03. Lo stato dei morti nell’Antico Testamento

03. Lo stato dei morti nell’Antico Testamento

La maggiore sfida al concetto biblico della morte della persona intera deriva dall’errata interpretazione dei due termini utilizzati per descrivere il soggiorno dei morti: sheol e ades.

Questi termini sono stati spesso intesi come il luogo in cui le anime senza il corpo continuano a esistere dopo la morte, oppure il luogo delle pene per gli empi, cioè l’inferno. Diventa allora determinante comprendere il significato biblico di questi due termini.

Traduzioni e interpretazioni dello sheol

La parola ebraica sheol (65 volte nell’Antico Testamento) è solitamente tradotta con «tomba», «inferno», «fossa» o «morte». Queste varie traduzioni rendono difficile per il lettore capirne il significato. Per esempio, la versione della Bibbia King James (KJV) traduce sheol 31 volte «tomba», 31 volte «inferno» e 3 volte «fossa». Ciò significa che i lettori della KJV sono spesso indotti a credere che l’Antico Testamento insegni l’esistenza dell’inferno dove gli empi sono tormentati per i loro peccati. Nel Salmo 16:10 è tradotto così: «Perché tu non lascerai l’anima mia nell’inferno».

Un lettore poco preparato darà per scontato che il testo significhi: «Poiché tu non lascerai l’anima mia esser tormentata nell’inferno». Una simile lettura è una falsa interpretazione del testo che dice semplicemente: «Poiché non mi  consegnerai allo sheol», cioè alla tomba. Il salmista qui esprime fiducia che Dio non lo abbandonerà nella tomba. Infatti, questo è il modo in cui il testo è applicato in Atti 2:27 a Cristo, che non è stato lasciato nella tomba dal Padre.

Per evitare queste insidiose interpretazioni, la Revised Standard Version e la New American Standard Bible semplicemente trascrivono la parola ebraica sheol. La New International Version solitamente lo traduce con «tomba» (occasionalmente con «morte»), con una nota a piè di pagina sheol.

Questa traduzione riflette accuratamente il significato di fondo di sheol inteso come tomba o, meglio, come il regno collettivo dei morti. Di solito, le traduzioni riflettono le diverse convinzioni teologiche dei traduttori. Per esempio, i traduttori della KJV credevano che alla morte i giusti andassero in cielo e gli empi all’inferno. Di conseguenza, hanno tradotto sheol, «tomba» quando si riferivano ai giusti che riposano nella tomba, e «inferno» quando si riferivano agli empi, le cui anime si presumeva fossero tormentate nell’inferno.

Un simile approccio è stato adottato dallo studioso dell’Antico Testamento Alexander Heidel,[1] che però è stato criticato per avere arbitrariamente manipolato i testi biblici.[2]

Diversi autori evangelici concordano con l’opinione dei traduttori della KJV quando considerano lo sheol come dimora dell’anima, in contrasto con la tomba, vista come la dimora del corpo. Nel suo libro Death and the After Life, R. Morey afferma esplicitamente: «La parola ebraica sheol si trova 65 volte nell’Antico Testamento. Mentre l’Antico Testamento parla costantemente del corpo che scende nella tomba, nello stesso tempo fa sempre riferimento all’anima o allo spirito dell’uomo nello sheol».[3]

Per sostenere questo punto di vista, Morey cita lo studioso di Princeton B. B. Warfield che ha scritto: «Israele, sin dall’inizio della sua storia documentata, ha nutrito delle convinzioni molto radicate sulla persistenza dell’anima dopo la morte… Il corpo è posto nella tomba e l’anima si avvia verso lo sheol».[4]

Un altro studioso citato da Morey è George Eldon Ladd che scrive nel New Bible Dictionary: «Nell’Antico Testamento, l’uomo non cessa di esistere alla morte, ma la sua anima discende nello sheol».[5]

La stessa opinione è espressa da J. Thomson che, in riferimento alla morte nell’Antico Testamento, scrive: «Alla morte, il corpo rimaneva sulla terra, la nefesh (l’anima) passava allo sheol; ma il respiro, lo spirito, o ruach, ritornava a Dio, non allo sheol. Ma nello sheol, un luogo di tenebre, di silenzio e di oblio, la vita era già prevista e ombrosa».[6]

Sulla base di testimonianze come queste, Morey conclude: «La letteratura moderna intende lo sheol come riferito al luogo dove l’anima o lo spirito dell’uomo vanno alla morte. La letteratura lessicografica non definisce lo sheol come tomba o momento del trapasso».[7]

Certi studiosi propongono un concetto modificato sostenendo che lo sheol sia esclusivamente il luogo di punizione degli empi e abbia «lo stesso significato dell’inferno moderno».[8]

Queste interpretazioni che inducono a credere che lo sheol sia la dimora delle anime (piuttosto che luogo di riposo del corpo nella tomba) o il luogo di punizione per gli empi, noto come inferno, non reggono alla luce dell’uso biblico di sheol. Questo fatto è riconosciuto persino da John W. Cooper che ha prodotto forse ciò che costituisce il tentativo più dotto per difendere il punto di vista dualistico tradizionale della natura umana dagli assalti della critica moderna.

