Breve excursus sul santuario nella lettera agli Ebrei

di Francesco Zenzale

Introduzione

Ebrei più che una lettera è un trattato cristologico, probabilmente una serie di omelie tenute dall’autore,[1] rivolte ai giudei – cristiani e poi, in modo riassuntivo, indirizzate a una specifica comunità. Infatti, nella lettera ricorrono frequenti esortazioni che costituiscono un trait d’union[2] fra la conclusione di ogni tematica esposta e la successiva dissertazione; e soprattutto, l’autore, espone un’ampia visione teologica, dove la storia della salvezza è raccontata attraverso l’antico patto; che per quanto divinamente ispirato deve considerarsi superato, perché giunto al suo pieno compimento.

Nella lettera non c’è traccia di un’introduzione in stile epistolare (presentazione, destinatari, saluti, ecc.), ma inizia con un grandioso esordio (1:1-4), che offre ai destinatari, i quali hanno qualche difficoltà a svincolarsi dal sistema cultuale ebraico (5: 11-14), la gioia di scoprire Gesù, il figlio di Dio, la rivelazione per eccellenza della benignità di Dio, colui che adempie pienamente e definitivamente tutto ciò che lo preannunciava nell’Antico Testamento.

Ciò che contraddistingue la lettera è lo stile letterario antitetico[3] con il quale l’autore cerca di trasmettere il suo intendere la Parola ispirata. Egli mette a confronto l’antico e il nuovo patto (Eb 8:1-13); il primato di Cristo come rivelazione per eccellenza di Dio (Eb 1:1-2) in relazione agli angeli e ai profeti; Gesù, Sommo Sacerdote e vittima (Eb 2:17-18; 4: 14-15; ecc) in rapporto ai sacerdoti dell’antica alleanza, del sistema sacerdotale e dei suoi sacrifici.

Il cielo

L’autore, esordisce affermando che Gesù fin dal giorno della sua ascensione e della sua intronizzazione, alla presenza degli angeli, è già nel cielo e alla destra del Padre. Il Dio che parla, che agisce in favore dell’umanità, per mezzo di suo figlio, “splendore della sua gloria e impronta della sua essenza" […] dichiara che Gesù “si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi” (1:3).[4]

L’insegnamento riguardante la presenza di Gesù alla destra di Dio o “nell’alto dei cieli”, lo troviamo in numerosi testi del Nuovo Testamento[5] come anche nella lettera agli Ebrei.[6]

Secondo le Sacre Scritture, nel cielo ci sono gli angeli che fungono da servi e messaggeri di Dio in favore dell’umanità e, quindi, vanno e vengono dal paradiso.[7] Satana e i suoi angeli sono stati allontanati dal cielo.[8] Enoc ed Elia sono traslocati vivi in cielo, Mosè risuscitato è in cielo e al ritorno di Cristo i credenti regneranno con Cristo, nel cielo, per mille anni.[9] Dio è chiamato “Dio del Cielo” e il cielo stesso è il trono di Dio, oppure il suo trono è nel cielo e può anche comparire con un vocabolo sostantivo che sta per Dio o regno di Dio.[10]

Tutte queste espressioni indicano che Dio non può essere incluso entro uno spazio tridimensionale dove è possibile incontrarlo seduto su un trono, circondato dagli angeli, con Gesù alla sua destra e lo Spirito Santo, forse, alla sua sinistra, in procinto di ricevere i suoi messaggeri celesti. Le raffigurazioni dello spazio costituiscono solo un’insignificante parte del messaggio biblico; la realtà è un’altra, e cioè che i testimoni hanno usato le rappresentazioni della loro epoca per esprimere per mezzo d’esse la volontà di Dio.

Che Dio dimori in cielo o che sia seduto sul suo trono o sulle nuvole,[11] sono delle affermazioni come tante altre che cercano di descrivere da una parte la signoria e gloria, come anche la sua guida, il suo essere con e per il suo popolo; dall’altra che Egli è totalmente altro. E così egli abita sul Sinai, oppure nel tempio di Gerusalemme, ma anche nel cielo. Salomone costruisce un tempio maestoso, un luogo terreno, dove Dio possa abitare per sempre (1 Re 8:13), ma è altrettanto vero che Dio non abita in esso, poiché il cielo e nemmeno il cielo dei cieli possono contenerlo (1 Re 8:27). Dio può dire che abita ovunque (Sl 139), ma anche che egli dimora in una luce inaccessibile (1Tm 6:16): affermazione questa in cui manca ogni rappresentazione spaziale.

