Il ministero di Cristo nel santuario del cielo

Il ministero di Cristo nel santuario del cielo

Tratto dal libro: La confessione di fede degli avventisti del 7° giorno. Le 28 verità bibliche fondamentali, a cura di G. Marrazzo, edizioni ADV, Impruneta (FI), 2010.

Introduzione
“In cielo c’è un santuario: il vero tabernacolo ‘che il Signore e non un uomo, ha eretto’. Cristo vi officia in nostro favore, mettendo così a disposizione dei credenti i benefici del sacrificio espiatorio da lui offerto sulla croce. Egli inaugurò il suo ministero di Sommo Sacerdote e di Intercessore alla sua ascensione. Nel 1844, alla fine del periodo profetico dei 2.300 giorni/anni, Gesù iniziò la seconda e ultima fase del suo ministero d’espiazione. Si tratta di un giudizio investigativo, che rappresenta una soluzione definitiva per il peccato, simboleggiata dalla purificazione dell’antico santuario ebraico nel giorno dell’espiazione. In quel servizio simbolico il santuario veniva purificato mediante il sangue di animali sacrificati, mentre quello del cielo è purificato dal perfetto sacrificio di Cristo. Il giudizio investigativo rivela agli esseri celesti chi, fra i morti, si è addormentato in Cristo e, grazie a lui, è considerato degno di partecipare alla prima risurrezione. Esso, inoltre, manifesta chi, fra i viventi, è fedele a Cristo, osserva i comandamenti di Dio e ha la fede di Gesù e quindi, in lui, è pronto per la traslazione nel suo regno eterno. Questo giudizio dimostra la giustizia di Dio nel salvare coloro che credono in Gesù. Esso dichiara che quanti sono rimasti fedeli a Dio riceveranno il regno. La conclusione di questo ministero di Cristo segnerà la fine del tempo di grazia prima del secondo avvento
(cfr. Eb 8:1-5; 4:14-16; 9:11-28; 10:19-22; 1:3; 2:16,17; Dn 7:9-27; 8:13,14; 9:24-27; Nm 14:34; Ez 4:6; Lv 16; Ap 14:6,7; 20:12; 14:12; 22:12)”.

Si avvicina l’ora del sacrificio serale; il sacerdote è nel cortile del tempio di Gerusalemme pronto a offrire l’agnello in sacrificio. Mentre alza il coltello per sacrificare la vittima, la terra trema e sussulta. Preso dalla paura, fa cadere il coltello e l’agnello scappa via. Nel frastuono del terremoto sente lo strepitio di uno strappo, come se una mano invisibile avesse squarciato la cortina del tempio da cima a fondo. In città, nuvole nere avvolgono una croce. Quando Gesù, l’agnello pasquale di Dio, grida: “È compiuto!”, muore per i peccati del mondo.

L’anticipazione si incontra con la realizzazione, il tipo con l’antitipo. L’evento atteso da tanti secoli, simbolicamente prefigurato dai servizi del tempio, si sta avverando. Nel momento in cui il Salvatore compie il suo sacrificio espiatorio e poiché il simbolo incontra la realtà, i rituali che lo rappresentano cessano di avere la propria funzione.

Così è pure per la cortina lacerata del tempio, per il coltello caduto a terra e per l’agnello fuggito via. La storia della salvezza, però, continua. Essa va oltre la croce. La risurrezione e l’ascensione di Gesù attirano i nostri sguardi verso il santuario del cielo, dove egli officia in qualità di Sommo Sacerdote e non più come Agnello. Il sacrificio fatto una volta per tutte è stato già offerto (Eb 9:28); ora egli rende disponibile a tutti i benefici di questo suo sacrificio.

 

Il santuario in cielo
Dio guida Mosè nella costruzione del primo santuario che doveva essere la sua dimora terrena (Es 25:8). Tutto ciò avviene con il primo patto (Eb 9:1). Questo luogo doveva insegnare al popolo la via della salvezza. Quattrocento anni dopo, il tabernacolo costruito nel deserto viene sostituito dal tempio costruito a Gerusalemme dal re Salomone. Dopo la distruzione del tempio per opera di Nabucodonosor, gli esuli, ritornati dalla cattività babilonese, costruiscono un secondo tempio che è restaurato e abbellito da Erode il Grande, e distrutto successivamente dai romani nel 70 d. C.

Il Nuovo Testamento rivela che anche il nuovo patto ha un santuario, quello nel cielo. Là, Cristo officia come Sommo Sacerdote “alla destra del trono della Maestà nei cieli”. Questo è il “vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto” (8:1,2).1 Sul monte Sinai è stato mostrato a Mosè un «modello», una copia, una miniatura del santuario del cielo (cfr. Es 25:9,40).2 Le Scritture chiamano questo santuario, con i suoi rituali, “simboli delle realtà celesti” e il suo “luogo santissimo”, “figura del vero” (Eb 9:23,24). Il santuario terreno e i suoi servizi danno, dunque, una visione della funzione del santuario del cielo.

Tutta la Scrittura nel suo insieme presume l’esistenza di un santuario, o di un tempio, nel cielo (cfr. Sal 11:4; 102:19; Mic 1:2,3).3 Giovanni, autore dell’Apocalisse, vede in visione il santuario del cielo. Lo descrive come “il tempio del tabernacolo della testimonianza” (Ap 15:5) e “il tempio di Dio che è in cielo” (11:19). Vede gli arredi originali secondo cui quelli del luogo santo del santuario terreno sono stati modellati, come il candelabro a sette braccia (1:12) e l’altare dei profumi (8:3). Là vede anche l’arca del patto che era come quella del luogo santissimo terreno (11:19).

L’altare celeste dei profumi si trova davanti al trono di Dio (8:3; 9:13) cioè nel tempio di Dio che è nei cieli (4:2; 7:15; 16:17). Così, anche la scena del trono di Dio (Dn 7:9,10) si svolge nel santuario o tempio del cielo. Ecco perché i giudizi finali sono emanati dal tempio di Dio (Ap 15:5-8). È chiaro che la Scrittura presenta il santuario del cielo come un luogo vero (Eb 8:2), non come una metafora o un’astrazione.4

Il santuario del cielo è la principale dimora di Dio.

Il ministero nel santuario del cielo
Il messaggio del santuario è un messaggio di salvezza. Dio utilizza i rituali che si svolgono in esso per proclamare il Vangelo (Eb 4:2). Il santuario terreno era “figura [parabola] [in greco una parabola] per il tempo presente”, fino al primo avvento di Cristo (9:9,10). “L’intento di Dio era che il vangelo-parabola di simboli e rituali dirigesse la fede d’Israele al sacrificio e al ministero d’intercessione del Salvatore del mondo, l’‘Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo’ (Gal 3:23; Gv 1:29)”.5

Il santuario illustra le tre fasi del ministero di Cristo: a) il sacrificio sostitutivo; b) la mediazione sacerdotale; c) il giudizio finale.

Il sacrifico sostitutivo. Ogni sacrificio del santuario simboleggiava la morte di Gesù per il perdono dei peccati, rivelando la verità che “senza spargimento di sangue, non c’è perdono” (Eb 9:22). Tutti i sacrifici illustravano le seguenti verità:

1. Il giudizio di Dio sul peccato. Essendo il peccato una profonda ribellione contro tutto ciò che c’è di buono, di puro e di vero, non può essere ignorato. “Il salario del peccato è la morte” (Rm 6:23).

2. La morte sostituiva di Cristo. “Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il Signore ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53:6). “Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture” (1 Cor 15:3).

3. Il sacrificio espiatorio. Questo sacrificio è quello di Cristo Gesù che “Dio... ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue” (Rm 3:24,25). Infatti, “colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Cor 5:21). Cristo, il Redentore, assume su di sé il giudizio del peccato.

