05. Legge e Grazia

05. Legge e Grazia

«Voi non siete sotto la legge, ma sotto la grazia» (Rm 6:14).

Questo studio è stato tratto dal libro “La legge di libertà” di R. Badenas, ed. AdV, Impruneta, (Fi)

Per il suo equilibrio spirituale l’uomo necessita, allo stesso tempo, della legge e della grazia, di norme che lo orientino e della possibilità di inquadrare nuovamente il fine della sua esistenza, quando smarrisce il cammino. Nessuno ha descritto questa duplice necessità in un modo tanto efficace, quanto lo ha fatto Franz Kafka nel Processo.

Questo enigmatico racconto narra della lotta di un uomo in libertà provvisoria – chiamato Josef K. – che cerca fino all’ultimo respiro, in un mondo meschino, ingiusto e corrotto, un’istanza suprema, giusta e nobile, che risolva il suo caso. Nei suoi ricorsi ai tribunali non trova nessuna soluzione. In realtà nessuno aiuta nessuno, in un mondo privo di valori, superficiale e sinistro, quello di K. La pietà della sua stessa madre, espressione della vecchiaia, suscita in lui un «sentimento vicino alla repulsione».1

L’unica cosa che tiene desta la sua volontà di lottare è il bisogno imperioso di giustizia. K. sembra presentire l’esistenza di un tribunale supremo al quale non riesce a pervenire e di cui sente l’estremo bisogno. La sua visita fortuita alla cattedrale non gli porta che scoraggiamento. La buona fede del cappellano del carcere non era in discussione, ma nonostante questo, la sua predicazione non offriva alcuna via d’uscita.2

La sua strana parabola del contadino immobilizzato davanti a una misteriosa porta aperta, sottolinea la difficoltà che ha l’essere umano a trovare da solo l’uscita dai suoi problemi, nonostante che nessuno lo ostacolasse realmente. Una sentinella sembrava impedirne l’entrata, ma in realtà «si eclissò, davanti alla porta, aperta come sempre».3 Se l’uomo non cerca di entrare, non può prendersela con nessuno. Gli ostacoli che gl’impediscono di penetrare nell’ambito misterioso della legge, sono dovuti alla sua immaginazione o ai suoi timori. L’accesso gli sarebbe consentito. Il desiderio di addentrarsi in quell’affascinante luogo si accompagna a un’indecisione che sfiora la complicità. Paradossalmente, entrambi gli impulsi si rafforzano tra di loro. Comunque, l’uomo non arriva a confrontarsi con la legge, né con la luce che brilla al di là di essa.4

Anche K. desidera farsi avanti. Ma egli ignora se il giudizio lo assolverà o lo condannerà; per questo differisce costantemente la sua comparizione, con reticenze e pretesti privi di fondamento, che lo chiudono in un tunnel senza uscita di confusione e di dubbi, sospeso tra verità e menzogna, reale e immaginario.

Così posta la questione, la legge è cercata e rifiutata allo stesso tempo, fino alla morte, in un dilemma che rivela da un lato la necessità di essere giustificato e dall’altro la paura di essere condannato. Per K. l’arresto presuppone la duplice presa di coscienza di essere contemporaneamente vittima e colpevole. Confuso da questa duplice rivelazione, convinto della sua innocenza, arriverà ad accettare la sua condanna pur sentendo forte il desiderio di essere assolto.5

La struttura del racconto consiste nell’eliminazione progressiva di tutte le soluzioni che potrebbero alleviare la tormentata esistenza di K., fino al raggiungimento della soluzione che il dramma umano trascende l’umanità stessa, essendo velato da un enigma.