Il santuario paradigma dell’opera e della persona di Cristo

Uno dei problemi più sintomatici dell’interpretazione biblica è l’incapacità di andare oltre le parole, le espressioni e le immagini, cercando di afferrare che cosa effettivamente il Signore desidera rivelare. Spesso, purtroppo, ci si sofferma sulla forma piuttosto che sul contenuto e ciò può indurci a commettere degli errori di prospettiva teologica e spirituale, tali da dare più importanza alla struttura[12] rispetto al contenuto.

Nella breve introduzione di questo studio abbiamo evidenziato la peculiarità di questa lettera rispetto a tutto il Nuovo Testamento, come essa sia caratterizzata da una serie di antitesi che evidenziano quattro significativi insegnamenti.

  1. In primo luogo, l’intenzione dell’autore,[13] nel cercare di far comprendere ai destinatari che la loro posizione teologica nei confronti dell’antico patto, caratterizzata dai “primi elementi degli oracoli di Dio” o da una rivelazione parziale e transitoria della salvezza, non era in armonia con l’evento conclusivo della rivelazione di Dio (Eb 1:1-2), di cui il santuario è il modello per eccellenza e del quale gli interlocutori avrebbero dovuto essere già maestri (Eb 5: 12-14).
  2. In secondo luogo, la convinzione, e ciò è in armonia con il NT, che la fine è veramente vicina e presto tutti quelli che per amore di Cristo o che per fede camminarono come se vedessero l’invisibile Dio, che sono stati torturati, scherniti, flagellati, lapidati, uccisi di spada, tribolati e maltrattati, di cui il mondo non ne era degno, avranno la gioia di conseguire ciò che per lungo tempo hanno sperato e desiderato, ovvero la perfezione e la gioia di essere alla presenza di Dio, nella Canaan celeste (Eb 11: 25-40).
    In altre parole, il tempo in cui Dio parlava ai padri – di frequente e in vari modi – appartiene al passato perché “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (1:2). Ciò significa che le rivelazioni propedeutiche, tipologiche relative alla salvezza, per quanto indispensabili e rilevanti ma imperfette a causa della fragilità umana, cedono il posto all’ultima e definitiva rivelazione, quella di Gesù Cristo che è unica e totalizzante.
  3. In terzo luogo, le contrapposizioni evidenziano da una parte, l’egemonia di Cristo e della nuova alleanza: angeli e Figlio; Mosè e Cristo; sacerdozio levitico e sacerdozio di Cristo; sacrifici antichi, molteplici e inefficaci, e sacrificio nuovo, unico e universalmente sufficiente; generazione del deserto non ammessa al "riposo" della terra di Canaan e popolo nuovo chiamato al vero riposo di Dio; patria – patria o città celeste; Sinai e Sion o Gerusalemme celeste; ecc.[14] Dall’altra, delimitano il servizio sacerdotale dell’antico patto con i suoi sacrifici, prescrivendo la loro transitorietà.
  4. In quarto luogo, il Cristo che riassume in sé tutto ciò lo rappresentava, si riflette nell’insistenza sui concetti di perfezione e di perfetto,[15] di eterno,[16] di celeste[17] e di migliore[18] e di vero.[19] Lo stesso lo si evince nella serie tipologica dei contrasti: modello o esemplare e cose celesti (8:5) o che sono nel cielo (9:23), fatto dalla mano e non fatto dalla mano dell’uomo (9:24; 8:2), figura e verità (9:24) o realtà (10:1); ombra – realtà (10:1).[20]

Tutto questo significa per l’autore che il santuario,  cuore del pensiero religioso e della vita in generale del popolo d’Israele, annunciava l’evento conclusivo della storia dell’umanità, in altre parole l’incarnazione, la redenzione del nostro Signore Gesù Cristo e la beata speranza dei nuovi cieli e nuova terra.

Di fatto,

  1. Il santuario nel suo insieme rappresentava il “Dio con noi”, l’Emanuele, ovvero l’incarnazione di Cristo: “essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro” (Es 25:8).[21]
  2. Il sommo sacerdote raffigurava l’opera d’intercessione di Cristo: “a noi era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli” (Eb 7:26).
  3. I sacrifici prefiguravano l’atto mediante il quale Dio nella persona di suo figlio, per mezzo della sua morte e risurrezione, avrebbe posto fine definitivamente al peccato e a tutte le sue conseguenze (Gv 1:29).
  4. La fine del Kippur corrispondeva all’inizio della festa delle capanne, che prefigurava la nuova Gerusalemme, la città il cui architetto e costruttore sarebbe stato Dio, nella persona di Gesù Cristo (Eb 11:10; Gv 14:1-3).

Gesù e il ”luogo santissimo”

Che cosa l’autore della lettera agli Ebrei vuole trasmetterci quando afferma che Gesù è “ministro del santuario e della vera tenda che il Signore, e non un uomo, ha costruito?” (8:2).  E, che Cristo “sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta […] è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo?" (9:12, 24).