Di conseguenza, “Gesù è stato trattato come noi meritiamo, affinché possiamo ricevere il trattamento che egli merita. Egli è stato condannato per i nostri peccati, senza avervi partecipato, affinché potessimo ottenere la giustificazione in virtù della sua giustizia, senza avervi preso parte. Egli subì la morte che era nostra, affinché potessimo ricevere la vita che era sua. ‘E per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione’” (Is 53:5).6

I sacrifici del santuario terreno erano ripetitivi. Questa parabola - rituale della salvezza - veniva raccontata anno dopo anno. Al contrario, l’Antitipo, la vera morte espiatrice del nostro Signore, ha luogo al Calvario una volta per sempre (Eb 9:26-28; 10:10-14). Sulla croce, la condanna per il peccato dell’uomo è riscattata appieno. La giustizia divina è soddisfatta. Da un punto di vista legale, il mondo è riconciliato con Dio (Rm 5:18). L’espiazione, o la riconciliazione, è completata sulla croce come era prefigurata dai sacrifici, e il credente pentito può confidare in quest’opera compiuta dal Signore.7

La mediazione sacerdotale. Se il sacrificio espiava i peccati, che bisogno c’era di un sacerdote? Il ruolo del sacerdote attirava l’attenzione sulla necessità di mediazione tra i peccatori e il Dio santo. La mediazione sacerdotale rivela la serietà del peccato e l’allontanamento che esso produce fra il Dio santo e le creature sottoposte al peccato. Proprio come ogni sacrificio prefigurava la morte di Cristo, così ogni sacerdote prefigurava il ministero di mediazione di Cristo in quanto sommo sacerdote. “Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1 Tm 2:5).8

1. Mediazione e riconciliazione. Lo spargimento del sangue che redime, da parte del sacerdote durante il ministero di mediazione, è visto come una forma di espiazione (Lv 4:35). Il termine “riconciliazione” implica il ripristino di una relazione tra due parti nemiche. Come la morte espiatrice di Cristo ha riconciliato il mondo con Dio, così anche la sua mediazione, o l’applicazione dei meriti della sua vita senza peccato e della sua morte sostitutiva, rende reale per il credente l’espiazione, o riconciliazione, con Dio.

Il sacerdozio levitico illustra il ministero salvifico che Cristo iniziò a svolgere dopo la sua morte. Il nostro Sommo Sacerdote è “alla destra del trono della Maestà nei cieli” e là officia in quanto “ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto” (Eb 8:1,2). Il santuario del cielo è il grande centro direttivo dove Cristo conduce il suo ministero sacerdotale per la nostra salvezza. Egli è capace di “salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (7:25). “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (4:16).

Nel santuario terreno i sacerdoti compivano due distinti servizi: uno quotidiano nel luogo santo e l’altro annuale nel luogo santissimo. Questi due servizi illustravano il ministero sacerdotale di Cristo.9

2. Il ministero nel luogo santo. Il ministero sacerdotale nel luogo santo del santuario poteva essere descritto come un ministero d’intercessione, perdono, riconciliazione e restaurazione. Questo ministero continuo provvedeva un costante accesso a Dio tramite il sacerdote.10 Esso rappresentava una grande verità: il peccatore pentito ha accesso immediato e costante a Dio tramite il ministero sacerdotale che Cristo svolge in quanto Intercessore e Mediatore (Ef 2:18; Eb 4:14-16; 7:25; 9:24; 10:19-22).

Quando il peccatore pentito11 si recava al santuario con un sacrificio, posava le sue mani sulla testa dell’animale innocente e confessava i suoi peccati. Questa azione trasferiva simbolicamente i suoi peccati alla vittima. Così facendo, otteneva il perdono dei peccati.12 Allo stesso modo, The Jewish Enciclopedia dichiara: “L’imposizione delle mani sulla testa della vittima è un rito ordinario per mezzo del quale viene effettuata la sostituzione e il trasferimento dei peccati”. “In ciascun sacrificio c’è l’idea della sostituzione; la vittima prende il posto del peccatore umano”.13

Il sangue dell’offerta per il sacrificio veniva applicato in due modi: se era portato nel luogo santo, veniva asperso davanti alla cortina interna e posto nei corni dell’altare dei profumi (Lv 4:6,17,18); se non era portato nel tabernacolo, veniva posto nei corni dell’altare dell’olocausto nel cortile del santuario (vv. 25,30). In entrambi i casi, i partecipanti comprendevano che i loro peccati e la loro responsabilità venivano trasferiti al santuario e al suo sacerdozio.14

“In questa parabola-rituale, quando il pentito presentava un’offerta per il peccato confessando i suoi errori, il santuario stesso assumeva la colpa e la responsabilità del pentito, anche se solo per un certo tempo. Il credente andava via perdonato con la certezza che Dio l’aveva accettato. Così è nell’esperienza dell’Antitipo: quando il peccatore pentito, convinto dallo Spirito Santo, accetta Cristo come suo Salvatore e Signore, Cristo assume i suoi peccati e la sua responsabilità. Egli viene perdonato gratuitamente. Cristo è il garante del credente come anche il suo sostituto”.15

Sia nel tipo che nell’antitipo, il luogo santo è concentrato principalmente sull’individuo. Il ministero sacerdotale di Cristo garantisce il perdono del peccatore e la sua riconciliazione con Dio (Eb 7:25). “Per amore di Cristo, Dio perdona il peccatore pentito, imputandogli il carattere giusto e l’ubbidienza di suo Figlio, cancella i suoi peccati e registra il suo nome nel libro della vita come uno dei suoi figli (Ef 4:32; 1 Gv 1:9; 2 Cor 5:21; Rm 3:24; Lc 10:20). Nel momento in cui il credente dimora in Cristo, la grazia spirituale gli è concessa dal nostro Signore tramite lo Spirito Santo; egli può così maturare spiritualmente e sviluppare le virtù e le benedizioni che riflettono il carattere divino (2 Pt 3:18; Gal 5:22,23)”.16 Il ministero nel luogo santo apporta al credente giustificazione e santificazione.

Il giudizio finale. Gli eventi del Giorno dell’Espiazione illustrano le tre fasi del giudizio finale di Dio. Esse sono: il “giudizio prima del millennio” (o “giudizio investigativo”) e “giudizio precedente il secondo avvento»; il “giudizio del millennio”; il “giudizio esecutivo”, che ha luogo alla fine del millennio.

1. Il ministero nel luogo santissimo. La seconda parte del ministero sacerdotale è principalmente centrata sul santuario; essa ha a che fare con la purificazione del santuario e del popolo di Dio. Questa parte di ministero, che si concentrava nel luogo santissimo del santuario e che poteva svolgere solo il sommo sacerdote, era limitata a un giorno specifico dell’anno religioso.

La purificazione del santuario richiedeva due offerte: il capro del Signore e il capro espiatorio (Azazel in ebraico). Sacrificando il capro del Signore, il sommo sacerdote faceva “l’espiazione per il santuario [per il luogo santissimo], per la tenda di convengo [il luogo santo] e per l’altare [dell’olocausto nel cortile]” (Lv 16:20; cfr. 16:16-18). Prendendo il sangue del capro del Signore, che rappresentava il sangue di Cristo, e portandolo nel luogo santissimo, il sommo sacerdote lo applicava al propiziatorio, cioè al coperchio dell’arca contenente i dieci comandamenti, alla presenza di Dio stesso, soddisfacendo così le prescrizioni della legge santa di Dio. Il suo atto simboleggiava l’incommensurabile prezzo che Cristo avrebbe pagato per i nostri peccati; ciò rivela quanto profondo fosse il desiderio di Dio di riconciliare il suo popolo a sé (cfr. 2 Cor 5:19).

Il sacerdote spargeva poi questo sangue sull’altare dei profumi e sull’altare dei sacrifici che ogni giorno dell’anno veniva sporcato con il sangue rappresentante i peccati confessati. In tale maniera, il sommo sacerdote compiva l’espiazione sia per il santuario sia per il popolo, ottenendo la purificazione di entrambi (Lv 16:16-20,30-33).

In seguito, volendo rappresentare Cristo quale nostro Mediatore, il sommo sacerdote prendeva su se stesso i peccati che avevano insozzato il santuario e li trasferiva su un capro vivo, Azazel, che veniva poi allontanato dal campo dei figli di Dio.