La sua speranza sarebbe posta su di un giudizio finale, rimandato indefinitamente, a causa del fatto che se ne ignora il modo per fargli fronte. Per quale delitto, colpa o peccato sarà giudicato? Lo sconcerto derivante dall’ignorare i propri errori è parte della tortura, visto che K. ha il presentimento di azioni e cose di cui non ha, tuttavia, piena coscienza.6

Esistere è un processo. L’uomo, come segnala Kafka, si sente colpevole anche nel fondo della propria innocenza. La sua natura racchiude la necessità di assumere le proprie colpe e ricevere l’assoluzione. Per liberarsi da questa tristezza avrebbe bisogno di conoscere le intenzioni del giudice supremo. Il reo saprebbe allora dove va e quale cammino seguire. Al contrario, ignorando una cosa tanto essenziale, passerà la vita fuggendo. Giudicato, assolto o condannato che fosse, sarebbe libero da questa tortura. Tuttavia, siccome egli non può evitare il timore del giudizio, con mille scuse e artifici, troverà il modo di scappare a oltranza sapendo che senza un giudizio non vi sarà mai tregua. Ciò che resta è l’angustia e il desiderio tormentato della grazia.

Tutti i commentatori hanno riconosciuto nell’ossessione di K. il dramma dello stesso Kafka, le sue difficoltà ad accettarsi, assolversi, il suo bisogno profondo di giustificazione. Il processo è la storia tragica, misteriosa di una vita trasformata dal proprio essere in un carcere dalla porta aperta, dal quale non si riesce a scappare con le proprie forze. Il suo merito indiscutibile è quello di raccontare con una dolorosa lucidità e una onestà tanto chiara quanto disperata, il proprio dramma davanti ai grandi interrogativi dell’esistenza. Malato, solo, sradicato dalla famiglia e dalle sue tradizioni, perduto tra i labirinti di un mondo crudele, la sua arte risiede nell’aver saputo trarre dai suoi problemi personali una parabola vivente sulla condizione umana. Il suo dramma è quello dell’umanità intera.7 Nel raccontare il suo destino, racconta, nello stesso tempo, la storia di tutti i perseguitati, gli sfiduciati, le vittime di tutte le guerre, i criminali in fuga e di tutti gli esseri umani alla ricerca di giustizia e perdono, esprimendo con un grido, il suo bisogno della grazia.

Una discutibile opposizione

Nel contesto biblico, la relazione tra la legge e la grazia è una questione complessa che si presenta a prima vista in contrapposizione. Ciò è dovuto al fatto che la legge presenta le esigenze divine per l’uomo e la grazia l’opera di Dio in favore della salvezza umana.

Inoltre la questione è tradizionalmente polemica, visto che queste nozioni non indicano la stessa cosa per tutti. Di conseguenza, la percezione di questa relazione sarà diversa per coloro che intendono per legge l’insieme della rivelazione divina (in questo caso legge e grazia sono compatibili), mentre altra cosa intenderanno coloro che associano il codice mosaico al legalismo (in questo caso, legge e grazia si contrappongono).

Lasciando da parte le controversie sul tema nell’ambito della storia della chiesa, ci limiteremo a vedere la relazione tra legge e grazia nella Bibbia per concludere finalmente nella vita quotidiana.

Colui che più ci parla del conflitto tra la legge e la grazia, è senza dubbio alcuno l’apostolo Paolo, il quale contrappone queste due realtà per far risaltare le loro differenti funzioni nell’economia cristiana. Come abbiamo esposto, per molti suoi contemporanei il centro di gravità della vita religiosa si era spostato dalla comunione con il Dio liberatore, alla preoccupazione per il compimento della legge. Gli scribi avevano elaborato attorno alla Torah uno spesso cerchio di disposizioni in «caratteri minuscoli» che cercava di regolamentare tutto, rendendola un peso insopportabile. Di una legge al servizio dell’alleanza, avevano fatto una fine a se stessa.

Sebbene l’Antico Testamento sembri situarsi sotto il segno della legge, in realtà una lettura attenta ci permette di scoprire che la legge è parte della rivelazione della grazia,8 con l’obiettivo di aiutarci a vivere una vita più felice. Come saggio educatore, la legga doveva condurre l’umanità durante gli anni della sua infanzia spirituale, fino alla libertà di un’alleanza rinnovata (Gal 3:24-29).