Tenendo conto dello stile letterario antitetico, e del servizio d’intercessione che il sommo sacerdote svolgeva, nel giorno del Kippur (Ebr 9:25),[22]  nel santissimo, in suo favore e in rappresentanza del popolo, pare ovvio che i termini “santuario” (8:2) e “luogo santissimo”[23] in Ebrei, specificano che Gesù è alla presenza di Dio “per sempre”. Infatti, l’autore dichiara che "abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli" (8:1), che egli è "nel cielo stesso, per comparire ora alla presenza di Dio per noi" (9:24).

In altre parole, come il sommo sacerdote era alla presenza di Dio in rappresentanza del popolo, anche Gesù, dal giorno dell’ascensione è alla presenza del Signore in rappresentanza della chiesa. Ciò significa che il servizio cultuale che il sommo sacerdote svolgeva nel Kippur, prefigurava l’opera di Cristo, il suo essere sommo sacerdote e vittima.[24] Come vittima, egli è esplosione di vita per l’umanità, perché “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv 3:16). Come sommo sacerdote, Gesù, alla destra di Dio, ci accompagna nel lungo e faticoso percorso di vita nell’attesa della beata speranza e rende possibile, anche se virtualmente, la gioia di essere al cospetto di Dio: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l'immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù” (Ef 2:4-6).[25]

Concludendo, “il sacrificio del sommo sacerdote della nuova alleanza va oltre il semplice paragone con la prassi sacrificale dell’Antico Testamento. L’opera di Gesù è il compimento definitivo di ogni legge sui sacrifici. Il sangue di Cristo ha definitivamente purificato la nostra coscienza e ha ottenuto una redenzione eterna (9:12-15; 10:4-14). Sono diventati perciò superflui quei sacrifici sull’altare soggetti a continue ripetizioni e gli altri atti cultuali della legge israelitica, che fino al Golgota erano nel segno della promessa. Nell’espressione “una volta per tutte” che è ripetuto spesso (Eb 7:27; 9:12; 10:10), il sacrificio di Cristo, storico e unico, è qualificato insuperabile, irripetibile e completo. Anche il riferimento a thysiaasterion, altare (13:10), indica l’evento del Golgota, decisivo “per noi”.[26]

Past- Francesco Zenzale

Per lo studio approfondito su  “Il santuario nella lettera agli Ebrei”: f.zenzale@avventisti.it



[1] Circa l’autore, la lettera non offre alcun indizio sicuro; solo in 13:23 si menziona Timoteo e ciò potrebbe far pensare a Paolo e al suo influsso, ma quella di Paolo autore della lettera è una vecchia tesi che resta difficile sostenere, sia per lo stile, ma anche per l’assenza di alcuni importanti temi paolini, come pure dell’introduzione in stile epistolare.

[2] “trait d’union” = anello di congiunzione tra le varie tematiche.

[3] L’antitesi: figura retorica consistente in un accostamento di parole o di concetti contrapposti, che acquistano maggior rilievo dalla vicinanza e dalla disposizione nel testo per lo più simmetrica.

[4] La Cei traduce (ὑψηλοῖς) “nell'alto dei cieli”, così anche la nuova Diodati e la Darby, ecc. Questo evento è stato annunciato profeticamente da Davide (Sl 110:1), è citato in 1, 13 e ribadito nel prosieguo della lettera: «Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sem­pre, si è seduto alla destra di Dio» (10:12; cfr. 12: 2, ecc.)

[5]  Mt 22:24;  26: 64; Mc 12:26; At 2:25, 33-34; 5:31; 7:55; Rm 8:34; Ef 1:20; Col 3:1, ecc..

[6] Eb 1:13; 8:1; 10:12; 12:2

[7] Mt 13:41; 18: 10; 25:31; Gv 1:51; Eb 1:7; Ap 12:7; 19:1; Mt 28:2 par.; Lc 2:15; 22:43.

[8] Lc 10:18; Gv 12:31; Ap 12: 9-12.

[9] Mt 17:1s; Gn 5:24; 2 Re :2:11; 1 Tess 4:1-18; Ap 20:6.

[10] Mt 5:10; 6: 20; Mc 11:30; Lc 10:20; 15: 18-21; Gv 3:27; Mt 3:2; 4:17; 5:3ss. 13:47;  ecc..

[11] Cfr. Ezechiele 10; 1 Re 22:19; 2 Cron 18:18; Ez 1:26; Dan 7:13.

[12] Complesso di elementi relativi al santuario.