Cooper afferma: «È necessario, da parte dei cristiani tradizionali, prendere coscienza che lo sheol sia il luogo di riposo dei morti indipendentemente dalla religione professata durante la loro vita. Lo sheol non è “l’inferno” al quale gli empi sono condannati e dal quale i fedeli del Signore sono risparmiati in gloria. Benché l’Antico Testamento accenni al fatto che persino nella morte il Signore risparmi e comunichi con i suoi giusti, non c’è nessun dubbio, come vedremo, che i credenti e i non credenti tutti scendano nello sheol quando muoiono».[9]

Il liberale Interpreter’s Dictionary of the Bible afferma ancor più energicamente: «Da nessuna parte nell’Antico Testamento, la dimora dei morti è considerata come un posto di punizione o di tormento. Il concetto di un “inferno” è sviluppato in Israele solo durante il periodo ellenistico».[10]

Il tentativo di Morey e altri di fare una differenza tra sheol, dimora dell’anima, e la tomba come luogo di riposo del corpo, è basato sul concetto dualistico della natura umana, estraneo alla Bibbia. Nel suo studio su Israele: Its Life and Culture, Johannes Pedersen afferma chiaramente: «Lo sheol è la totalità nella quale tutte le tombe sono unite… Dove c’è la tomba c’è lo sheol e dove c’è lo sheol lì c’è la tomba».[11]

Pedersen spiega molto chiaramente che lo sheol è il regno collettivo dei morti dove vanno tutti i defunti, coloro che sono sepolti e coloro che non lo sono. Nella sua tesi di laurea su Sheol nell’Antico Testamento, Ralph Walter Doermann arriva alla stessa conclusione: «Nell’antico Israele si comprendeva che i morti fossero allo stesso tempo nello sheol e nella tomba e non in due luoghi diversi. Tutti i defunti, sottoposti alle stesse condizioni, erano ritenuti presenti in un regno comune».[12]

Quando si considerano i diversi usi di sheol, allora questa conclusione risulta assolutamente chiara.

L’etimologia e l’ubicazione di sheol

L’etimologia del termine sheol è incerta. Le derivazioni più frequentemente menzionate sono quelle legate alla radice di un verbo che significa «chiedere», «domandare» e «seppellire se stesso».[13] Doermann ne propone la derivazione dalla radice shilah, il cui significato primario è «essere quieto», «a riposo». Egli conclude che «si può fare un collegamento tra sheol e shilah e non sarebbe tanto collegato con la localizzazione del regno dei morti, quanto piuttosto con il carattere dei suoi abitanti, che sono principalmente “a riposo”».[14] La differenza fra le due parole è relativa. La più importante è il fatto che lo sheol sia il posto dove i morti riposano. Lo sheol è localizzato profondamente sotto la superficie della terra, perché è spesso menzionato in relazione con il cielo per configurare così i limiti estremi dell’universo.

Lo sheol è il luogo più profondo nell’universo, esattamente come il cielo è quello più in alto. Amos descrive l’inevitabile ira di Dio in questi termini: «Anche se penetrassero nel soggiorno dei morti (sheol), la mia mano li strapperebbe di là; anche se salissero in cielo, io li tirerei giù. Anche se si nascondessero in vetta al Carmelo, io li scoverei lassù e li prenderei; anche se si nascondessero al mio sguardo in fondo al mare, laggiù ordinerei al serpente di morderli» (Am 9:2,3). Anche il salmista esclama: «Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dalla

tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là» (Sal 139:7,8; cfr. Gb 11:7,9).

Essendo posto sotto la terra, i morti raggiungono lo sheol «andando giù», un eufemismo per indicare il seppellimento nella terra. Quando Giacobbe venne informato della morte di suo figlio Giuseppe, disse: «Io scenderò con cordoglio da mio figlio, nel soggiorno dei morti (sheol)» (Gn 37:35). Forse l’esempio più chiaro della localizzazione dello sheol sotto la terra è il racconto della punizione di Kore, Dathan e Abiram, che si sono ribellati contro l’autorità di Mosè. «La terra spalancò la sua bocca e li ingoiò: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutta la loro roba. Scesero vivi nel soggiorno dei morti; la terra si richiuse su di loro» (Nm 16:31,33). Quest’episodio mostra chiaramente come l’intera persona, e non solo l’anima, scenda nello sheol, nel regno dei morti.

Le caratteristiche del «soggiorno dei morti»

Le caratteristiche dello sheol sono essenzialmente quelle del regno dei morti, o la tomba. In numerosi passi lo sheol è posto in parallelo con la parola ebraica bor, cioè «fossa» o qualsiasi tipo di grotta sotterranea, usata come sinonimo di tomba. Per esempio, il salmista scrive: «Perché l’anima mia è sazia di mali e la mia vita è vicina al soggiorno dei morti (sheol). Io sono contato tra quelli che scendono nella tomba (bor); sono come un uomo che non ha più forza» (Sal 88:3,4).[15] Qui il parallelismo identifica sheol con la fossa, cioè il luogo di sepoltura dei morti.

Svariate volte sheol appare insieme con abaddon, che significa «distruzione» o «rovina».[16] Abaddon appare in parallelo con tomba: «La tua bontà sarà narrata nel sepolcro? O la tua fedeltà nel luogo della distruzione (abaddon)?» (Sal 88:11); con lo sheol: “Davanti a lui il soggiorno dei morti (sheol) è nudo, l’abisso (abaddon) è senza velo» (Gb 26:6; cfr. Prv 15:11). «Il soggiorno dei morti (sheol) e l’abisso (abaddon) stanno davanti al SIGNORE; quanto più i cuori dei figli degli uomini!» (Prv 15:11; cfr. 27:20). Il fatto che lo sheol sia associato ad abaddon, il luogo della distruzione, dimostra che il regno dei morti fosse visto come luogo di annientamento e non come quello della sofferenza eterna degli empi.

