizione dell’intera persona.

Quando si tiene presente il concetto di anima così come Cristo lo ha ampliato, allora il significato delle sue parole diventa più chiaro. Uccidere il corpo significa togliere la vita presente sulla terra. Ma questo non uccide l’anima, cioè la vita eterna ricevuta da quelli che hanno accettato la salvezza di Cristo. Togliere la vita presente significa mettere una persona a dormire, ma una persona non è totalmente distrutta fino alla «morte seconda», l’espressione biblica più simile a ciò che comunemente si chiama «inferno».

Il significato delle parole di Gesù (cfr. Mt 10:28), è illustrato dalla sua dichiarazione in merito alla figlia di Iairo: «La bambina non è morta, ma dorme» (Mt 9:24). In realtà, era effettivamente morta («uccidere il corpo») ma, siccome doveva svegliarsi alla risurrezione, si poteva giustamente dire che dormisse. Nello stesso modo, tutti i defunti sono in attesa del loro destino finale: se hanno vissuto in favore o contro Cristo Gesù essi potranno ottenere la salvezza eterna o la perdizione eterna. Quest’ultima costituisce la distruzione del corpo e dell’anima nella geenna di cui parla Gesù.

La conservazione dell’anima nell’insegnamento di Gesù non è un procedimento automatico insito nella potenza dell’anima stessa, ma un dono di Dio a coloro che sono pronti a sacrificare la loro anima (la vita) per lui. In questo modo l’anima è strettamente collegata al carattere o alla personalità del credente.

Persone o potenze malvagie possono distruggere il corpo, cioè la vita fisica, ma non possono distruggere l’anima, il carattere o la personalità di un credente. Dio ha impegnato se stesso nel conservare l’individualità,

la personalità e il carattere di ogni credente. Alla sua venuta, Cristo risusciterà quelli che sono morti in lui, restaurando la loro anima, il loro carattere e la loro personalità.

L’anima di un corpo morto

Esaminiamo ora l’affermazione di Paolo, spesso male interpretata, circa la risurrezione di Eutico. Durante una riunione serale a Troas in cui Paolo si dilungava, un giovane di nome Eutico, seduto sul davanzale di una finestra, si addormentò, cadde dal terzo piano e morì. «Ma Paolo scese, si gettò su di lui, e, abbracciatolo, disse: “Non vi turbate, perché è ancora in vita” (psyche)» (At 20:10). Questo fatto è simile a quello avvenuto ai tempi di Elia (1 Re 17:17) e più tardi al tempo d’Eliseo (2 Re 4:32,36): entrambi si distesero su un bambino senza vita e l’anima (nefesh) ritornò in loro.

I dualisti utilizzano questi episodi per indicare come l’anima sia un’entità indipendente che possa ritornare dopo aver lasciato il corpo. Quest’interpretazione è contraddetta da due importanti considerazioni. La prima è che Paolo, nel caso di Eutico, non riteneva l’anima un’entità immateriale che lasciasse il corpo alla morte. Egli disse: «La sua anima (psyche) è in lui» benché fosse morto. L’anima era ancora in Eutico, non perché non l’avesse ancora abbandonato, ma perché, abbracciando il giovane, Paolo sentì che riprendeva a respirare, ritornando così alla vita. La seconda è che, per capire ciò che è successo a Eutico e ai due bambini risuscitati da Elia e da Eliseo, è necessario ricordare che la Bibbia vede la morte come un fatto opposto a ciò che è avvenuto alla creazione. Alla creazione, l’uomo divenne un’anima vivente quando il corpo, tratto dalla polvere della terra, iniziò a respirare, grazie al soffio divino, l’alito vitale. Alla morte, una persona cessa di essere un’anima vivente quando la persona rende l’ultimo respiro e ritorna alla polvere. Nel caso di Eutico e dei due bambini, il respiro miracolosamente ritornò in loro e tornarono a essere persone viventi.