Questa azione rimuoveva i peccati del popolo che erano stati simbolicamente trasferiti dai credenti pentiti al santuario, tramite il sangue o la carne degli animali sacrificati quotidianamente. Così, il santuario risultava purificato e pronto per ospitare lo svolgimento di un altro anno di riti per il “ministero del perdono” (Lv 16:16-20,30-33).17

E ogni cosa veniva aggiustata fra Dio e il suo popolo.18 Il Giorno dell’Espiazione, infine, illustrava il processo di giudizio che portava allo sradicamento del peccato. L’espiazione compiuta in questo giorno “prefigurava l’applicazione finale dei meriti di Cristo che cancellavano il peccato per l’eternità e portavano a compimento la completa riconciliazione dell’universo nell’armonioso governo sottomesso a Dio”.19

2. Azazel, il capro espiatorio. La traduzione “capro espiatorio” del vocabolo ebraico Azazel, deriva dalla Vulgata caper emissaries che significa “capro allontanato” (Lv 16:8).20 Un attento esame di Levitico 16 rivela che Azazel rappresenta Satana e non Cristo, come alcuni hanno pensato. Gli argomenti a sostegno di tale interpretazione sono: “a) Il capro di Azazel non veniva ucciso in sacrificio; esso perciò non poteva essere un mezzo di perdono perché ‘senza spargimento di sangue, non c’è perdono’ (Eb 9:22); b) il santuario era interamente purificato dal sangue del capro del Signore prima che il capro di Azazel fosse introdotto nel rituale (Lv 16:20); c) il brano personifica il capro Azazel indicandolo come avversario di Dio, un essere in opposizione a Dio (v. 16:8 specifica: un capro era ‘del Signore’, l’altro ‘di Azazel’). Perciò, nello scenario della parabola del santuario, è più coerente vedere il capro del Signore come simbolo di Cristo e il capro di Azazel come simbolo di Satana”.21

3. Le diverse fasi del giudizio. Il rituale dell’allontanamento del capro espiatorio che si svolgeva nel Giorno dell’Espiazione andava oltre il Calvario e riguardava la distruzione finale del peccato - allontanamento del peccato e di Satana. La “piena responsabilità per il peccato sarà fatta cadere su Satana, su colui, cioè, che ne è stato l’origine e l’istigatore. Satana, i suoi seguaci e tutti gli effetti del peccato saranno banditi dall’universo per mezzo della loro distruzione. L’espiazione tramite il giudizio, dunque, avrà luogo in un universo pienamente armonioso e riconciliato (Ef 1:10). Questo sarà quindi l’obiettivo della seconda e ultima fase del ministero sacerdotale di Cristo nel santuario del cielo”.22 Questo giudizio vedrà anche la giustificazione finale di Dio dinanzi all’universo.23

Il Giorno dell’Espiazione simboleggiava le tre fasi del giudizio finale:
La rimozione dei peccati dal santuario rappresenta la prima fase del giudizio, chiamata anche fase investigativa o fase precedente all’avvento. Questa “si focalizza sui nomi registrati nel libro della vita, proprio come il Giorno dell’Espiazione si concentrava sui peccati confessati dai credenti pentiti e alla loro rimozione dal santuario. I falsi credenti saranno passati al setaccio; la fede dei veri credenti e la loro unione con Cristo sarà riaffermata di fronte all’intero universo fedele e i loro peccati saranno cancellati per sempre”.24

L’allontanamento del capro di Azazel nel deserto simboleggia l’imprigionamento di Satana sulla terra desolata per mille anni; questa fase inizia al secondo avvento e coincide con la seconda fase del giudizio finale che si svolge nei cieli (Ap 20:4; 1 Cor 6:1-3). Questo giudizio millenario implica una revisione del giudizio sui malvagi; ciò sarà di beneficio per i redenti che comprenderanno come Dio tratta il peccato e i peccatori non salvati. Questo tempo darà la possibilità di rispondere a tutte le domande che i salvati possono avere sulla misericordia e la giustizia di Dio.

Il campo purificato del popolo di Dio simboleggia la terza fase del giudizio, o fase esecutiva del giudizio, quando un fuoco annienterà i malvagi e purificherà la terra (Ap 20:11-15; Mt 25:31-46; 2 Pt 3:7-13).

Il santuario del cielo nella profezia
Nel paragrafo precedente ci siamo concentrati sul santuario dalla prospettiva del tipo e dell’antitipo. Vediamo ora come lo stesso tema viene trattato nella profezia.

L’unzione del santuario celeste. La profezia delle 70 settimane di Daniele 9 annuncia l’inaugurazione del ministero sacerdotale di Cristo nel santuario in cielo. Uno degli ultimi eventi che ebbe luogo durante i 490 anni fu la purificazione del luogo “santissimo” (Dn 9:24).

L’espressione ebraica qodesh qodeshim, che è stata tradotta come “luogo santissimo”, significa letteralmente il “Santo dei Santi”. Sarebbe dunque meglio tradurre la frase “per ungere un santo dei santi” o “per ungere il luogo santissimo”.

Così come all’inaugurazione il santuario terreno fu unto con olio santo per consacrarne le funzioni, alla sua inaugurazione il santuario del cielo doveva essere unto per consacrare il ministero d’intercessione di Cristo. Con la sua ascensione poco dopo la sua morte (v. 27),25 Cristo inizia il suo ministero come nostro Sommo Sacerdote e Intercessore.

La purificazione del santuario celeste. Parlando della purificazione del santuario in cielo, la lettera agli Ebrei afferma: “Quasi ogni cosa è purificata con sangue; e, senza spargimento di sangue, non c’è perdono. Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con questi mezzi. Ma le cose celesti stesse dovevano essere purificate con sacrifici più eccellenti di questi”, e cioè con il prezioso sangue di Cristo (Eb 9:22,23). Vari commentatori hanno notato questo insegnamento biblico. Henry Alford ha sottolineato che “il cielo stesso aveva bisogno, e ottenne, la purificazione tramite il sangue espiatorio di Cristo”.26

F. B. Westcott ha commentato: “Si può dire che anche ‘le cose celesti’, dal momento che includono le condizioni della vita futura dell’uomo, con la caduta contrassero qualcosa che richiedeva purificazione”. Il sangue di Cristo, continua lo studioso, era l’unico adatto “alla purificazione dell’archetipo celeste del santuario terreno”.27

Come i peccati del popolo di Dio venivano trasferiti, per fede, sull’animale sacrificato e poi trasferiti simbolicamente al santuario terreno, così nel nuovo patto i peccati confessati dei pentiti sono trasferiti, per fede, su Cristo.28 E come il Giorno dell’Espiazione corrispondeva alla purificazione del santuario terreno che rimuoveva i peccati accumulati, così il santuario del cielo è purificato tramite la rimozione dei peccati registrati nei libri celesti. Ma prima che questa opera venga posta in essere, i libri saranno esaminati per determinare chi, per mezzo del ravvedimento e la fede in Cristo, abbia diritto a entrare nel suo regno eterno. La purificazione del santuario del cielo implica, perciò, un’istruttoria del giudizio;29 anche quest’aspetto viene pienamente riflesso dalla natura del Giorno dell’Espiazione quale giorno di giudizio.30

Questo giudizio, che ratifica la decisione che permette di sapere chi saranno i salvati e chi i perduti, deve aver luogo prima del secondo avvento perché nel giorno che Cristo ritornerà porterà con sé la sua ricompensa dando “a ciascuno secondo le sue opere” (22:12). Allora, anche le accuse di Satana riceveranno risposta (cfr. 12:10). Tutti coloro che si sono sinceramente pentiti e che con fede hanno invocato il sangue del sacrificio espiatorio di Cristo, ricevono il perdono. Quando i loro nomi sono esaminati nel giudizio che precede l’avvento essi risulteranno coperti dall’abito della giustizia di Cristo; i loro peccati, dunque, saranno cancellati e saranno ritenuti degni della vita eterna (Lc 20:35). “Chi vince – dice Gesù - sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli” (Ap 3:5). Il profeta Daniele rivela la natura di questo giudizio investigativo. Mentre una potenza apostata, simboleggiata dal piccolo corno, conduce la sua opera blasfema e persecutrice contro Dio e il suo popolo sulla terra (Dn 7:8,20,21,25), dei troni saranno posizionati e Dio presiederà il giudizio finale. Questo avrà luogo nella sala del trono di Dio nel santuario in cielo. Quando la corte si sederà, i libri saranno aperti, segnando così l’inizio della procedura investigativa (vv. 9,10). Solo dopo questo giudizio la potenza apostata verrà distrutta (v. 11).31

Il tempo del giudizio. Il Padre e Cristo prenderanno parte a questo giudizio investigativo. Prima che ritorni sulla terra, Cristo, il “Figlio dell’uomo” andrà “sulle nuvole del cielo” dal “Vegliardo”, cioè da Dio Padre, e si sederà al suo fianco (v. 13). Dal momento della sua ascensione, Cristo ha officiato come Sommo Sacerdote, come nostro Intercessore di fronte al Padre (Eb 7:25). In quel momento, invece, andrà dal Padre per ricevere il regno (Dn 7:14).