Lo sheol è anche caratterizzato come «terra delle tenebre e dell’ombra di morte» (Gb 10:21), dove i morti non vedranno mai più la luce (Sal 49:19; 88:13). Esso è anche «il luogo del silenzio» (Sal 94:17; cfr. 115:17) e la terra senza ritorno: «La nuvola svanisce e si dilegua; così chi scende nel soggiorno dei morti (sheol) non ne risalirà; non tornerà più nella sua casa e il luogo dove stava non lo riconoscerà più» (Gb 7:9,10).

Lo sheol e il regno dei morti

Tutte le caratteristiche sopra esaminate in merito allo sheol descrivono accuratamente il regno dei morti. La fossa, il luogo di distruzione, di tenebre, di silenzio, il viaggio senza ritorno, sono tutte descrizioni del regno dei morti. Si è visto inoltre, come in qualche caso, lo sheol sia messo in parallelo con la morte e la tomba: «Li sorprenda la morte! Scendano vivi nel soggiorno dei morti (sheol)! Poiché nelle loro case e in cuor loro non c’è che malvagità» (Sal 55:15). In virtù del parallelismo, lo sheol è identificato con la morte e la tomba.

Nel Salmo 141:7 troviamo un altro esempio in cui lo sheol è associato alla tomba: «Come quando si ara e si rompe la terra, le nostre ossa sono sparse all’ingresso [alla bocca] del soggiorno dei morti (sheol)». La bocca dello sheol è l’apertura della tomba dove sono poste le ossa. Le varie figure usate per descrivere lo sheol servono tutte a mostrare come non sia il luogo degli spiriti eterei, ma il «regno dei morti». Anthony Hoekema, uno studioso calvinista, giunge alla stessa conclusione nel suo libro The Bible and the Future. Egli scrive: «Le varie figure applicate allo sheol possono essere capite come riferentesi al regno dei morti: lo sheol ha le sbarre (Gb 17:16), è un posto buio e tetro (Gb 17:13), è un mostro dall’appetito insaziabile (cfr. Prv 27:29; 30:15,16; Is 5:14; Ab 2:5). Quando pensiamo allo sheol in questo modo, dobbiamo ricordarci che sia i giusti sia gli empi vanno nello sheol quando muoiono, perché entrambi entrano nel regno dei morti».[17]

Nel suo studio, Antropologia dell’Antico Testamento, Hans Walter Wolff, fa notare che, contrariamente alle antiche religioni orientali dove i morti erano glorificati o persino deificati, «simili espressioni sarebbero inconcepibili per il Vecchio Testamento. Per lo più quando si parla della discesa nello sheol come mondo dei morti non si vuole indicare niente di più: la sepoltura nella tomba e la fine della vita (Gn 42:38; 44:29,31; Is 38:10,17; Sal 9:16-18; 16:10; 49:10,16; 88:4-7,12; Prv 1:12)».[18]

Qualsiasi tentativo di trasformare lo sheol nel luogo di tormento per gli empi o nella dimora degli spiriti/anime, contraddice la caratterizzazione dello sheol quale deposito sotterraneo dei morti.

La condizione dei morti nello sheol

Siccome la morte è l’arresto biologico dell’esistenza, lo stato dei morti nello sheol è descritto in termini antitetici al concetto della vita sulla terra. Vita significa vitalità e attività; la morte significa debolezza e inattività. Questo è vero per i giusti e per gli empi. «Tutto succede ugualmente a tutti; la medesima sorte attende il giusto e l’empio, il buono e puro e l’impuro» (Ec 9:2). Tutti vanno nello sheol, il regno dei morti.

Il saggio offre una descrizione della condizione dei morti nello sheol: «Nel soggiorno dei morti (sheol) dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza» (Ec 9:10). È chiaro che lo sheol, il regno dei morti, è il luogo della non esistenza. «Infatti, i viventi sanno che moriranno; ma i morti non sanno nulla, e per essi non c’è più salario; poiché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole» (Ec 9:5,6). L’argomento principale qui è che la morte pone una fine brusca a tutte le attività svolte «sotto il sole», e ciò che segue la morte è lo sheol, dove regna uno stato di inattività, senza conoscenza e senza consapevolezza.

Questo stato è meglio descritto come «sonno». La frase «si addormentò con i suoi padri» (1 Re 2:10; cfr. 1:21; 11:43) riflette l’idea che i morti si uniscano ai loro antenati nello sheol in uno stato di totale incoscienza. L’idea del riposo o del sonno nello sheol è presente in Giobbe, che grida in mezzo alle sue sofferenze: «Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo?… Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei così riposo… Là cessano gli empi di tormentare gli altri. Là riposano gli stanchi» (Gb 3:11,13,17).

Il riposo nello sheol non è il riposo delle anime che godono della beatitudine del paradiso o subiscono i tormenti dell’inferno, ma il riposo dei corpi morti che dormono nei sepolcri. «Se aspetto come casa mia il soggiorno dei morti (sheol), se già mi sono fatto il letto nelle tenebre al sepolcro dico: “Tu sei mio padre”, e ai vermi: “Siete mia madre e mia sorella”. Dov’è dunque la mia speranza? Questa speranza mia chi la può scorgere? Essa scenderà alle porte del soggiorno dei morti (sheol), quando nella polvere troveremo riposo assieme» (Gb 17:13-16).