Se analizziamo nei dettagli il contenuto e le funzioni della legge, nel segno della Bibbia, vedremo che il fulcro di essa è la grazia, cioè la volontà divina di salvare l’umanità, dalla quale conseguono le iniziative e i mezzi per eseguire il piano di Dio.9

Le Scritture parlano, soprattutto, degli indicativi di Dio, di ciò che egli ha fatto, fa e farà per recuperare l’uomo. I suoi numerosi imperativi, norme e leggi esprimono ciò che Dio propone all’essere umano non tanto per farlo giungere all’aldilà, ma farlo vivere meglio nel presente e nel quotidiano. I testi biblici lasciano intendere chiaramente che la salvezza è un’impresa divina. «Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù d’opere affinché nessuno se ne vanti» (Ef 2:8-9). Mediante la fede non «otteniamo» la salvezza, ma piuttosto, la manifestiamo mentre accettiamo la salvezza senza meritarla. Dio viene incontro a noi senza esigere prima da noi «un buon comportamento». Prima ci accoglie, poi ci insegna a vivere. Questa verità basilare si definisce in teologia «giustificazione per fede».

I primi cristiani inquadrarono molto bene la questione della funzione della legge nella teologia della grazia. La polemica tra i giudeo-cristiani di Gerusalemme e i pagano-cristiani di Antiochia sulla necessità della circoncisione, gira attorno a una domanda essenziale: come si ottiene la salvezza, osservando la legge o accettando la grazia?

La grande rottura tra la chiesa e la sinagoga, iniziata con Gesù, si consumò su questo punto, a partire da Paolo. Il dibattito tra la legge e la fede non avrebbe mai provocato questo scisma se si fosse trattato semplicemente di scegliere tra legalismo e spiritualità. Però qui si presenta il problema. Il giudaismo ortodosso sapeva che la legge era ben più che un testo e che il suo contenuto spirituale richiedeva un’interiorizzazione senza la quale correva il rischio di trasformarsi in una parodia grottesca della volontà di Dio. Gli insegnamenti di Gesù e Paolo si situavano forse, all’avanguardia del giudaismo più autentico. Per il farisaismo, la giustificazione dell’uomo si realizzava «tra i quattro gomiti del compimento della Torah».10 Per i cristiani la salvezza è opera del Messia e non procede dall’osservanza di una legge redentrice, ma dalla grazia del Redentore.

Triplice liberazione

L’epistola ai Galati nacque nel fuoco di questo primo dibattito che divise la chiesa (Gal 2:11-14). Paolo mise in evidenza, con la sua poderosa argomentazione teologica, la forza liberatrice dell’evangelo di Gesù Cristo, di fronte alla regnante e indesiderata schiavitù della legge (Gal 4:1-25). Più tardi, nell’epistola ai Romani, abborderà il problema con più serenità e in modo più ricco di sfumature. In entrambi gli scritti, Paolo spiega che l’opera di Cristo apporta una triplice liberazione: dal peccato, dalla legge e dalla morte.

  1. L’obiettivo immediato di Cristo è di liberare il credente dalla schiavitù del peccato. Poiché l’essere umano è immerso in tanti problemi dai quali non può uscire da solo, la soluzione è possibile solo per grazia, cioè a causa di un’amnistia.11
  2. Essa porta la liberazione dalla condanna. La legge disapprova il peccato, però non dona la forza necessaria per evitarlo. Allo stato attuale dell’umanità, questa situazione provoca talvolta scoraggiamento, altre volte ribellione (Rm 7:2-25). Cristo ci libera contemporaneamente dalla legge come consapevolezza del nostro insuccesso e come illusione di una giustizia posseduta per meriti nostri, mostrandoci nella sua grazia la via d’uscita.
  3. Finalmente, Cristo ci offre la liberazione dalla morte, conseguenza del peccato, donandoci l’accesso alla vita eterna (Rm 6:8-11,13; 1 Cor 15:20-22,55-57) grazie a una reintegrazione o rigenerazione definitiva.