1. L’offuscamento del ministero sacerdotale di Cristo. Daniele 8 ci informa della controversia tra il bene e il male e del trionfo finale di Dio. Questo capitolo rivela che tra l’inaugurazione del ministero di Cristo quale Sommo Sacerdote e la purificazione del santuario del cielo vi sarà una potenza che cercherà di oscurare il ministero di Cristo. Il montone in questa visione rappresenta l’impero medo-persiano (v. 3); le sue due corna, la più alta delle quali sorge successivamente, presenta chiaramente le due fasi dell’impero, con la parte dominante, la Persia, emergente per ultima. Come Daniele predisse, questo regno orientale estese il suo potere “a occidente, a settentrione e a mezzogiorno… e diventò grande” (v. 4). Il capro proveniente dall’occidente simboleggiava la Grecia, con il grande corno che rappresentava il suo “primo re”, Alessandro Magno (v. 21).

Marciando “dall’occidente”, Alessandro vinse rapidamente la Persia. Poi, alcuni anni dopo la sua morte, l’impero fu diviso in “quattro regni”, quello di Cassandro, Lisimaco, Seleuco e Tolomeo (Dn 8:8,22). Verso “la fine del loro regno”, verso la fine dell’impero greco diviso tra i quattro generali, spunta “un piccolo corno” (v. 9). Alcuni vedono in Antioco Epifanio, re siriano che governò sulla Palestina per un breve periodo nel II secolo a.C., l’adempimento di questa parte della profezia. Altri, inclusi molti riformatori, identificano nel piccolo corno, Roma, nelle sue due fasi: imperiale e papale.

Quest’ultima interpretazione si confà con la descrizione che ne fa Daniele, mentre la prima no.32 Si considerino, a sostegno di ciò, i seguenti punti:

a) Il potere del piccolo corno si estende dalla caduta dell’impero greco fino al “tempo della fine” (v. 17). Soltanto la Roma imperiale e papale risponde a questo specifico riferimento temporale.

b) Le profezie di Daniele 2, 7 e 8 sono parallele l’una all’altra (cfr. lo schema con i paralleli profetici alla fine di questo capitolo). I quattro metalli della statua di Daniele 2 e le quattro bestie di Daniele 7 rappresentano gli stessi imperi mondiali: Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma. Sia i piedi di ferro e d’argilla sia le dieci corna della quarta bestia rappresentano le divisioni di Roma; quegli stati così divisi dovevano continuare a esistere fino al secondo avvento. Si noti che entrambe le profezie indicano l’impero romano quale successore della Grecia e quale ultimo impero prima del secondo avvento e del giudizio finale. Il piccolo corno in Daniele 9 si presta alla stessa interpretazione: segue la Grecia e viene distrutto in maniera soprannaturale, “sarà infranto senza intervento umano” (vv. 25; 2:34).33

c) L’impero medo-persiano è definito “grande”, quello greco “enormemente grande” e il piccolo corno “crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo” (8:8,9). Roma, una delle più grandi potenze mondiali calza perfettamente questa descrizione.

d) Solo Roma estese la sua egemonia a sud (Egitto), a est (Macedonia e Asia Minore) e fino al “paese splendido” (v. 9).

e) Roma s’innalzò fino all’”esercito del cielo” e al “capo di quell’esercito”, contro “il principe dei principi” (vv. 11,25) che altro non è che Gesù Cristo. “Contro lui e il suo popolo, come pure contro il suo santuario, il potere di Roma combatté uno dei più estenuanti conflitti. Questa descrizione comprende sia la fase pagana che quella papale di Roma. Mentre la Roma pagana si oppose a Cristo e distrusse realmente il tempio in Gerusalemme, la Roma papale ha effettivamente offuscato il ministero sacerdotale e di mediazione che Cristo svolge in favore dei peccatori nel santuario celeste (cfr. Eb 8:1,2), avendolo sostituito con un sacerdozio che pretende di offrire il perdono tramite la mediazione degli uomini”.34 Questa potenza apostata avrebbe quasi avuto pieno successo dal momento che «la verità venne gettata a terra; ma esso prosperò nelle sue imprese» (Dn 8:12).

2. Il tempo della restaurazione, della purificazione e del giudizio. Dio non avrebbe permesso che l’occultamento della verità sul ministero di Cristo in quanto Sommo Sacerdote continuasse indefinitamente. Tramite uomini e donne fedeli, egli rinnova la sua causa. I riformatori e la loro parziale riscoperta del ruolo di Cristo come nostro Mediatore produce un risveglio nel mondo cristiano. Restano però ancora diverse verità da svelare pienamente sul ministero di Cristo nel cielo.

La visione di Daniele indica che il ruolo di Cristo come nostro Sommo Sacerdote sarebbe diventato particolarmente preminente verso “il tempo della fine” (Dn 8:17), quando avrebbe avuto inizio la sua speciale opera di purificazione e di giudizio, in aggiunta al suo ministero d’intercessione continuo (Eb 7:25).35

In tal modo, la visione ci fa capire quando Gesù inizia questo ministero prefigurato dal Giorno dell’Espiazione, cioè l’opera del giudizio investigativo (Dn 7) e la purificazione del santuario: “Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato” (8:14).36

Poiché la visione si riferisce al tempo della fine, il santuario di cui si parla qui non può essere il santuario terreno, perché questo fu distrutto nel 70 d.C. La profezia deve perciò riferirsi al santuario del nuovo patto, quello del cielo, dove Cristo officia per la nostra salvezza.

Che cosa rappresentano i duemilatrecento giorni o “duemilatrecento sere e mattine” e come leggiamo nell’originale ebraico?37 Secondo Genesi 1, una “sera, poi… [una] mattina” costituisce un giorno. I periodi di tempo presentati nelle profezie simboliche, sono anch’essi simbolici: un giorno profetico equivale a un anno temporale. Dunque, come molti cristiani hanno creduto attraverso i secoli passati, i 2.300 giorni di Daniele 8 equivalgono a 2.300 anni letterali.38

a) Daniele 9 è la chiave per comprendere Daniele 8. Dio ordina all’angelo Gabriele, riferendosi a Daniele: “Spiegagli la visione!”. L’impatto della visione è così sconvolgente che Daniele si ammala e Gabriele deve interrompere la sua spiegazione. Alla fine del capitolo, infatti, Daniele racconta: “Svenni e fui malato per diversi giorni... Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne accorse” (8:27). A causa di questa interruzione, Gabriele deve posticipare la sua spiegazione sul periodo di tempo in questione, rimasto il solo aspetto della visione a non essere stato esaurientemente trattato. Daniele 9 descrive il ritorno dell’angelo che deve portare a termine la sua missione, il suo compito. I capitoli 8 e 9 di Daniele sono, dunque, collegati tra loro; il capitolo 9, in particolare, con la sua spiegazione diventa la chiave di lettura per la comprensione del mistero dei 2.300 giorni.39

Quando Gabriele appare, dice a Daniele: “Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela... Fa’ dunque attenzione al messaggio e comprendi la visione” (Dn 9:23). Qui l’angelo fa riferimento alla precedente visione dei 2.300 giorni. Il suo desiderio di spiegare l’elemento temporale della visione di Daniele 8 è evidente: infatti, egli inizia la sua spiegazione con la profezia delle 70 settimane.