Paolo e l’anima

In confronto all’Antico Testamento, o persino ai vangeli, l’uso del termine anima è raro negli scritti di Paolo che lo usa solo tredici volte[10]  (incluse le citazioni dell’Antico Testamento), per riferirsi alla vita fisica (cfr. Rm 11:3; Fil 2:30; 1 Ts 2:8), a una persona (cfr. Rm 2:9; 13:1) e alla sede della vita emotiva (cfr. Fil 1:27; Col 3:23; Ef 6:6). Paolo non utilizzamai psyche per designare la vita dopo la morte, questo per evitare che il termine anima potesse essere frainteso dai convertiti provenienti dal mondo ellenistico che credevano nell’immortalità innata.

Per essere certo che la nuova vita in Cristo sarebbe stata vista interamente come un dono divino e non come qualcosa di innato, Paolo usa il termine spirito (pneuma), invece di anima (psyche). Nel capitolo successivo, vedremo l’uso che Paolo fa del termine «spirito». L’apostolo certamente riconosce una continuità fra la vita presente e quella della risurrezione, tuttavia, siccome la vede come un dono di Dio e non come un qualcosa insito nella natura umana, preferisce il termine spirito.[11]

Nel suo famoso brano circa la risurrezione (1 Cor 15), Paolo utilizza il concetto di anima secondo il significato dell’Antico Testamento di vita fisica. Egli sostiene che il primo Adamo divenne «un’anima (psyche) vivente» e l’ultimo Adamo (Cristo) uno «spirito (pneuma) vivificante ». Paolo applica la stessa distinzione tra il corpo presente e quello della risurrezione. Egli scrive: «È seminato corpo naturale (psychikon) e risuscita corpo spirituale (pneumatikon). Se c’è un corpo naturale, c’è anche un corpo spirituale (1 Cor 15:44). Il corpo presente è psychikon, letteralmente «come l’anima» (da psyche ), un organismo fisico soggetto alla legge del peccato e della morte. Il corpo futuro dopo la risurrezione è pneumatikon, letteralmente «spirituale» (da pneuma), un organismo controllato dallo Spirito di Dio.

Il corpo risuscitato è chiamato «spirituale», non perché sia non fisico, ma perché è governato dallo Spirito Santo invece che dagli impulsi carnali. Questo diventa evidente quando si vede come Paolo applichi la stessa distinzione fra il naturale psychikos e lo spirituale pneumatikos alla vita presente (1 Cor 2:14,15). Qui Paolo distingue fra l’uomo naturale psychikos, che non è guidato dallo Spirito di Dio, e l’uomo spirituale (pneumatikos), che è guidato, invece, dallo Spirito di Dio.

Nessuna immortalità naturale

È evidente che per Paolo la continuità fra il corpo presente e quello futuro deve essere trovata non nel significato dell’anima, come riportato dai vangeli, ma nel compito dello Spirito di Dio che rinnova la vita, ora e alla risurrezione. Nell’esaltare la funzione dello Spirito, Paolo nega l’immortalità dell’anima. Per lui è molto importante affermare l’idea che la nuova vita del credente, nel tempo presente e nel futuro, sia interamente un dono dello Spirito di Dio. L’uomo non è in possesso della scintilla immortale della vita.

La stessa espressione «immortalità dell’anima» non appare nella Scrittura. La parola greca che comunemente traduce «immortalità» è athanasia. Questo termine appare solo due volte nel Nuovo Testamento; la prima volta è riferita a Dio, «il solo che possiede l’immortalità (athanasia) e che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto né può vedere» (1 Tm 6:16). Ovviamente qui immortalità significa più dell’esistenza eterna. Paolo afferma che Dio è la fonte di vita (cfr. Gv 5:26) e che tutti gli altri esseri ricevono la vita eterna solo da lui.

La seconda volta appare in 1 Corinzi 15:53,54 in relazione alla natura mortale dell’uomo che si riveste di immortalità alla risurrezione: «Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità (athanasia). Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità (athanasia), allora sarà adempiuta la parola che è scritta: “La morte è stata sommersa nella vittoria”».