I morti dormono nello sheol fino alla fine: «Così l’uomo giace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli egli non si risveglierà né sarà più destato dal suo sonno» (Gb 14:12). «Finché non vi siano più cieli» è possibilmente un accenno alla venuta del Signore alla fine dei tempi per risuscitare i santi. In tutte le sue sofferenze, Giobbe non ha mai rinunciato alla sua speranza di vedere il Signore persino dopo la rovina del suo corpo. «Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli d’un altro; il cuore, dal desiderio, mi si consuma!» (Gb 19:25-27).

Riassumendo, la condizione dei morti nello sheol, il regno dei morti, è la più completa incoscienza caratterizzata all’inoperosità, sonno, riposo che dureranno fino al giorno della risurrezione. Nessuno dei testi esaminati suggerisce che lo sheol sia il luogo di purificazione per gli empi (l’inferno) o di sopravvivenza cosciente delle anime o degli spiriti dei defunti morti. Non ci sono anime nello sheol semplicemente perché nell’Antico Testamento l’anima non sopravvive alla morte del corpo. Come chiaramente afferma N.H. Snaith: «Il cadavere di un uomo, di un uccello o di qualsiasi altro animale è senza nefesh (anima). Nello sheol, la dimora dei morti, non c’è nessuna nefesh (anima)».[19]

Ode contro il re di Babilonia

La conclusione cui siamo giunti riguardo allo sheol in quanto regno dei defunti è osteggiata da coloro che si rifanno a due testi che apparentemente sostengono la nozione dell’esistenza consapevole dello sheol. Il primo passo si trova Isaia 14:4,11 e si tratta di un’ode contro il superbo re di Babilonia. Il secondo si trova in Ezechiele 31 e 32, e racchiude i canti funebri per il faraone d’Egitto. Sulla base di questi passi, Robert A. Morey conclude: «Questi, nello sheol, sono descritti come capaci di conversare gli uni con gli altri e persino di emettere giudizi morali sullo stile di vita dei nuovi arrivati (cfr. Is 14:9, 20; 44:23; Ez 32:21).

Sono quindi entità consapevoli mentre sono nello sheol».[20] In vista dell’alto valore attribuito a questi passi in favore di una sopravvivenza cosciente nell’aldilà, sarà necessario esaminarli, anche se in modo conciso. L’oracolo contenuto in Isaia 14 è un rimprovero contro l’altezzoso re di Babilonia, dove le «ombre» dei morti, i re soggiogati dalle armi vincenti di Nabucodonosor, sono personificate per esprimere la condanna di Dio al re dispotico. Quando il re li raggiunge nello sheol, questi sovrani defunti sono ritratti come «ombre» refain (termine che vedremo più avanti), che si sollevano dai loro troni d’ombra per beffarsi del tiranno decaduto, dicendo: «“Anche tu dunque sei diventato debole come noi? Anche tu sei divenuto dunque simile a noi?” Il tuo fasto e il suono dei tuoi saltèri sono stati fatti scendere nel soggiorno dei morti (sheol); sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tua coperta» (Is 14:10,11).

Siamo in presenza della descrizione del cadavere del re nella tomba, corroso da grilli e vermi; non di un’anima che goda della beatitudine del cielo o subisca i tormenti dell’inferno. Il linguaggio del brano è adeguato non già per l’immagine degli «spiriti deceduti», ma per descrivere i morti sepolti. È evidente che se i re fossero stati «spiriti deceduti» nello sheol, non starebbero seduti sui troni. In questa impressionante parabola, persino i cipressi e i cedri del Libano sono personificati (Is 14:8) e in grado di esprimere rimproveri beffardi contro il tiranno caduto.

È evidente che tutti i caratteri di questa parabola, alberi personificati, sovrani caduti, sono finti. Servono non già per descrivere la sopravvivenza delle anime nello sheol, ma per preannunciare con un linguaggio figurato che attira l’attenzione il giudizio di Dio circa l’oppressore d’Israele da un lato, e il suo infamante destino ultimo, corroso dai vermi in una tomba piena di polvere, dall’altro. Interpretare questa parabola come una descrizione letterale della vita ultraterrena significa ignorare la natura altamente figurativa e metaforica del brano, che è stato costruito così per descrivere la condanna di un tiranno che esaltava se stesso. Ripetutamente, nel corso di questo studio, si rimane sorpresi dal fatto che persino studiosi di grande spessore spesso ignorino un principio ermeneutico di base: il linguaggio simbolico e metaforico non può e non dovrebbe essere, interpretato letteralmente.

Canto funebre sul faraone d’Egitto

In Ezechiele 31 e 32, si trova un canto funebre e metaforico sul faraone d’Egitto, molto simile a quello di Isaia sul re di Babilonia. La stessa personificazione della natura è usata per descrivere la sconfitta del faraone dal re di Babilonia. «Il giorno che egli discese nel soggiorno dei morti (sheol) io bandii un lutto; a motivo di lui velai l’abisso, ne arrestai i fiumi e le grandi acque furono fermate; a motivo di lui feci vestire a lutto il Libano, e tutti gli alberi dei campi vennero meno a motivo di lui» (Ez 31:15). Il ritratto è decisamente figurato. I vari governatori che hanno causato grande terrore in questa vita ora giacciono nello sheol, «attorno a loro stanno i loro sepolcri» (32:26). «Non giacciono con i prodi che sono caduti fra gli incirconcisi, che sono scesi nel soggiorno dei morti (sheol) con le loro armi da guerra, sotto il capo dei quali sono state poste le loro spade ma le loro iniquità stanno sulle loro ossa, perché erano il terrore dei prodi sulla terra dei viventi» (v. 27). Mediante questo linguaggio figurato, i potenti sono ritratti come sepolti nello sheol con le spade come cuscino sotto la testa e gli scudi come coperta sulle loro ossa. Tutto ciò difficilmente può essere considerato una descrizione delle anime che godano della beatitudine del paradiso o subiscano il tormento dell’inferno. È piuttosto una rappresentazione figurata dell’umiliazione della tomba che attende quelli che abusano del loro potere in questa vita.