Questa triplice liberazione si realizza in tre fasi:

  1. In una prima fase, che potremmo definire storica, Cristo assume la natura umana decaduta, molto oltre i limiti della morte e misteriosamente apre così la via della redenzione.12 La nostra libertà resterà segnata definitivamente dalla croce.
  2. In una seconda fase, che potremmo definire personale o esistenziale, il credente si appropria del trionfo ottenuto da Cristo e sperimenta per fede una autentica nuova nascita, simboleggiata dal battesimo.
  3. Nell’ultima fase, che potremmo chiamare spirituale e che dura per il resto dell’esistenza, il potere dello Spirito Santo (Gal 5:16-25; cfr. Fil 4:13) produce i suoi frutti di liberazione progressiva dal peccato e, come conseguenza, dalla legge che condanna.13

Questo processo di liberazione trascende questa vita. Ne consegue che la nostra libertà è sempre precaria e provvisoria, in attesa di quella definitiva. Anche se Dio desidera qui e ora, liberazione e ubbidienza, promette soprattutto una liberazione e un’ubbidienza più completa nel futuro. La legge stabilisce ciò che si richiede nel presente, mentre annuncia ciò che promette nel domani. Rimettendosi al potere della grazia, le proposte divine optando per ciò che è meglio, agiscono già in realtà, come strumenti di grazia. Rispettare la legge altro non è che l’accettazione della salvezza fino alle sue ultime conseguenze.

Legge e grazia forse, come lettera e spirito, forma e contenuto, non si oppongono né si escludono ontologicamente, piuttosto si integrano costituendo un tutto inseparabile. Coloro che contrappongono legge e grazia, dimenticano che «la lettera uccide» e «lo spirito vivifica» (2 Cor 3:6) si riferiscono alla stessa legge. La prima nella sua configurazione giuridica, la seconda nella sua dimensione spirituale. Vedere la legge in opposizione alla grazia è teologicamente assurdo, perché entrambe provengono da Dio. Egli diede la sua legge a un popolo liberato, per aiutarlo a rimanere libero nel suo cammino verso la terra promessa e portarlo ogni volta più vicino al suo ideale, non certo per rendergli difficile la vita o per imporgli una nuova schiavitù. La grazia, lungi dall’opporsi alla legge, «ci insegna a rinunciare alle empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù. Egli ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle buone opere» (Tt 2:11-14). Come disse Agostino: «Fu promulgata la legge perché si cercasse la grazia, e concesse la grazia perché si compisse la legge».14

Amore e legge

L’opposizione tra amore e legge, come se si trattasse di due poli inconciliabili, non ha alcuna base biblica. Negare l’importanza dei comandamenti sostenendo che ciò che importa è l’amore, come se entrambe le realtà fossero incompatibili, non ha alcun senso.

In effetti chi ama con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, non vive sotto la legge, ma sotto la grazia, visto che chi opera per amore è di fatto una persona libera. Tuttavia amare Dio presuppone l’accettazione della sua volontà. La Bibbia insiste sul fatto che i comandamenti conservano la loro validità (Mt 5:18-21), perché senza la realtà concreta dell’azione, le promesse d’amore non sono che parole.15 Da qui deriva il fatto che nella tradizione ebraica, si afferma che «l’adempimento della mizvah (comandamenti) è indispensabile per la sua comprensione».16

In realtà ogni comandamento richiede, per essere osservato pienamente, un enorme dose d’amore. Per l’osservatore esterno (come per chi vede muoversi da lontano qualcuno che suona uno strumento, però non può percepire la musica) si tratta di gesti la cui esecuzione meccanica sembra priva di senso. Senza dubbio chi vive i comandamenti a partire dalla loro ragion d’essere, sperimenta un’esistenza nella quale le nozioni di «lettera e spirito» coincidono. Vivere per amore trascende la dicotomia tra legge e grazia e in questo sforzo di unificazione, la legge perde l’asprezza dei suoi imperativi presenti a beneficio dei suoi indicativi e dei suoi beni futuri.