Le 70 settimane, o 490 anni, sono state “fissate” o “decretate” per il popolo ebraico e la città di Gerusalemme (v. 24). Il vocabolo ebraico in questione è chathak. Sebbene questo verbo venga usato solo una volta nelle Scritture, il suo significato può essere ricavato da altre fonti ebraiche.40 Il famoso dizionario ebraico-inglese di Gesenius attesta che esso significa esattamente “tagliare” o “dividere”.41 Con queste ulteriori informazioni, i commenti di Gabriele diventano veramente illuminanti. L’angelo dice a Daniele che dovevano essere sottratti 490 anni al periodo totale di 2.300 anni. Gabriele dice che i 490 partono “dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme” (v. 25); quest’ordine è stato emanato nel 457 a.C., il settimo anno di Artaserse.42 Il periodo dei 490 anni finisce nel 34 d.C. Sottraendo 490 anni dai 2.300 anni, rimangono 1.810 anni. Partendo dal 34 d.C. e aggiungendo 1.810 anni, arriviamo all’anno 1844 d.C.43

b) Verso una più completa comprensione del ministero di Cristo. Durante la prima parte del XIX secolo molti cristiani, inclusi battisti, presbiteriani, metodisti, luterani, anglicani, episcopali, congregazionalisti e i discepoli di Cristo, cominciano a studiare intensamente la profezia di Daniele.44 Tutti questi studiosi della Bibbia si aspettano che alla fine dei 2.300 anni accadessero eventi particolarmente significativi. Secondo la loro comprensione del potere del piccolo corno e del santuario, credono che questo periodo profetico sarebbe terminato con una serie di eventi: purificazione della chiesa, liberazione della Palestina e di Gerusalemme, ritorno degli ebrei, caduta della potenza turca e ottomana, distruzione del papato, restaurazione della vera adorazione, inizio del millennio terreno, giorno del giudizio, purificazione della terra con il fuoco, o il secondo avvento.45

Nessuna di queste previsioni si è avverata e, tutti coloro che hanno creduto in esse, sono rimasti profondamente delusi. Eppure la profondità della loro delusione era proporzionale alla natura dell’evento predetto e atteso. Ovviamente, la delusione di coloro che attendevano per il 1844 il ritorno di Cristo è ancora più traumatica di quelli che speravano nel ritorno degli ebrei in Palestina.46

Come risultato di questa delusione, molti rinunciano allo studio delle profezie o abbandonano il metodo d’interpretazione storica che li aveva condotti a quelle conclusioni.47 Alcuni, tuttavia, perseverano nello studio di questa profezia e del santuario, pregando con ancora più fervore e continuando a contemplare il ministero di Cristo nel santuario celeste a loro favore.

Una ricca e rinnovata comprensione di quel ministero ricompensa, alla fine,i loro sforzi. Essi scoprono, infatti, che la fede nella storicità della profezia è ancora valida. Il calcolo del tempo profetico è, infatti, corretto. I 2.300 anni si concludono nel 1844.

Il loro errore, e quello di tutti gli interpreti di quel tempo, è stato quello di identificare l’evento che avrebbe dovuto aver luogo alla fine di quel periodo profetico. La nuova luce sprigionata dal ministero di Cristo nel santuario tramuta la loro delusione in gioia e speranza.48 Lo studio approfondito degli insegnamenti biblici sul santuario rivela loro che nel 1844 Cristo si è recato dall’”Antico di giorni” e ha iniziato la fase finale del suo ministero come Sommo Sacerdote nel santuario celeste. Questo ministero era l’antitipo della purificazione del santuario del Giorno dell’Espiazione che Daniele 7 descrive come giudizio investigativo che precede il secondo avvento.

Questa nuova comprensione del ministero celeste di Cristo “non è una dipartita dalla fede cristiana storica. È, invece, il suo logico completamento e l’inevitabile compimento di quella fede. Si tratta semplicemente dell’arrivo dell’ultimo giorno e l’adempimento dell’enfasi profetica che caratterizza il vangelo eterno, nel segmento conclusivo della sua testimonianza al mondo».49

Il significato del santuario all'interno del gran conflitto
Le profezie di Daniele 7 e 8 svelano le più ampie prospettive degli eventi finali del gran conflitto tra Dio e Satana.

La difesa del carattere di Dio. Tramite le attività del piccolo corno, Satana ha tentato di sfidare l’autorità di Dio. Le azioni di quella potenza hanno offeso e calpestato il santuario celeste, centro della sovranità di Dio. Le visioni ricevute da Daniele annunciano un giudizio, prima del secondo avvento, nel quale Dio emanerà un verdetto di condanna sul piccolo corno e cioè su Satana stesso. Alla luce del Calvario tutte le accuse di Satana saranno confutate. Tutti comprenderanno e concorderanno sul fatto che Dio è giusto e che non ha alcuna responsabilità per il problema del peccato. Emergerà in maniera indiscutibile l’essenza del suo carattere e il suo governo d’amore sarà riaffermato.

La difesa del popolo di Dio. Mentre il giudizio porta la condanna sulla potenza apostata del piccolo corno, “il potere di giudicare... [sarà] dato ai santi dell’Altissimo” (Dn 7:22). Infatti, questo giudizio non solo giustifica Dio di fronte a tutto l’universo, ma anche il suo popolo. Per quanto i santi siano stati disprezzati e perseguitati per la loro fede in Cristo, com’è avvenuto peraltro attraverso tutti i secoli, questo giudizio sistemerà ogni cosa. Il popolo di Dio realizzerà la promessa di Cristo: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10:32; cfr. Lc 12:8,9; Ap 3:5).

Il giudizio e la salvezza. La salvezza di coloro che credono in Gesù Cristo viene messa in pericolo dal giudizio investigativo? Assolutamente no. I credenti vivono uniti a Cristo, confidando in lui come loro intercessore (Rm 8:34). La loro certezza sta nel fatto che “noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto” (1 Gv 2:1). Dunque, qual è lo scopo di un giudizio investigativo che precede l’avvento? Questo giudizio non è certo per il beneficio di Dio. Esso è principalmente per il beneficio dell’universo, per controbattere alle accuse di Satana e per garantire, a tutti gli esseri creati, che Dio farà entrare nel suo regno solo coloro che si sono veramente convertiti a Cristo. Ecco perché Dio apre i libri delle testimonianze (Dn 7:9,10).

Gli esseri umani possono essere distinti in tre categorie: a) i malvagi, che rigettano l’autorità di Dio; b) i credenti autentici, che, per fede, confidano nei meriti di Cristo; c) coloro che sembrano essere sinceri credenti ma non lo sono. Gli esseri non caduti possono facilmente discernere la prima categoria. Ma come si fa a distinguere un credente genuino da chi non lo è? Entrambi questi gruppi di persone sono registrate nel libro della vita; esso contiene i nomi di tutti coloro che sono entrati al servizio di Dio (Lc 10:20; Fil 4:3; Dn 12:1; Ap 21:27). La chiesa stessa è composta sia da credenti autentici e da quelli falsi, grano e zizzania stanno insieme (Mt 13:28-30).

Le creature di Dio che non sono cadute nel peccato non sono però onniscienti, non possono leggere i cuori. «Ecco perché è necessario un giudizio prima della seconda venuta di Cristo, per discernere il vero dal falso e per dimostrare, a tutti gli esseri dell’universo interessati, la giustizia di Dio nel salvare i credenti.

La questione è tra Dio e l’universo, non tra Dio e i suoi veri figli. Per questa ragione è necessario che Dio apra i libri delle testimonianze, per svelare la vera natura di tutti coloro che professano di avere fede, i cui nomi sono stati registrati nel libro della vita».50 Cristo descrive questo giudizio nella sua parabola delle nozze e degli invitati che rispondono al generoso appello della grazia (Mt 22:1-14). Dal momento che non tutti coloro che decidono di essere cristiani sono suoi discepoli, il re viene e ispeziona i suoi ospiti, li scruta per vedere chi ha l’abito adatto alle nozze.

Questo speciale abito rappresenta il “carattere puro e immacolato che i veri discepoli di Cristo possederanno. Alla chiesa sarà ‘dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro’, ‘senza macchia, senza ruga o altri simili difetti’ (Ap 19:8; Ef 5:27). ‘Il lino fino’, dicono le Scritture, ‘sono le opere giuste dei santi’ (Ap 19:8). È la giustizia di Cristo, il suo immacolato carattere, che, tramite la fede, sarà impartito a tutti coloro che lo ricevono come loro Salvatore personale”.51

Quando il re ispeziona gli invitati, solo quelli che si saranno rivestiti dell’abito di giustizia che Cristo ha generosamente offerto nell’invito evangelico saranno accettati come credenti autentici. Coloro che professano di essere figli di Dio ma che vivono nella disubbidienza e non sono coperti dalla giustizia di Cristo saranno cancellati dal libro della vita (cfr. Es 32:33). Il concetto del giudizio investigativo, per tutti quelli che professano la fede in Cristo, non contraddice l’insegnamento biblico della salvezza per grazia tramite la fede.