Paolo qui non sta parlando di alcuna immortalità naturale dell’anima, bensì della trasformazione dalla mortalità all’immortalità che i credenti sperimenteranno quando Cristo ritornerà. Le implicazioni di questo passo sono chiare: la natura umana non è dotata di nessuna forma di immortalità naturale, perché essa è deperibile e mortale. L’immortalità non è una caratteristica presente; è un dono che sarà offerto ai credenti alla venuta di Cristo.

Nella filosofia di Platone, l’anima è considerata indistruttibile, perché partecipa a una sostanza non creata ed eterna che il corpo non possiede. È sconfortante notare come questo concetto dualistico di Platone possa aver offuscato persino il pensiero di un grande riformatore come Calvino, che afferma «sarebbe follia rivolgersi ai filosofi per avere una definizione sicura dell’anima dato che nessuno di loro, eccettuato Platone, ne ha mai affermato esplicitamente l’essenza immortale».[12] Egli insiste, dicendo: «Abbiamo più sopra insegnato con la Scrittura che si tratta di una sostanza senza corpo. Bisogna ora aggiungere che, sebbene non possa essere contenuta in un luogo, tuttavia deposta e alloggiata com’è nei corpi essa vi abita come in un domicilio, non solo per dare vigore alle membra e rendere gli organi esterni adatti e utili alle loro azioni, ma anche per tenere il primo posto nel governare la vita dell’uomo, non solo con rispetto ai doveri della sua vita terrena, ma anche per svegliarlo e guidarlo a temere Dio».[13]

È difficile credere che uno studioso della Bibbia diligente come Calvino possa aver frainteso i suoi insegnamenti in merito alla natura umana. Questo dovrebbe far ricordare quanto facilmente la mente umana possa essere condizionata dall’errore, ingannandosi così nel discernere la verità biblica. Nella Bibbia, l’anima non è una «sostanza incorporea e immortale»; la vita fisica è rigenerata, creata, sostenuta da Dio, dal quale dipende per la sua esistenza.

Non c’è nessuna qualità intrinseca nella natura umana che possa rendere una persona indistruttibile. La speranza cristiana è basata non già sull’immortalità dell’anima, ma sulla risurrezione del corpo. Se si vuole usare la parola «immortalità» con riferimento alla natura umana, si deve allora parlare non dell’immortalità dell’anima, ma piuttosto dell’immortalità del corpo (l’intera persona) attraverso la risurrezione. È la risurrezione che offre il dono dell’immortalità al corpo, e quindi, a tutta la persona del credente.

L’uomo, un essere mortale

La definizione di Paolo del corpo presente come psychikon, cioè corruttibile e mortale, mostra chiaramente come egli identificasse l’anima con l’aspetto fisico e mortale dell’esistenza umana. Questo è in accordo con l’insegnamento dell’Antico Testamento circa l’anima, intesa come aspetto fisico e mortale della vita. È evidente che l’immortalità dell’anima sia totalmente assente dagli insegnamenti di Paolo e dell’intera Bibbia, ma questa definizione dell’anima propone un problema: come si può conciliare la nozione che gli esseri umani siano di natura mortale con l’affermazione di Paolo in Romani 5:12, che la morte è entrata in questo mondo «attraverso il peccato», e non a causa della natura umana mortale e fisica?

La soluzione di quest’apparente contraddizione si risolve riconoscendo, come dichiara H. Wheeler Robinson, che «Paolo concepisce l’uomo come un essere mortale nella sua natura originale, ma con la prospettiva dell’immortalità, persa dopo l’uscita dall’Eden, dove c’era l’albero della vita, quello che avrebbe nutrito la sua immortalità; così, venne la morte attraverso il peccato».[14]

Paolo non spiega come l’uomo, attraverso la disubbidienza, abbia perso la possibilità di diventare immortale. Il suo interesse è di mostrare come Cristo redima gli uomini dalla tragica conseguenza del peccato: la morte. Gli insegnamenti di Paolo, in ogni modo, testimoniano ciò che sentiva come due verità complementari: l’attuale mortalità della natura umana da una parte e la giustizia di quella mortalità vista come punizione per la disubbidienza umana.