Nel suo libro Hell on Trial: The Case for Eternal Punishment, Robert A. Peterson, studioso presbiteriano, riconosce che «Isaia 14 ed Ezechiele 31 e 32, capitoli tradizionalmente letti come facenti riferimento all’inferno, si possono comprendere meglio se invece vengono interpretati come riferiti alla tomba. Le raffigurazioni del re di Babilonia coperto di grilli e di vermi (Is 14:11) e del faraone che giace fra i guerrieri caduti con le spade poste sotto le loro teste (Ez 32:27), parlano non già dell’inferno, ma dell’umiliazione della tomba».[21]

In conclusione, lo sheol non è il luogo della punizione per gli empi o la dimora degli spiriti, ma il regno dei morti, costituito da silenzio, polvere e tenebre, nel quale Dio disse che Adamo e i suoi discendenti sarebbero stati condannati ad andare: «Poiché sei polvere, e in polvere ritornerai» (Gn 3:19).

Gli abitanti dello sheol

Otto testi nell’Antico Testamento si riferiscono agli abitanti dello sheol come i refain,[22] parola, questa, che è spesso tradotta con «ombre». Questa traduzione può trarre in inganno, perché dà l’impressione che gli abitanti dello sheol, il regno dei morti, siano fantasmi o spiriti senza corpo. Infatti, i dualisti insistono su questa traduzione ingannevole per convincersi di una sopravvivenza delle anime nello sheol. Per esempio, Robert A. Morey afferma: «Alla morte l’uomo diventa un refain, cioè un «fantasma«, «ombra», o uno «spirito senza corpo» secondo Giobbe 26:5; Salmo 88:10; Proverbi 2:18; 9:18; 21:16; Isaia 14:9; 26:14,19. Invece di descrivere l’uomo come se passasse all’inesistenza, l’Antico Testamento afferma che l’uomo diventa uno spirito senza il corpo. L’uso del termine refain stabilisce irrefutabilmente questa verità».[23] Una conclusione così ardita si basa su supposizioni gratuite che difficilmente possono esser sostenute dall’uso di refain nei testi biblici. L’etimologia della parola è incerta; si pensa derivi dalla radice di un verbo che significa «affondare», «rilassarsi», essere «debole», «fiacco». In un dotto articolo sull’origine e il significato di refain pubblicato sull’American Journal of Semitic Languages and Literature, Paul Haupt scrive: «Il termine ebraico refain indica coloro che sono “affossati” nella loro dimora invisibile e scendendo nell’ades così come il sole cala verso la sua infuocata morte a ponente; i refain sono coloro che sono “affossati”, svaniti, spariti, morti, defunti. La traduzione migliore sarebbe “i dipartiti”».[24]

La traduzione di refain proposta da Haupt come «i dipartiti» o «i morti» è adeguata all’uso del termine indicato negli otto testi dove questa parola appare. Si tratta, a questo punto, di considerare, anche se brevemente, testo per testo. In Isaia 14:9, è detto che la discesa nello sheol del re di Babilonia causa agitazione: «Il soggiorno dei morti (sheol), laggiù, si agita per te, per venire a incontrarti al tuo arrivo; esso sveglia per te le ombre (refain), tutti i principi della terra; fa alzare dai loro troni tutti i re delle nazioni». Qui refain può esser benissimo tradotto come «i defunti» o «i morti», dal momento che è detto che sono «risvegliati» per incontrare il re. L’implicazione è che stavano dormendo, un eufemismo comune per indicare la morte nella Bibbia. Gli spiriti senza corpo non hanno alcun bisogno di essere «risvegliati» dal sonno. Il rimprovero: «Anche tu dunque sei diventato debole come noi? Anche tu sei divenuto dunque simile a noi?» (Is 14:10) non significa necessariamente: «Anche tu sei diventato uno spirito senza corpo come noi», quanto piuttosto: «Anche tu, sei morto come noi?».

Questo testo è generalmente usato per definire il significato di refain come deboli, «ombre» in quanto si ritiene che esse siano solo spiriti disincarnati. La loro debolezza, tuttavia, deriva dal fatto che sono semplicemente morti. Nell’Antico Testamento, questi sono deboli perché la loro anima o la loro vitalità è svanita. Come concisamente afferma Johannes Pedersen: «Il defunto è un’anima priva di forza. Per questo i morti sono chiamati “deboli” (refain) (cfr. Is 14:10)».[25]

Refain e i morti

La relazione fra i morti e i refain è esplicita in Isaia 26:14, dove il profeta mette in contrapposizione il Signore Dio con i sovrani terreni, dicendo, di questi ultimi: «Quelli sono morti, e non rivivranno più; sono ombre (refain), e non risorgeranno più». Il parallelismo suggerisce che refain e i morti siano la stessa cosa. Inoltre, dice che i refain «non risorgeranno». L’implicazione è che questi refain, cioè i malvagi sovrani morti, non verranno risuscitati. I refain sono menzionati di nuovo nel verso 19, dove il profeta parla della risurrezione del popolo di Dio: «I tuoi morti torneranno a vita, il mio corpo morto anch’esso, e risusciteranno. Risvegliatevi, e giubilate, voi che abitate nella polvere; perciocché, quale è la rugiada all’erbe, tal sarà la tua rugiada, e la terra gitterà fuori i trapassati (refain)» (Is 26:19 Diodati). John Cooper usa questo testo per affermare che i refain sono gli spiriti dei morti che saranno riuniti con i loro corpi alla risurrezione.[26]