Paolo sa che un giorno dovrà affrontare il giudizio; perciò, esprime il desiderio di “essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Fil 3:9). Tutti coloro che sono uniti a Cristo hanno la salvezza garantita. Nella fase precedente il giudizio finale, i credenti sinceri, cioè coloro che hanno una genuina relazione con Cristo, sono dichiarati tali di fronte all’universo non caduto.

Cristo, tuttavia, non può assicurare la salvezza a coloro che si professano cristiani solo basandosi sulle loro opere (cfr. Mt 7:21-23). I registri dei cieli sono, dunque, molto di più che uno strumento per passare al setaccio i credenti. Essi sono anche le fondamenta per confermare la fede dei credenti in presenza delle miriadi di angeli.

“La dottrina del santuario, invece di derubare il credente della garanzia della salvezza che possiede in Cristo, la sostiene. Essa illustra e chiarifica nella sua mente il piano della salvezza. Il cuore pentito gioisce nell’afferrare la realtà della morte sostitutiva di Cristo per i suoi peccati, come fu prefigurata nei sacrifici. Inoltre, la sua fede si eleva fino a trovare il suo significato nel Cristo vivente, suo avvocato sacerdotale officiante alla presenza stessa del Dio santo”.52

È tempo di prepararsi. Dio desidera che la buona notizia del suo ultimo ministero per la salvezza sia proclamata a tutto il mondo prima che Gesù ritorni. Il centro di questo messaggio è il Vangelo eterno, che deve essere proclamato con un senso d’urgenza perché “è giunta l’ora del suo giudizio” (Ap 14:7). Questo appello avverte il mondo che il giudizio di Dio sta avendo luogo già adesso. Oggi stiamo vivendo ciò che il Giorno dell’Espiazione prefigurava. Come gli israeliti erano chiamati a umiliare le loro anime in quel giorno (Lv 23:27), così Dio chiama tutto il suo popolo a sperimentare il sincero pentimento. Tutti coloro che desiderano che il loro nome sia scritto nel libro della vita devono riconciliarsi con Dio e con i propri simili durante questo tempo di giudizio (Ap 14:7).

Il ministero di Cristo come Sommo Sacerdote sta per essere portato a termine. Gli anni di prova per gli uomini53 stanno scorrendo via rapidamente. Nessuno sa esattamente quando la voce di Dio proclamerà: “È compiuto”. Perciò, “vegliate e pregate”, esorta Cristo (Mc 13:33, ND).

Sebbene viviamo nei giorni solenni prefigurati dal Giorno dell’Espiazione, non dobbiamo temere nulla. Gesù Cristo, nella sua duplice funzione di vittima sacrificale e di sacerdote, officia nel santuario celeste in nostro favore. Poiché abbiamo “un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Eb 4:14-16).

 

NOTE
1 L’epistola agli Ebrei rivela l’esistenza di un vero santuario nel cielo. In Eb 8:2 la parola santuario è una traduzione del vocabolo greco ta hagia, forma plurale del luogo santo (cosa). Un uso addizionale di questo termine al plurale può essere trovata, per es., in Eb 9:8,12,24,25; 10:19; 13:11. Le varie traduzioni danno l’impressione che Cristo offici solo nel luogo santo o nel luogo santissimo, non nel santuario. Questo perché le varie traduzioni considerano ta hagia un plurale intensivo, traducibile come un singolare. Ma uno studio della versione dei Settanta e di Giuseppe Flavio mostra che il termine ta hagia si riferisce in modo consistente a “cose sante” o a “luoghi santi”, per esempio al santuario stesso. In generale, è usato come un termine che si riferisce all’intero santuario, con il suo luogo santo e santissimo. Che gli ebrei usassero ta hagia per riferirsi all’intero santuario è fortemente convalidato dall’esegesi dell’epistola stessa. Il primo uso di ta hagia in Ebrei è al capitolo 8:2 è inteso al “vero tabernacolo”. Poiché è chiaro da 8:5, che “tabernacolo” indica l’intero santuario, in Ebrei 8:2 ta hagia deve ugualmente designare l’intero santuario celeste. Non c’è ragione di tradurre il plurale ta hagia in ebraico con “luogo santissimo”. Nella maggioranza dei casi, il contesto favorisce la traduzione di ta hagia come “il santuario” (“Cristo e il suo ministero di Sommo Sacerdote”, Ministry, ottobre 1980, p. 49). Dal loro studio del santuario terreno e di ta hagia, i pionieri avventisti conclusero che il santuario celeste ha anch’esso due compartimenti. Questa comprensione fu basilare per lo sviluppo del loro insegnamento sul santuario (P. G. Damsteegt, “The Historical Development of the Sanctuary Doctrine in early Adventist thought” [manoscritto non pubblicato, Biblical Research Institute of the General Conference of the Seventh-day Adventists,1983]; cfr. E. G. White, Il gran conflitto, pp. 324-326, 332-338).

2 Cfr. The SDA Bible Commentary, ed. riv., Ellen G. White, Comments, vol. 6, p. 1082.

3 Gli antichi scritti ebraici rivelano che anche alcuni rabbini credevano nell’esistenza di un santuario regale in cielo. Commentando Esodo 15:17, un rabbino disse che la posizione del “santuario [terreno] corrisponde a quella del santuario celeste e la [posizione dell’]arca con quella del trono nel cielo” (Midrash Rabbah, Numbers, ed. ripr., Soncino Press, Londra, 1961, vol. 1, cap. 4, sec. 13, p. 110, parentesi in originale). Un altro rabbino citato nel Talmud Babilonese parlò di «un Tempio celeste e uno terreno» (Sanhedrin, 99b., ed. I. Epstein, Soncino Press, Londra, 1969). Un altro ancora commentò: “Non c’è divergenza d’opinione sul fatto che il santuario di quaggiù è una controfigura del santuario di lassù” (L. Nemoy, ed., The Midrash on Psalms, [trans. by W. G. Braude],Yale University Press, New Haven, 1959, Psalm 30, sec. 1, p. 386).

4 L’epistola agli Ebrei fa riferimento a un santuario regale in cielo: “La realtà del santuario celeste è ulteriormente sottolineata dall’aggettivo ‘vero’ in Ebrei 8:2. Il santuario celeste è il ‘vero’ o, meglio, quello ‘reale’. Il termine greco che viene usato qui e in 9:24, dove è applicato anche al cielo, è alethinos. Questo aggettivo greco significa ‘reale’, in contrapposizione a semplicemente ‘apparente’. Considerando la classica distinzione tra l’aggettivo greco alethes, che significa ‘vero’, in contrapposizione a ‘falso’, l’aggettivo alethinos, che è usato due volte in riferimento al santuario celeste, parimenti e senza alcun equivoco si riferisce alla presenza reale di un santuario nel cielo. Come Dio è definito ‘vero’ in Giovanni 17:3 o in 1 Tessalonicesi 1:9 da Paolo, tramite l’uso del termine alethinos, così altre entità sono delle realtà in quanto sono associate a un Dio reale. Essendo il santuario celeste associato alla realtà di Dio, esso è reale quanto Dio è reale» (G. F. Hasel, “Christ’s atoning Ministry in Heaven”, Ministry, gennaio 1976, inserto speciale, p. 21c).

5 F. Holbrook, “Sanctuary of Salvation”, Ministry, gennaio 1983, p. 14.

6 E. G. White, La speranza dell’uomo, p. 25.

7 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, Journal of Adventist Education, ott-nov 1983, 27.

8 Ibid., p. 28.

9 “L’intervento di Cristo in favore dell’uomo doveva comprendere due fasi, a cui erano stati assegnati tempi precisi e luoghi distinti nel santuario del cielo. Nello stesso modo il rituale simbolico del tabernacolo terreno consisteva in due tipi di cerimonie, il servizio giornaliero e quello annuale, che si svolgevano in due diversi ambienti” (Ellen G. White, Patriarchi e profeti, p. 357).

10 Nel sacrificio continuo del mattino e della sera, il sacerdote rappresentava tutta la nazione.

11 Il padre di famiglia rappresentava tutta la sua famiglia, compresi sua moglie e i suoi figli, anche se non offrivano sacrifici direttamente.