Anima e spirito

La distinzione tra anima e spirito appare in altri due importanti passi nel Nuovo Testamento che si devono brevemente considerare: 1 Tessalonicesi 5:23 ed Ebrei 4:12. Scrivendo ai tessalonicesi, Paolo dice: «Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 5:23).

Alcuni si appellano a questo testo per sostenere che l’uomo alla creazione sia stato formato come un essere avente un corpo, un’anima e uno spirito, ciascuno come entità separata. I cattolici riducono i tre elementi a due, unendo lo spirito con l’anima. Il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica fa riferimento a questo testo affermando che «“Spirito” significa che sin dalla sua creazione l’uomo è ordinato al suo fine soprannaturale, e che la sua anima è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con Dio».[15]

Per i cattolici, lo spirito e l’anima sono essenzialmente uno, perché è lo spirito che crea ogni anima come entità spirituale e immortale. Il Catechismo si esprime così: «La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio - non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte…». [16]

Questo insegnamento tradizionale cattolico non tiene conto dell’insegnamento biblico della natura umana. Secondo la Bibbia, l’anima non è una sostanza immortale che si separa dal corpo alla morte; è la vita fisica e mortale che può diventare immortale per chi accetta il dono di Dio della vita eterna. Affermare che lo Spirito sia subordinato alla natura «spirituale» e immortale dell’anima significa ignorare che uno dei compiti dello Spirito di Dio è di dare vita ai nostri corpi mortali: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8:11).

Per prima cosa, è opportuno osservare che in 1 Tessalonicesi 5:23, non si tratta di un’affermazione dottrinale ma di una preghiera. Paolo auspica che i membri di Tessalonica possano esser totalmente santificati e conservati irreprensibili fino alla venuta di Cristo. È evidente che quando l’apostolo prega che lo spirito, l’anima e il corpo dei tessalonicesi possano essere conservati irreprensibili, non tenta di frazionare la natura umana in tre parti, più di quanto Gesù non intendesse frazionare la natura umana in quattro parti quando disse: «Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua» (Mc 12:30).

«Spirito, anima e corpo»

La chiave per capire l’espressione di Paolo «spirito, anima e corpo» di 1 Tessalonicesi 5:23 è data dal fatto che l’apostolo si rivolge a credenti cristiani che, mentre sono ancora nella carne (corpo), possiedono due nature: la natura originale adamitica ricevuta alla nascita (l’anima) e la nuova natura spirituale creata dentro di loro attraverso la potenza dello Spirito. La natura adamitica, come detto sopra, è chiamata «anima» e indica i vari aspetti della vita fisica associati, nella Bibbia, con l’anima. La natura spirituale è chiamata «spirito» perché è lo Spirito di Dio che rinnova e trasforma la natura umana. Il corpo è, naturalmente, la parte esteriore visibile della persona. Così Paolo invita i tessalonicesi a mantenere: - la loro anima perfetta e irreprensibile per la venuta di Cristo, vivere non solo per la vita fisica (cfr. Mt 6:25; At 20:24), minacciata dalla morte, ma anche per la vita più elevata, eterna, che trascende la morte; - il loro corpo perfetto e irreprensibile, a non «adempiere ai desideri della carne» (Gal 5:16), o produrre le «opere della carne»: fornicazione, impurità e dissolutezza (Gal 5:19). - lo spirito perfetto e irreprensibile, essere guidati dallo Spirito (Gal 5:18) e portare il «frutto dello Spirito»: amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fedeltà (Gal 5:22).

La preghiera di Paolo ai tessalonicesi non intende elencare le parti della natura umana, ma porre l’accento sullo stile di vita di coloro che aspettano la venuta di Cristo. La distinzione tra i tre elementi è di natura etica e non ontologica.

Il secondo testo dove appare lo stesso contrasto fra anima e spirito si trova in Ebrei 4:12: «Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima (psyche) dallo spirito (pneuma), le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore».