[13] Probabilmente l’autore ha in mente il discorso di Gesù sul monte delle beatitudini, dove il Salvatore contrappone alcuni insegnamenti dell’A.T. con l’annuncio evangelico: “vi fu detto …, ma io vi dico” (Mt 5:21ss).

[14] 1:4 – 4:13; 4:14 – 7:28: 12:18-22.

[15] 2:10; 5:9, 14; 6:1; 7:11,19; 9:9; 10:1,4; 11:40; 12: 2, 23.

[16] 5:9; 9:12, 15; 13:20.

[17] 3:1; 6:4; 8:5; 9:23; 11:16; 12:22.

[18] 7:19, 22; 8:6; 9:23; 10:34; 11: 16, 35.

[19] 8:2; 9: 24.

[20] Vedi “Introduzione alla bibbia”, Vol. V/2, p.221, Marietti editore, 1964.

[21] Is 7:14; 8:8; Mt 1:23; Lc 1:78.

[22] Il Kippur costituiva la parte centrale del rituale. Esso consisteva nell'aspersione del sangue di un capro nel luogo santissimo e nell'invio di un capro vivo nel deserto. I due capri erano offerti dal popolo e mediante la sorte (Lev 16: 8) erano destinati l'uno all'Eterno e l'altro ad Azazel. (Azazel nella tradizione giudaica era il nome di un demone del deserto). Il capro, in sorte all'Eterno, era immolato nel cortile dal sommo sacerdote imponendo le mani sulla testa dell'animale, come segno di accettazione della misericordia di Dio. Parte del suo sangue era da lui asperso sul coperchio dell'arca o propiziatorio nel luogo santissimo. Con questo rito il sommo sacerdote compiva la purificazione del santuario, nel senso che rimuoveva definitivamente il peccato mediante un atto di giudizio e di giustizia. Sempre in forma simbolica, il peccato allontanato dalla presenza di Dio e dal popolo mediante il capro destinato ad Azazel, dopo che il sommo sacerdote aveva imposto le mani come segno dell’accettazione della giustizia e del giudizio divino. Questo capro, unica eccezione in tutto il rituale israelitico, non veniva immolato, ma era condotto e abbandonato nel deserto da un uomo appositamente designato per questo compito. Dopo quattro giorni, e per sette giorni di seguito, il popolo celebrava la festa più gioiosa dell'anno, la festa delle capanne.

[23] Il testo 9:12, 24, dove la Luzzi traduce “εἰς ἅγια” (eis hagia) con “luogo santissimo”, la Cei, rende “santuario”, così anche la Nuova Diodati. Essendo un plurale neutro, lo si deve tradurre letteralmente “nelle sacre”, “nelle cose sacre” o “realtà sante”. Probabilmente l’autore vuole indicare realtà che appartengono al divino. Entrare nelle “realtà sante” significa  far parte di un’altra dimensione che, come scrive Paolo, ora vediamo in modo oscuro, ma al ritorno di Cristo vedremo faccia a faccia (1 Cor 13: 12; 1Cor 2:9).

 [24] «L’Epistola agli Ebrei è l’unico scritto del N.T. che presenti, in modo compiuto e or­ga­nico, la salvezza soteriologica della vicenda terrena di Gesù, e in particolare la sua mor­te, in termini cultuali: Gesù è al tempo stesso sacerdote e vittima di un sacrificio cruento celebrato nel tempio celeste, che ha efficacia espiatoria per i peccati degli uomini. Nella sua argomentazione l’autore passa a dimostrare come la morte di Gesù possa essere interpretata come un sacrificio, offerto da Gesù stesso nella sua qualità di sommo Sacerdote, per l’espiazione dei peccati degli uomini.» GIANOTTO Claudio, Il sacrificio dell’Epistola agli Ebrei, in Annali di storia dell’ese­ge­si – il Sacrificio nel Giudaesimo e nel Cristianesimo, 18/1, ed. Dehoniane, Bologna, 2001, p. 169. Citato da A. Pellegrini nel suo documento sulla lettera agli ebrei.

[25] Cfr. Col 3:1-3; Eb 6:20; 9:24. Il già e il non ancora è uno degli insegnamenti relativi al regno di Dio come anche del nostro essere in Cristo alla presenza di Dio. Da una parte il regno di Dio è in “mezzo a noi” o “dentro noi” (Lc 17:17); dall’altra il Signore ci invita a predicarlo come evento futuro (Lc 12;32; 13:28; 9:2, 11). Pietro sottolineò "vi sarà provveduta l'entrata del regno eterno" (2Pt. 1,11) e l'Apocalisse conclude "oggi è venuto il regno dell'Iddio nostro" (Ap. 12,10).

[26] Dizionario dei concetti biblici, ed. Dehoniane, Bologna, voce Sacrificio, p. 1628.