12 Cfr. A. M. Rodriguez, “Sacrificial Substitution and the Old Testament Sacrifices”, in Sanctuary and the Atonement, pp. 134-156; A. M. Rodriguez, “Transfer of Sin in Leviticus”, in 70 Weeks, Leviticus, and the Nature of Prophecy, ed. F. B. Holbrook, Washington, D.C.: Biblical Research Institute of the General Conference of Seventh-day Adventists, 1986, pp. 169-197.

13 “Atonement, Day of” in The Jewish Encyclopedia, ed. Isidore Singer, Funk and Wagnalls Co., ed., New York, 1903, p. 286. Cfr. G.F. HASEL, «Studies in Biblical Atonement I: Continual Sacrifice, Defilement/Cleansing and Sanctuary», in Sanctuary and the Atonement, pp. 97-99.

14 G.F. HASEL, “Studies in Biblical Atonement I” pp. 99-107; A. R. Treyer, “The Day of Atonement as Related to the Contamination and Purification of the Sanctuary”, in 70 Weeks, Leviticus, Nature of Prophecy, p. 253.

15 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, p. 27.

16 Ibid., p. 29.

17 Cfr. G. F. Hasel, “Studies in Biblical Atonement II: The Day of Atonement”, in Sanctuary and Atonement, pp. 115-125.

18 Cfr. G. F. Hasel, “Studies in Biblical Atonement II: The Day of Atonement”, in Sanctuary and Atonement, pp. 206, 207; A. R. T”, «Day of Atonement”, pp. 252, 253.

19 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, p. 29.

20 Cfr. “Azazel”, SDA Bible Dictionary, ed. riv., p. 102.

21 F. Holbrook, “Sanctuary of Salvation”, p. 16. Attraverso i secoli gli studiosi biblici sono giunti a conclusioni simili. Nella Septuaginta il termine azazel è reso con apopompaios, una parola greca che si riferisce a una deità maligna. Antichi scrittori ebrei, insieme ai primi padri della chiesa, si riferiscono ad azazel come al diavolo (SDA Encyclopedia, ed. riv., pp. 1291, 1292). Fra gli studiosi del XIX e del XX secolo che concordano con quanto esposto sono: Samuel M. Zwemer, William Milligan, James Hastings e William Smith, della chiesa Presbiteriana; E. W. Engstenberg, Elmer Flack e H. C. Alleman, della chiesa Luterana; William Jenks, Charles Beecher e F. N. PeLoubet della chiesa Congregazionalista, John M’Clintock e James Strong, della chiesa Metodista; James M. Gray, della chiesa Episcopale Riformata; J. B. Rotherhorn dei Discepoli di Cristo; e Gorge A. Barton, della Società degli Amici. Molti altri hanno espresso, inoltre, vedute simili (Questions on Doctrine, pp. 394, 395). Se Azazel rappresenta Satana, come possono le Scritture (Lv 16:10) connetterlo con l’espiazione? Come il sommo sacerdote, dopo aver purificato il santuario, poneva i peccati su Azazel che veniva poi scacciato via per sempre dal popolo di Dio, così Cristo, dopo aver purificato il santuario celeste, porrà i peccati confessati e perdonati del suo popolo su Satana che sarà per sempre allontanato dai salvati. “L’atto finale del dramma del peccato vedrà come protagonista Dio che imputerà a Satana i peccati di tutti; essendo Satana l’origine di tutto il male, a lui sarà data tutta la responsabilità della colpa; è stato lui ad aver portato la tragedia nella vita degli uomini; essi, dunque, saranno finalmente liberati dal peccato tramite il sangue di Cristo. Questo ciclo perverso vedrà la fine e il dramma volgerà al termine. Solo quando Satana, l’istigatore di tutto il peccato, sarà definitivamente rimosso, si potrà veramente dire che il peccato è stato per sempre spazzato via dall’universo di Dio. In questo senso particolare, si può comprendere come il capro Azazel giochi un ruolo nel processo dell’‘espiazione’ (Lv 16:10). Quando i giusti saranno salvati, quando i malvagi saranno ‘eliminati’ e quando Satana sarà stato annientato, solo allora e non prima, l’universo sarà in uno stato di perfetta armonia, come lo fu alle origini, prima dell’entrata del peccato” (The SDA Bible Commentary, ed. riv., vol. 1, p. 778).

22 F. Holbrook, “Sanctuary of Salvation”, p. 16.

23 A. R. Treiyer, “Day of Atonement”, p. 245.

24 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, p. 30.

25 Cfr. cap. 4, p. 35.

26 H. Alford, The Greek Testament, 3° ed., Deighton, Bell and Co., 1864, vol. 4, p. 179.

27 B. F. Westcott, Epistle to the Hebrews, pp. 272, 271.

28 Ponendo i peccati confessati su Cristo, essi sono “per fede... trasferiti nel santuario celeste” (Ellen G. White, Il gran conflitto, p. 330).

29 Questo giudizio riguarda coloro che si professano seguaci di Cristo. “Nel servizio cerimoniale del santuario terreno, solo coloro che si erano pentiti e i cui peccati erano stati trasferiti nel santuario mediante il sangue della vittima, beneficiavano dei riti del giorno dell’espiazione. Allo stesso modo, nel giorno finale dell’espiazione e del giudizio investigativo, i casi esaminati riguarderanno solo i figli di Dio. Il giudizio degli empi è un fatto distinto e separato e avverrà in un secondo tempo. ‘... Il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al vangelo di Dio?’ (1 Pt 4:17)” (Ibid., pp. 375,376).

30 La tradizione ebraica descrive lo Yom Kippur come il giorno del giudizio, cioè il giorno in cui Dio sederà sul trono e giudicherà il mondo. I registri saranno aperti, ciascun uomo passerà dinanzi a lui e i loro destini verranno sigillati. Cfr. “Atonement, Day of”, in The Jewish Enciclopedia; e Morris Silverman e company, High Holiday Prayer Book, Prayer Book Press, Hartford, Conn, 1955, pp. 147, 164. Lo Yom Kippur dovrebbe recare anche consolazione e certezza al credente; esso è, infatti, «il giorno in cui la temuta anticipazione del giudizio futuro lascerà finalmente il posto ad una fiduciosa affermazione del perdono di Dio, e non della sua condanna, per coloro che si rivolgono a lui in pentimento e umiltà” (William W. SIMPSON, Jewish Prayer and Worship, Seabury Press, New York, 1965, pp. 57,58).

31 Cfr. A. J. Ferch, “The Judgment Scene in Dn 7”, in Sanctuary and Atonement, pp. 163-166,169.

32 Riguardo ai problemi di interpretazione di Antioco Epifane in Dn, cfr. W. H. Shea, Selected Studies on Prophetic Interpretation, pp. 22-25.

33 W. H. Shea, “Unity of Daniel”, in Symposium on Daniel, ed. F.B. Holbrok, Biblical Research Institute of the General Conference of Seventh-day Adventists,Washington, D.C., 1896, pp. 165-219.

34 “The Amazing Prophecies of Daniel and Revelation”, These Times, aprile 1979, p. 18. Cfr. C. M. Maxwell, God Cares, vol. 1, pp. 166-173; cap. 13, p. 161.

35 Nel santuario terreno, nel Giorno dell’Espiazione, il sommo sacerdote entrava nel luogo santissimo dopo aver terminato il suo servizio nel luogo santo. “Così, quando il Cristo entrò nel luogo santissimo per compiere la fase conclusiva dell’espiazione, cessò il suo ministero nella prima sezione del santuario. Concludendo la funzione nella prima parte del santuario, iniziava quella nella seconda. Nel servizio del tempio, il sommo sacerdote, quando nel gran giorno dell’espiazione lasciava il luogo santo, si presentava davanti a Dio per offrire il sangue dell’offerta per il peccato in favore di tutto Israele sinceramente pentito. Così il Cristo, dopo avere concluso la prima fase della sua opera come nostro intercessore, ha iniziato la seconda, pur continuando a presentare i meriti del suo sangue, davanti al Padre, in favore dei peccatori” (E. G. White, Il gran conflitto, p. 336).