La questione è sapere se la Parola di Dio separi l’anima e lo spirito o trafigga entrambi. Edward Schweitzer osserva: «Dato che la separazione di giunture e midollo è difficile da immaginare, il testo probabilmente significa che la parola pervade lo pneuma e la psiche come giunture e midollo».[17]

Tenendo presente che l’anima e lo spirito indicano rispettivamente gli aspetti fisici e spirituali della vita umana, il testo afferma che la Parola di Dio penetra e scruta l’intera esistenza umana, persino la stessa interiorità del nostro essere. Lo studio della Scrittura rivela che i desideri, le aspirazioni, le emozioni e i pensieri possono essere ispirati dallo Spirito di Dio o da aspirazioni carnali ed egoistiche. Il testo dice semplicemente che la Parola di Dio penetra i recessi più intimi del nostro essere, portando alla luce i motivi segreti delle nostre azioni.

In un certo senso, questo passo è simile a quello che Paolo scrive in 1 Corinzi 4:5: «Il Signore metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio».

Quindi, non c’è nessuna ragione di interpretare Ebrei 4:12 come una distinzione strutturale nella natura umana fra anima e spirito. Ancora una volta giungiamo alla conclusione che anche quei brani che distinguono l’anima e lo spirito non hanno niente a che vedere con l’immortalità dell’anima. Certo non vogliono dire che un elemento possa sopravvivere alla separazione dell’altro alla morte o che si riferiscano a sostanze diverse. Al contrario, la funzione dello Spirito di Dio, la Persona divina che opera il rinnovamento morale in questa vita presente e alla risurrezione, alla vita eterna, nega la nozione dell’immortalità dell’anima perché la vita eterna è quella che sarà data dallo Spirito di Dio alla venuta di Cristo.

Ragione e sentimento

Il termine anima (psyche) è generalmente utilizzato nel Nuovo Testamento per precisare che la vita fisica può diventare «vita eterna» quando è vissuta con fede per Cristo. Esistono pochi casi in cui il termine psyche è usato come sede del sentimento e sorgente dei pensieri e delle azioni.

I cristiani di Antiochia erano turbati da insegnamenti erronei impartiti da persone che sconvolgevano le loro «anime» (psyche) (At 15:24). «Anima» in questo caso si riferisce alle menti di questi credenti confusi in seguito a falsi insegnamenti.

Un uso simile del termine, si trova in Giovanni 10:24, dove i giudei chiedono a Gesù: «Fino a quando terrai sospeso l’animo (psyche) nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente». Qui «l’anima» rappresenta la mente che prende decisioni a favore o contro Cristo. L’anima come mente può essere influenzata dal bene o dal male. Così, si legge, che Paolo e Barnaba vennero ad Antiochia «fortificando gli animi (psychas) dei discepoli, esortandoli a perseverare nella fede» (At 14:22).

In questo caso, gli animi, sono i discepoli incoraggiati a pensare e a manifestare i loro sentimenti. In Luca 12:19, si trova un esempio interessante dove il termine anima è riferito a entrambe le attività, fisiche e psichiche. L’uomo ricco la cui terra ha prodotto abbondantemente disse: «Dirò all’anima mia: “Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti”». Benché l’enfasi sia posta maggiormente sull’aspetto fisico della vita, come mangiare, bere, essere felice, il fatto che l’anima esprima soddisfazione di sé, suggerisce chiaramente anche una funzione psichica. In questo brano, Dio pronuncia il suo giudizio su quest’anima così soddisfatta di sé: «Ma Dio gli disse: “Stolto, questa stessa notte l’anima tua ti sarà ridomandata”» (Lc 12:20). Il testo suggerisce che tanto la vita quanto la morte dell’anima costituiscono finalmente, il dono o la punizione di Dio. I vangeli sinottici riportano le note parole di Gesù nelle quali l’anima è utilizzata come un perfetto sinonimo di cuore: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima (psyche), con tutta la tua mente e con tutta la tua forza» (cfr. Mc 12:30; cfr. Mt 22:37; Lc 10:37). In queste parole, riprese da Deuteronomio 6:5, il cuore, l’anima, la mente e la forza, sono usati per esprimere l’impegno d’amore tanto razionale quanto emotivo verso Dio.