Cooper scrive: «È molto significativo per la nostra inchiesta che il termine refain per i defunti, sia presente nel v. 14b e anche nel v. 19d e che questa medesima parola venga usata in Isaia 14 come attraverso tutto l’Antico Testamento per designare gli abitanti dello sheol. Così qui abbiamo un legame inequivocabile fra la futura risurrezione corporea e gli abitanti del mondo sotterraneo dei morti. Nel grande giorno del Signore, i refain saranno riuniti ai loro corpi, ricostituiti dalla polvere, e vivranno di nuovo come popolo del Signore».[27]

Con quest’interpretazione così categorica, sussistono almeno tre ordini di problemi.

  1. Essa ignora che il testo ebraico presenti dei problemi come indicato dalle traduzioni contraddittorie. John Cooper usa la traduzione del NIV che dice: «La terra farà nascere i suoi morti (refain)».[28] Inoltre altre traduzioni rendono diversamente il versetto. Per esempio, la KJV traduce: «La terra getterà fuori i morti (refain)». Il gettare fuori dei morti dalla terra, difficilmente suggerisce la riunione degli spiriti disincarnati con i loro corpi risuscitati. La RSV dice: «Là farai posare sulla terra delle ombre (refain)». La discesa della rugiada sui refain, difficilmente può rappresentare gli spiriti riuniti con i loro corpi. La Nuova Riveduta traduce: «… e la terra ridarà alla vita le ombre».
  2. Anche se il brano si riferisce alla risurrezione dei refain in virtù del parallelismo con i morti che «risorgeranno», non ci sono indicazioni in tutto il passo che i refain siano spiriti che verranno riuniti ai loro corpi al momento della risurrezione. Da nessuna parte, la Bibbia parla della risurrezione come la riunione del corpo con lo spirito o con l’anima. Questo scenario deriva dal concetto dell’uomo basato sul dualismo platonico e non su quello biblico unitario. Nella Bibbia, la risurrezione, come si vedrà più avanti, costituisce la restaurazione dell’intera persona, corpo e anima.
  3. Il parallelismo strutturale del testo dove i «morti», gli «abitanti della polvere» e i refain sono usati come sinonimi, suggerisce che i tre siano essenzialmente nella stessa condizione, cioè, morti. Quindi, i refain sono i morti che dimorano nella polvere, non spiriti incorporei che fluttuano nel mondo sotterraneo.

Lo stesso parallelismo tra la morte e i refain appare nel Salmo 88:10: «Farai forse qualche miracolo per i morti? I defunti (refain) potranno risorgere a celebrarti?». Qui i refain sono paragonati ai morti e ritenuti incapaci di lodare Dio. Perché? Semplicemente perché «non sono i morti che lodano il SIGNORE, né alcuno di quelli che scendono nella tomba» (Sal 115:17). Il parallelismo fra la morte e i refain appare nuovamente in Proverbi 2:18 e 9:18. Parlando della prostituta, l’uomo saggio dice: «Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti (refain)» (Prv 2:18). È evidente che la casa della prostituta non conduce al mondo degli spiriti, ma alla morte, come indicato dal parallelismo.

Giobbe (26:5) personifica i refain, dicendo che davanti a Dio «tremano le ombre (refain) disotto alle acque e ai loro abitanti». Qui si ha a che fare con un linguaggio altamente metaforico dove sia i vivi sia i morti, tremano davanti a Dio. Questo è anche evidente nel verso successivo che dice: «Davanti a lui il soggiorno dei morti (sheol) è nudo, l’abisso (abbadon) è senza velo». Lo scopo di tutte queste immagini è semplicemente quello di trasmettere l’idea che nessuna creatura vivente o morta possa nascondersi davanti all’onnipresenza e all’onnipotenza di Dio. Alla luce dell’analisi precedente si può concludere con Basil F.C. Atkinson che: «Non c’è niente che costringa a dare il significato di “ombre” alla parola (refain), e sembra irragionevole insistere in questo senso vista la concorde e coerente testimonianza

della Scrittura».[29]

La maga di Endor

La precedente discussione in merito allo sheol fornisce un utile retroscena per prendere in esame l’unica descrizione completa che si trovi nella Bibbia intorno alla comunicazione con uno spirito nello sheol. In breve, questo è il racconto. Quando Saul ha rifiutato di ricevere una guida per il suo futuro da parte di Dio attraverso i sogni, l’urim e i profeti (1 Sam 28:6), nella disperazione ha cercato una donna, la maga di Endor, affinché evocasse lo spirito del defunto Samuele (1 Sam 28:7).

Travestendosi per evitare d’essere riconosciuto, Saul si reca dalla donna di notte e le chiede di far risalire il profeta defunto e di sollecitarne informazioni (1 Sam 28:8). Quando la donna, sapendo dell’interdetto reale contro la negromanzia, esita, (v. 3), Saul le garantisce che non le sarebbe successo niente e insiste perché faccia risalire Samuele (vv. 9,10). La donna ubbidisce e dice a Saul: «Io vedo un dio (elohim) che sale dalla terra» (v. 13). Descrive a Saul ciò che vede: un vecchio «avvolto in un mantello» (v. 14).