Il progetto divino è trasformare l’essere umano mediante il trionfo dell’amore. Per dirla con il linguaggio veterotestamentario, si tratta di conseguire la «circoncisione dei cuori» (Dt 10:16; Lv 26:41); i cuori avari dei ricchi, i cuori carichi di risentimento dei poveri, quelli crudeli degli oppressori, di pietra degl’indifferenti, pieni d’inimicizia di tanti esseri umani.17 Quando nel Sermone sul monte Gesù riassume i suoi insegnamenti sulla vita cristiana, sottolinea il valore delle motivazioni prima ancora dei comportamenti, lo spirito della legge prima della lettera della legge, la grazia ben oltre la legge. Il fatto che «la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1:17), significa che egli, mediante il suo Spirito, produce nel credente attitudini che non solo compiono, ma superano le esigenze dei comandamenti.18

Nella parabola del buon samaritano (Lc 10:30-37), Gesù denuncia il fatto che in nome della legge, il sacerdote, il levita passano mantenendosi lontani da un ferito morente in un fosso, riparandosi dietro il fatto che il regolamento proibiva loro di toccare sangue o cadaveri umani. In nome della grazia, senza dubbio, il samaritano si fa carico del ferito e lo porta al posto di soccorso più vicino, felice di essere arrivato in tempo per salvare una vita.

Trasgressione e grazia

Un aspetto essenziale della legge divina è che essa prevede la nostra trasgressione. Tenendo conto della fragilità della natura umana, dell’egoismo e la codardia che rapidamente ci portano a perdere di vista i nostri buoni propositi, Dio non si limitò a indicarci con una legge il cammino della libertà. Come abbiamo visto già attraverso il rituale del santuario, anticipo della salvezza annunziata, ci mostrò ancora come superare le inerzie che ci dominano, oltre i nostri insuccessi.

La rivelazione divina ripete senza sosta che la riconciliazione e il perdono sono tuttavia possibili. Che riparare gli errori non significa negarli o reprimerli confinandoli nel subcosciente, né colpevolizzarsi senza fine tentando di compensarli attraverso sacrifici e penitenze, fino alla tragedia del suicidio, schiacciato dal peso del rimorso. Ma, è necessario confessare insufficienze e sbagli, liberarsi della zavorra delle proprie cadute, prendere sul serio il potere liberatorio dello Spirito e accettare, con il perdono, un futuro nuovo.

Non che ci si possa liberare esistenzialmente del proprio passato, né che esso possa scomparire. Il problema è che il tempo perso può essere trasformato in tempo salvato, quando Dio si fa carico di esso. Tutto il negativo della mia storia è nelle mani della sua misericordia, non nell’inferno nel mio subcosciente, definitivamente fuori dalla mia portata. Comprendo che devo pentirmi dei miei errori senza il bisogno di torturarmi in maniera infinita. Significherebbe prendere il mio perdono alla leggera, dimenticando la portata infinita della grazia. Se mi ha liberato dal peso infinito del passato, mi può liberare anche dalle sue conseguenze. Grazie alla mia nuova libertà posso continuare il mio cammino con nuove forze, sapendo che la mia vita può ricominciare su basi migliori.

La grazia di Dio, cioè il suo amore, si rivela non solo nell’atto di perdonare i nostri errori passati, ma anche nell’aiutarci a superarli. Se la legge è il testo di un’alleanza con un popolo liberato, basata nella grazia assoluta di un Dio che assume il carico di un popolo di schiavi per trasformarlo nel depositario della sua rivelazione, il Salvatore desidera trasformarsi nel Signore dei liberati. Potremmo dire che attraverso la sua legge e la sua grazia, divide la storia umana in due parti, con due diversi finali, «prima che io intervenissi nella tua vita, eri schiavo; ora, se smetto di farlo, continuerai a esserlo. Però se accetti il mio piano, un giorno sarai finalmente libero».