Conclusione

L’uso del termine «anima» nel Nuovo Testamento indica che non esiste alcun fondamento biblico per il concetto di un’entità incorporea e immortale che sopravvive alla morte del corpo. Non solo il Nuovo Testamento nega la nozione di immortalità dell’anima, ma mostra  chiaramente come la psyche indichi la vita fisica, emotiva e spirituale nella sua globalità. L’anima è la persona intesa come essere vivente, con la propria personalità, i propri appetiti, le proprie emozioni e le proprie abilità di pensiero. L’anima descrive l’intera persona vivente e per questo è inseparabile dal corpo.

Si è trovato, inoltre, che benché Cristo abbia ampliato il significato dell’anima psyche includendovi l’idea del dono della vita eterna offerta a quanti sono pronti a sacrificare la loro vita terrena per lui, non ha, però, mai alluso a un’anima incorporea e immortale. Al contrario, Gesù ha insegnato che Dio può distruggere tanto l’anima quanto il corpo dei peccatori impenitenti (cfr. Mt 10:28).

Neppure Paolo usa il termine psyche per indicare la vita oltre la morte. Al contrario, identifica l’anima con il nostro organismo fisico (psychikon) che è soggetto alla legge del peccato e della morte (1 Cor 15:44). Per essere certo che anche i credenti provenienti dal mondo non ebraico capissero che non c’è nulla di immortale nella natura umana, Paolo utilizza il termine «spirito» (pneuma) per descrivere la nuova vita in Cristo che il credente riceve come dono dello Spirito di Dio sia ora, sia alla risurrezione.

[1] E. SCHWEITZER, voce «Psyche» in G. KITTEL, G. FRIEDRICH, Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia, 1988, vol. XV, col. 1247.

[2] Dato fornito da B.F.C. ATKINSON, Op.cit., p. 14

[3] E. SCHWEITZER, Art. cit., col. 1259

[4] Ibidem, coll. 1263-1264.

[5] R.A. MOREY, Death and the Afterlife (Minneapolis, 1984), p. 152

[6] O. CULLMANN, Dalle fonti dell’Evangelo alla teologia Cristiana, Roma: AVE, 1971, p. 208, nota 21. Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?, Paideia, Brescia, 1968, p. 36, nota n. 9.

[7] E.W. FUDGE, The Fire That Consumes, Houston, 1989, p. 173.

[8] Ibidem, p. 177.

[9] E. SCHWEITZER, Art. cit., col. 1265.

[10] «Sorprende in Paolo il raro uso di psyche. La sua mentalità non è né greca da fargli adottare la dottrina ellenistica dell’anima, né non greca da fargli dimenticare che nell’ambito della cultura greca psyche significa qualcosa di diverso di nefesh». Ibidem, coll. 1268, 1269. Così si è espresso anche T. Hoff: «Paolo non ha mai utilizzato il termine psyche per indicare una vita che sopravvive al corpo… perché sapeva come questa concezione era stata distorta nel tempo. Egli sapeva che la tradizione platonica avrebbe potuto creare una gran confusione nella mente dei non ebrei («Nefesh and the Fulfillment it Receives as Psyche» in Toward a Biblical View of Man: Some Readings, ed. Arnold H. De Graff and James H. Olthuis, Toronto, 1978, p. 114.

[11] G. CALVINO, Istituzione della religione Cristiana, I, XV, 6 Op.cit., p. 299.

[12] Ibidem, p. 300.

[13] H.W. ROBINSON, Op. cit., p. 122.

[14] Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria vaticana, Città del Vaticano, 1992, pp. 106,107, n° 367.

[15] Ibidem, p. 106, n° 366.

[16] E. SCHWEITZER, Art. cit., coll. 1277,1278.

[17] E. Schweitzer, Art. cit., coll. 1277,1278.