Dalla descrizione della medium, Saul conclude che è Samuele e continua chiedendo che cosa avrebbe dovuto fare davanti all’imminente sconfitta nella guerra contro i filistei. Lo spirito, personificando Samuele, rimprovera Saul perché l’ha disturbato, visto che Dio ha abbandonato il re. Poi, profetizza contro Saul come se parlasse da parte del Signore. Trucemente, lo spirito predice la condanna di Saul: «Domani tu e tuoi figli sarete con me» (cfr. 1 Sam 28:19; 1 Cr 10:13,14). Poi, lo spirito ritorna da dove è venuto.

Importanza del racconto

I dualisti trovano in questo racconto una delle prove più chiare della sopravvivenza dell’anima alla morte. John Cooper, per esempio, trae da questo episodio quattro rilevanti conclusioni circa il pensiero dell’Antico Testamento sullo stato dei morti. Egli scrive: «1. È chiaro che c’è continuità d’identità personale fra i viventi e i morti. In altre parole, il Samuele morto è ancora Samuele, non qualcuno o qualcos’altro… 2. Benché questo sia un avvenimento molto insolito, Samuele è un residente tipico dello sheol, visto che aspetta che Saul e i suoi figli lo raggiungano… 3. Nonostante dica che stesse riposando, gli era possibile ancora “svegliarsi” e occuparsi di vari aspetti di comunicazione consapevole… 4. Samuele è un “fantasma” o un’ombra, non un’anima platonica o una mente cartesiana… Il suo corpo era seppellito a Rama (1 Sam 28:3), eppure egli era nello sheol e appare a Endor in forma corporea».[30]

Nello stesso modo, Robert Morey sostiene che questo racconto mostri come «Israele credesse in una vita ultraterrena consapevole. Mentre era loro proibito partecipare a sedute spiritiche, non di meno, credevano che l’uomo con la morte, fosse estinto». [31]

Questi tentativi di utilizzare l’apparenza «spirituale» di «Samuele» agli ordini di un medium per provare l’esistenza consapevole delle anime disincarnate dopo la morte, ignorano cinque importanti aspetti.

  1. Non si tiene conto dell’insegnamento della Scrittura circa la natura dell’uomo e della morte come abbiamo già esaminato. L’uomo biblico considera la morte come la cessazione della vita dell’intera persona; ciò preclude l’esistenza conscia delle anime.
  2. Ignora l’ordine solenne di astenersi dal consultare gli «spiriti familiari» (cfr. Lv 19:31; Is 8:19), trasgressione, questa, punita con la morte (Lv 26:6,27). Saul stesso, infatti, morì «a causa dell’infedeltà che egli aveva commessa contro il SIGNORE per non aver osservato la parola del SIGNORE, e anche perché aveva interrogato e consultato quelli che evocano gli spiriti mentre non aveva consultato il SIGNORE » (1 Cr 10:13,14). La ragione della condanna a morte prevista per chi consultasse gli «spiriti» è che questi erano «spiriti maligni» o angeli decaduti, che personificavano i morti. Questa pratica avrebbe finito per condurre le persone ad adorare il diavolo anziché Dio. Il Signore difficilmente avrebbe potuto decretare la pena di morte per chi avesse comunicato con gli spiriti dei cari defunti se questi fossero esistiti e se la comunicazione fosse stata possibile. Non c’è nessuna ragione morale da parte di Dio per infierire sul dolore della morte, opponendosi al desiderio umano di comunicare con i cari defunti. Il problema è che tale comunicazione è impossibile, perché i morti sono in uno stato di incoscienza e non possono comunicare con i viventi. Qualsiasi comunicazione che possa intercorrere non è già con gli spiriti dei morti, ma con gli spiriti maligni. Questo è suggerito anche dall’affermazione della medium: «Vedo un Dio (elohim) che sale dalla terra» (1 Sam 28:13). Il plurale elohim è usato nella Bibbia non solo per Dio, ma anche per i falsi dei (cfr. Gn 35:2; Es 12:12; 20:3). La medium ha visto un falso dio,

o spirito maligno, che personificava Samuele.

  1. Questa interpretazione deve supporre che il Signore potesse accettare di parlare con Saul mediante una medium, dopo aver già rifiutato di comunicare con lui attraverso mezzi legittimi. Una comunicazione con Samuele, quale profeta, sarebbe allora stata una comunicazione indiretta con Dio. La Bibbia afferma, però, che il Signore si era rifiutato di comunicare con Saul (1 Sam 28:6).
  2. Esso ignora la straordinaria difficoltà di supporre che uno spirito morto potesse apparire come «un vecchio… avvolto in un mantello» (1 Sam 28:14). Se gli spiriti dei morti sono anime disincarnate, ovviamente non hanno bisogno di essere avvolti in vestiti.
  3. Ignora le implicazioni della truce predizione: «Domani tu e i tuoi figli sarete con me» (1 Sam 28:19). Dove doveva avvenire quest’appuntamento fra il re e l’imitatore di Samuele? Era nello sheol, come suggerisce Cooper? Se ciò fosse vero, significherebbe, allora, che i profeti di Dio e i re apostati condividono gli stessi spazi dopo la morte. Questo è contrario alla credenza popolare che vuole che alla morte i salvati ascendano al cielo e i reprobi scendano nello sheol, l’inferno. Inoltre, se Samuele fosse stato in cielo, lo spirito imitatore di Samuele avrebbe detto: «Perché mi hai fatto scendere?». Invece dice: «Perché mi hai disturbato facendomi salire?» (1 Sam 28:15). Era forse cambiato il luogo dei salvati, dallo sheol sotto la terra, al cielo sopra la terra?