36 Le versioni della King James e della Nuova King James rendono il termine ebraico nitsdaq, con l’espressione «sarà espiato»; la versione New American Bible lo traduce con “sarà purificato”. Il vocabolo espiato si trova anche nelle prime traduzioni inglesi, come ad esempio la Bishop’s Bible (1566 d.C.), la Geneva Bible (1560 d.C.), la Taverner Bible (1551 d.C.), la Great Bible (1539 d.C.), la Matthew Bible (1537 d.C.), la Coverdale (1537 d.C.), e quella di Wycliff (1382 d.C.). Questa traduzione proviene dalla Vulgata Latina, dove il termine è mundabitur, cioè “espiare”; tale radice deriva dalla più antica versione greca dell’Antico Testamento, la Settanta, dove il termine katharisthesetai, viene tradotto con l’espressione “sarà espiato”. Molte versioni moderne non riflettono questo significato originale. Poiché nitsdaq proviene dalla radice del verbo tsadaq, che racchiude diversi significati tra i quali “rendere giusto”, “diventare giusto”, “giusto”, “giustificato” e “rivendicato”, queste traduzioni traducono tsadaq come “restaurato al suo giusto stato” (Revised Standard Version), “appropriatamente restaurato” (New American Standard Bible), “riconsacrato” (New International Version), e “restaurato” (Today’s English Version). Il parallelismo poetico dell’Antico Testamento mostra che tsadaq è sinonimo di taher, “essere giusto, puro” (Gb 4:17; 17:9), di zakah, “essere puro” (Gb 15:14; 25:4), e di bor, “purezza” (Sal 18:20). Nitsdaq, allora “include nell’insieme dei suoi significati semantici, il concetto di ‘espiazione, rivendicazione, giustificazione, rendere giustizia, restaurare’. In qualsiasi modo questo termine venga reso nel linguaggio moderno, quando si parla di ‘espiazione’ del santuario, si dovrebbe porre l’accento, oltre che sulla parola espiazione stessa, anche sui significati connessi di rivendicazione, giustificazione, e restaurazione» (G. F. Hasel, “The ‘Little Horn’, the Saints, the Sanctuary and the Time of the End: A Study in Daniel 8:9-14”, in Symposium on Daniel, p. 453). Cfr. anche Ibid., pp. 448-458; G. F. Hasel, “The ‘Little Horn’, the Saints, and the Sanctuary in Daniel 8”, in Sanctuary and the Atonement, pp. 203-208; N. E. Andreasen, “Translation of Nisdaq/Katharisthesetai in Daniel 8:14”, in Simposium on Daniel, pp. 475-496; C. M. Maxwell, God Cares, vol. 1, p. 175; “Christ and His High Priestly Ministry”, in Ministry, ottobre 1980, pp. 34,35.

37 Alcuni hanno inteso le “2.300 sere e mattine” come 1.150 giorni letterali. Questa interpretazione è, però, contraria al consueto uso ebraico. Carl F. Keil, editore del commentario Keil and Delitzsch, scrive: “Quando gli ebrei desiderano esprimere separatamente giorno e notte, le parti che compongono il giorno di una settimana, specificano ogni volta il numero di entrambi. Per esempio, è facile trovare espressioni del tipo: 40 giorni e 40 notti (Gn 7:4, 12; Es 24:18; 1 Re 19:8), o 3 giorni e 3 notti (Gn 2:1; Mt 12:40); essi non intendono parlare di 80 (40+40) giorni o di 6 (3+3) giorni, ma di 40 giorni interi nel primo caso, o di 6 giorni interi nel secondo caso, così come noi li intendiamo. Un lettore ebraico non potrebbe mai comprendere il periodo di tempo ‘2.300 sere e mattine’ come 2.300 mezze giornate, cioè 1.150 giorni interi, perché ‘sera e mattina’ alla creazione costituivano un giorno intero, e non una mezza giornata… Dobbiamo tenere conto di ciò e dunque interpretare le ‘2.300 sere e mattine’ come 2.300 giorni interi» (C. F. Keil, Biblical Commentary on the Book of Daniel, trad. M.G. Easton, in C. F. Kell and F. Delitzsch, Biblical Commentary on the Old Testament, Wm. B. Eerdmanns, Grand Rapids, 1959, vol. 25, pp. 303,304). Per argomenti aggiuntivi, cfr. G. F. Hasel, “Sanctuary of Daniel 8”, in Sanctuary and the Atonement, p. 195; G. F. Hasel, “The ‘Little Horn’, the Heaenly Sanctuary and the Time of the End”, in Symposium on Daniel, pp. 430-433; S. J. Schwantes, “Ereb Boqer of Daniel 8 Re-examined”, in Symposium on Daniel, pp. 462-474; C. M. Maxwell, God Cares, vol. 1, p. 174.

38 L. E. Froom, Prophetic Faith of Our Fathers, vol. 2, p. 985; vol. 3, pp. 252, 743; vol. 4, pp. 397,404. Per il principio che un giorno profetico rappresenta un anno letterale, cfr. W. H. Shea, Selective Studies on Prophetic Interpretation, pp. 56-93.

39 Cfr. G. F. Hasel, “Sanctuary in Daniel 8”, in Sanctuary and the Atonement, pp. 196, 197; W. H. Shea, “Unity of Daniel”, in Symposium on Daniel, pp. 220-230.

40 L’analisi di scritti ebraici come la Mishnah, rivelano che sebbene in alcuni contesti chatak possa significare “determinare”, il significato più comune ha “a che fare con l’idea di tagliare” (W. H. Shea, “The relationship between the Prophecies of Daniel 8 and 9”, in Sancuary and Atonement, p. 242).

41 Gesenius, Hebrew and Chaldee Lexicon to the Old Testament Scripture, Trad. Samuel P. Tregelles,W. B. Eerdmans, ed. ristampata, grand Rapids, 1950, p. 314.

42 Cfr. A. J. Ferch, “Commencement Date for the Seventy Week Prophecy”, in 70 Weeks, Leviticus, and the Nature of Prophecy, pp. 64-74.

43 Da Daniele 8 è chiaro che i 2.300 giorni dovevano coprire un periodo di tempo molto lungo. La domanda che si pone è: “fino a quando durerà la visione?” (Dn 8:13). Il termine visione è lo stesso usato nei versetti 1 e 2. È l’angelo celeste a porre la domanda. Egli voleva avere informazioni su tutta la durata del tempo che la visione rappresentava, dalla prima alla seconda bestia, dal piccolo corno al tempo della fine; ciò è ben indicato dai successivi versetti 17 e 19 di Daniele 8. Il periodo di “2.300 sere e mattine” è la risposta a questa domanda; dunque, ciò indica in maniera sufficientemente chiara che esso doveva coprire il periodo che andava dall’impero medo-persiano fino al tempo della fine: stiamo parlando, indubbiamente, di anni e non di giorni.

44 Cfr. P. G. Damsteegt, Foundations of the Seventh-day Adventist Message and Mission, pp. 14, 15; L. E. Froom, Prophetic Faith of our Fathers, vol. 4.

45 L. E. Froom, Prophetic Faith of our Fathers, vol. 4, p. 404.

46 Cfr. F. D. Nichol, The Midnight Cry, Review and Herald,Washington, D.C., 1944.

47 Cfr. L. E. Froom, Prophetic Faith of our Fathers, vol. 1-4; P. G. Damsteegt, Foundations of the Seventh-day Adventist Message and Mission, pp. 16-20.

48 Cfr. P. G. Damsteegt, Foundations of the Seventh-day Adventist Message and Mission, pp. 103-146; E. G. White, Il gran conflitto, pp. 332-338.

49 L. E. Froom, Movement of Destiny, p. 543.

50 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, p. 34.

51 E. G. White, Christ’s Object Lessons, (Parole di vita) p. 310.

52 F. Holbrook, “Light in the Shadows”, p. 35.

53 La fine del tempo di grazia per l’uomo segna anche la fine del tempo per il pentimento. Per una persona, il tempo di grazia può aver fine in tre modi: a) alla morte; b) quando è stato commesso il peccato imperdonabile (Mt 12:31,32; Lc 12:10); c) quando il tempo di grazia terminerà per tutti, poco prima del secondo avvento. Fino a quando Cristo fungerà da Sommo Sacerdote e mediatore fra Dio e l’uomo, la grazia sarà disponibile. “Nessun giudizio potrà dunque essere inflitto senza grazia fino a quando l’opera sacerdotale di Cristo non sarà finita. Le ultime sette piaghe, però, non avranno luogo sotto l’ombra della grazia [Ap 14:10; 15:1], poiché esse giungeranno dopo che Cristo avrà terminato la sua intercessione e il tempo di grazia sarà termi