Quindi per accettare il Vangelo della grazia non è necessario abbandonare la legge, ma il nostro concetto sbagliato di essa. Il suo vecchio testo può essere visto come un codice penale o come un passaporto per la speranza, come una lista di ordini impossibili da osservare o come una promessa di liberazione, come una restrizione imposta o come un magnifico regalo.

L’importante è la prospettiva e da essa dipenderà se abbiamo capito che colui che ci ha liberati dall’Egitto, l’unico capace di liberarci dalle altre schiavitù, non esige nulla che non dia per primo. Al contrario dice testualmente: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15:5).

Colui che è stato capace di morire su una croce per noi, mai potrà desiderare che ci separiamo da lui. Per questo, ben oltre la sua legge allo stesso tempo barriera e cammino, e attraverso la sua grazia, allo stesso tempo dono e promessa, nostro giudice ma anche padre geloso e sposo innamorato, ci invita a condividere la sua vita per sempre (Gv 3:16).19

Note:

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1 F. Kafka, Opere: il processo; racconti a cura di G. Baioni, Bompiani, Milano, 1974.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Ibidem.

5 J. M. Gliksohn, Il processo di Kafka, (Trad. S. Vigezzi), Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1977, pp. 56,57.

6 B. Groethysen, Introduction à le procès, Gallimard, Paris, 1933, p. 26.

7 Unitamente a M. Brod, che vedeva nel Processo l’eterno problema di Giobbe, Paul Claudel mise in evidenza «l’espressione di un Kafka, ebreo che, sulla soglia del cristianesimo, inciampa e cade, cieco, senza comprendere ciò che cerca», Figaro littéraire, 78, 18 ottobre 1971, p. 12.

8 Il Salmo 119:29 dice: «Nella tua grazia fammi comprendere la tua legge» (cfr. v. 127), identificando legge e grazia come espressioni dell’amore di Dio che desidera, attraverso i suoi precetti, aiutarci a vivere meglio, qui e sempre.

9 Come lettura introduttiva sul tema, vedi: E. F. Kevan, La Ley y el Evangelio, Ediciones Evangelicas Europeas, Barcelona, 1967.

10 Un’antologia voluminosa non basterebbe a menzionare tutti i testi della letteratura talmudica e mistica che parlano del potere redentivo della Torah.

11 Cfr. Romani 1:18, 6:1-4, 14, 20-23, ecc.

12 Cfr. Galati 5:1. Che una sola azione di un solo uomo possa cambiare il destino dell’umanità è un’idea profondamente radicata nella tradizione biblica. Romani 5:12-21. Cfr. A. J. Heschel, Il sabato – il suo significato per l’uomo moderno, (trad. L. E E. Mortara Di Veroli) Rusconi, Milano, 1972 p. 28.

13 Quest’opera si chiama nella Bibbia “santificazione” (Gal 2:19).

14 Agostino di Ippona, De spiritu et littera, 19:34; G. Soehgen, La Ley y el Evangelio, Herder, Barcelona, 1966, pp. 109-137.

15 «Anche i mistici ebrei, i quali cercano il significato allegorico della Scrittura e considerano il senso nascosto superiore al significato ovvio e nudo, affermano costantemente che il segreto della Bibbia rimane nel significato letterale» (A. J. Heschel, Dio alla ricerca dell’uomo: una filosofia dell’ebraismo, Borla, Torino, 1969, citato da A. Neher, op. cit., pp. 169-171).

16 A. Neher, op.cit., p. 146.

17 Il piano di Dio propone, inoltre, la circoncisione delle istituzioni: il culto deve essere un anticipo della salvezza prefigurata, il sacerdozio una piattaforma di servizio, ecc.

18 Cfr. Galati 5:22-23; Romani 13:8-10.

19 «Nessuno può presentare debitamente la legge divina senza il Vangelo e viceversa. La legge è la sintesi del Vangelo e il Vangelo è la realizzazione della legge. La legge è la radice, l’evangelo il suo fragrante frutto» (Ellen G. White, Parole di vita,Edizioni ADV, Impruneta, 1990, p. 82).