Riflessioni come queste autorizzano a credere che la seduta spiritica di Endor non sostenga in alcun modo la nozione dell’esistenza consapevole delle anime disincarnate dopo la morte. È evidente che non era lo spirito di Samuele che comunicava con Saul. Molto probabilmente, un demone personificava il defunto Samuele come ancora succede in molte sedute spiritiche. Le Scritture rivelano che Satana e i suoi angeli hanno l’abilità di cambiare la loro sembianza e di comunicare con gli esseri umani (cfr. Mt 4:1,11; 2 Cor 11:13,14). Il racconto dell’apparizione «spirituale» di Samuele a Endor dice molto poco in merito all’esistenza dopo la morte, ma rivela molto circa gli inganni mirati di Satana. Mostrano come Satana abbia avuto successo nel promuovere la menzogna, «non morirete», usando mezzi sofisticati come la personificazione dei morti mediante gli spiriti maligni.

Conclusione

Lo studio della parola ebraica che indica «il regno dei morti» (sheol) mostra che in nessuno dei testi esaminati, lo sheol sia il luogo di punizione per gli empi (l’inferno) o il luogo per anime e spiriti che hanno una vita cosciente dopo la morte. Il regno dei morti consiste in uno stato di incoscienza, di inattività e di sonno, che continua fino al giorno della risurrezione. Anche il termine refain, tradotto generalmente con «debole» o «ombra», indica non spiriti disincarnati che galleggiano nel mondo sotterraneo ma morti che abitano nella polvere. Si è anche trovato che i morti vengono definiti «i deboli» (refain), (Is 14:10) perché sono privi di forza. Il racconto dell’apparizione «dello spirito» di Samuele a Endor dice molto poco circa l’esistenza cosciente dopo la morte, perché quello che ha visto la medium era un falso dio (elohim, 1 Sam 28:13) o uno spirito maligno che personificava Samuele, non l’anima del profeta.

Nota:

Questo studio è stato tratto dal libro “Immortalità o Risurrezione?”, di Samuele Bacchiocchi, teologo, della Andrews University, Michigan, U.S.A., ed. AdV, Impruneta, (FI).

[1] A. HEIDEL, The Gilgamish Epic and the Old Testament Parallels, Chicago, 1949, pp. 170-207.

[2] Cfr. D. ALEXANDER, «The Old Testament View of Life After Death», Themelios II, 2, 1986, p. 44.

[3] R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis, 1984, p. 72.

[4] Selected Shorter Writings of B.B. Warfield, ed. J. Meeter, Trenton, New Jersey, 1970, pp. 339,345.

[5] G.E. LADD, «Death» The New Bible Dictionary, eds. F. F. Bruce and others, Grand Rapids, 1962, p. 380.

[6] J.G.S.S. THOMSON, Death and the State of the Soul after Death, in Basic Christian Doctrines, ed. Carl F.H. Henry, New York, 1962, p. 271.

[7] R.A. MOREY, Op. cit., p. 73.

[8] W.G.T. SHEDD, The Doctrine of endless Punishment, New York, 1886, p. 23. Cfr. L. BERKHOF, Systematic Theology, Grand Rapids, 1953, p. 685; J.E. BRAUN, Whatever Happened to Hell?, Nashville, 1979, pp. 130-142.

[9] 240 J.W. COOPER, Body, Soul, and Life Everlasting: Biblical Anthropology and the Monism-Dualism Debate, Grand Rapids, 1989, p. 61.

[10] T.H. GASTER, «Above of the Dead», The Interpreter’s Dictionary of the Bible, Nashville, 1962, p. 788.

[11] J. PEDERSEN, Israel: Its life and Culture, Atlanta, 1991, vol. 1, p. 462.

[12] R.W. DOERMANN, Sheol in the Old Testament, Ph. D., dissertation, Duke University, 1961, p. 191.

[13] T.H. GASTER, Op. cit., p. 787.

[14] R.W. DOERMANN, Op. cit., p. 37.

 

[15] Cfr. Sal 30:3; Prv 1:12; Is 14:15; 38:18; Ez 31:16.

[16] In Numeri 16:33 viene detto dei ribelli che «scomparvero nello sheol».

[17] A.A. HOEKEMA, The Bible and the Future, Grand Rapids, 1979, p. 96.

[18] H.W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia, 1975, p. 137.

[19] N.H. SNAITH, «Life after Death», Interpretation I, 1947, p. 322.

[20] R.A. MOREY, Op. cit., p. 79

[21] R.A. PETERSON, Hell on Trial: The Case for Eternal Punishment, Phillipsburgh, New Jersey, 1995, p. 28.

[22] Cfr. Gb 26:5; Ps 88:10; Prv 2:18; 9:18; 21:16; Is 14:9; 26:14,19.

[23] R.A. MOREY, Op. cit., p. 78.

[24] . HAUPT, «Assyrian Rabu, “To Sink” - Hebrew “rapha”», American Journal of Semitic Languages and Literature 33, 1916,1917, p. 48.

[25] J. PEDERSEN, Op. cit., p. 180.

[26] J.W. COOPER, Op. cit., pp. 71,72.

[27] Ibidem.

[28] Incidentalmente, «fare nascere» i refain difficilmente sostiene la nozione che questi sono spiriti viventi, consapevoli e disincarnati.

[29] B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality: An Examination of the Nature and meaning of Life and Death as They Are Revealed in the Scriptures, Taunton, England, s.d., pp. 41,42.

[30] J.W. COOPER, Op. cit., pp. 65,66.

[31] R.A. MOREY, Op. cit., p. 49.