01. Caratteristiche generali del libro

01. Caratteristiche generali del libro

Caratteristiche generali del libro

“Gli Avventisti del Settimo Giorno”
(Pubblicato in proprio, Roma 1999)

a cura di Giovanni Leonardi

Butindaro è un pastore pentecostale che ha fatto suo in modo sistematico, quello che lui chiamerebbe “il ministero della riprensione”. Cosa molto difficile, che qualcuno a volte deve pur fare, ma che è anche molto pericolosa in quanto espone a vari pericoli spirituali. Come diceva l’Apostolo Paolo: “Chi pensa di stare in piedi, guardi di non cadere” (1 Corinzi 10:12).

L’autore stesso presenta il suo libro come uno dei vari libri “confutatori” che ha scritto. Ne ha scritti infatti diversi: contro i Cattolici, i Testimoni di Geova, la New Age, i Mormoni , i Pentecostali antitrinitari; contro lo statuto e i regolamenti delle ADI (il principale raggruppamento di chiese pentecostali in Italia), il satanismo, la Chiesa dell’Unificazione (del Reverendo Moon). Altri sono contro la musica rock cristiana, contro il teatro cristiano, contro singoli esponenti di varie chiese, contro … Oltre ai libri, ci sono poi vari interventi sul suo blog contro singole pratiche e persone. Il suo sito e il suo blog sembrano un campo di battaglia dove un crociato solitario lotta contro gli infedeli e le loro falsità. Che quindi abbia scritto un libro anche contro la Chiesa Avventista, non deve sorprendere.

Badiamo bene, non è che noi siamo contro tutte le sue battaglie, alcune delle quali sono certamente meritevoli e condivisibili. Solo che non crediamo che i confini della verità e del bene coincidano perfettamente con le sue idee e con il suo spirito come egli sembra credere. E siccome notiamo, scorrendo le pagine del suo blog, che ogni critica fattagli diventa un ulteriore motivo per autogiustificarsi e per criticare ulteriormente, faremo a meno di dargli dei consigli cristiani e ci limiteremo a elencare le critiche che ci fa, proponendo qualche risposta, non per lui (sembra che non ne abbia bisogno) ma per quanti fossero interessati, in questo tribunale all’aria aperta, anche all’opinione della difesa oltre che a quella dell’accusa.

Naturalmente non pretendiamo di convincere tutti su ogni cosa che diremo: sarebbe del tutto impossibile e presuntuoso. Speriamo solo che chi ci leggerà, possa almeno cogliere la nostra onestà e la nostra buona fede. Se poi, abbiamo anche ragione sulla sostanza delle idee, ognuno lo giudicherà sulla base del suo cuore, della sua saggezza e della sua conoscenza. Possa il Signore Gesù, con l’aiuto del Suo Spirito, guidare i nostri pensieri alla gloria di Dio Padre.

1)     Erudizione. Entrando nel merito del libro, apprezziamo l’erudizione del suo Autore. Ha certamente lavorato molto leggendo moltissime nostre pubblicazioni. Sarebbe però forse stato più utile che ne avesse letto di meno, ma che ci avesse riflettuto di più, per offrire una critica più equilibrata ed obiettiva.

2)     Critica sbilanciata. Non è che noi siamo contro la critica (Link all’introduzione generale). Essa è un diritto ed anche, a volte, entro i limiti della correttezza umana e cristiana, doverosa. Solo che uno deve anche sapere criticare. La parola “critica” non è negativa: viene infatti dalla stessa radice del verbo greco crino: separare, distinguere, sia per rifiutare, sia per approvare e lodare. “Criticare” dovrebbe quindi significare esaminare l’insieme degli elementi per distinguere ciò che a nostro parere è bene o male, e fare le scelte opportune, sulla base della conoscenza e della saggezza, e del rispetto delle regole logiche e morali di base. Il suo libro è invece assolutamente privo di questo equilibro. Il tono complessivo è quello del “contro”. Il quadro che un lettore poco informato ne riceve (sempre che condivida le idee dell’Autore e non si ponga criticamente di fronte  lui) è quello di una realtà mostruosa da cui prendere assolutamente le distanze. Speriamo di non cadere noi stessi in questo errore nei suoi confronti. Eppure ci sono diverse dottrine che condividiamo e che avrebbe potuto sottolineare: con lui crediamo nella sacralità della Bibbia, nella realtà trinitaria di Dio, nel ritorno di Gesù come evento unico senza alcun rapimento segreto dei credenti, nel valore dei doni dello Spirito, e in tanti altri insegnamenti delle Scritture. Un buon esempio di sana critica è quella suggerita dall’apostolo Paolo:  “Non spegnete lo Spirito.  Non disprezzate le profezie;  ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene” (1 Tessalonicesi 5:19-21).

3)     Bisogno di maggiore umiltà e di rispetto. Una critica sana e cristiana, non può prescindere da un atteggiamento di umiltà e di rispetto. Di umiltà perché chi critica sa sempre di essere anche lui una persona soggetta a limiti, non necessariamente migliore degli altri oggetto della sua analisi. Di rispetto, perché chi critica deve sapere di non trovarsi solo davanti a carta e a inchiostro, ma ad esseri in carne ed ossa per i quali il Signore Gesù ha dato la vita. Ci dispiace invece leggere il tono di condanna malevola (almeno dal nostro punto di vista) continua e assoluta.

Come scrive nell’introduzione al suo libro, questo sarebbe frutto “della grazia di Dio” che gli ha “concesso” di scriverlo. Non è che pensi di essere ispirato (non lo crediamo), ma se presenta le sue pagine come il risultato di una grazia divina, attribuisce loro certamente una grande dignità. Invece quelle di cui sta per parlare sono “dottrine sbagliate” e “false”. Di conseguenza, gli Avventisti che le insegnano “costituiscono un serio pericolo per le Chiese”.

Egli quindi non scrive per noi, ma per i suoi, per aiutarli a “confutare” la nostra fede. Non c‘è quindi un reale desiderio di dialogo per aiutare anche noi: noi siamo solo da condannare.

Rispetto è anche, di fronte all’altro, cogliere non solo le sue parole ma anche il suo cuore, le intenzioni, il messaggio di fondo di quello che dice. Chi vuole criticare veramente come cristiano, deve guardare con simpatia all’altro. Come direbbero i francesi, deve prima mettersi nelle sue scarpe, per capire perché cammina in quel modo. Gesù, che pure è la verità assoluta, prima di diventare il nostro giudice ha preso la nostra carne, ha vissuto la nostra vita, ed ha dato la sua vita per noi … anche se eravamo dei peccatori.

Possiamo ricordare le parole di Gesù “Non giudicate, affinché non siate giudicati;  perché con il giudizio con il quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi” (Matteo 7:1,2). Butindaro troverà anche delle giustificazioni per dire che questo testo non si applica a lui (lo fa, in rapporto ad altri nel suo blog), ma forse potrà almeno accoglierlo come motivo di prudenza e riflessione.

4)     Bisogno di regole per una sana critica. Il fratello (mi farebbe proprio piacere che egli accettasse con sincerità di cuore questo appellativo da parte nostra! (Vedi Link a corrispondenza con Leonardi. Ultima lettera) Butindaro fa molte critiche utilizzando molte citazioni ma non sempre riesce a collocarle nel loro giusto contesto letterario, storico, culturale. Non sempre riesce a cogliere la sostanza effettiva di una tesi purificandola dagli elementi accessori e più discutibili. Come ministro dell’Evangelo avrà certamente studiato le regole di una sana ermeneutica per comprendere e trasmettere giustamente la Parola di Dio. Queste regole hanno un valore oggettivo universale e dovrebbero essere applicate nei confronti di tutti.

5)     Toni d’eccessiva autorità “apostolica”. La sua introduzione comincia facendo riferimento alla grazia di Dio (che dovrebbe essere invocata sempre solo per sottolineare la nostra pochezza e non la nostra bravura come mi sembra invece che egli faccia); e si conclude con un saluto di tipo apostolico: “… per amor vostro, mi sono trovato costretto a scrivere questo libro … State saldi nella fede e rimanete attaccati alla Parola di Dio. La grazia sia con voi”. Si tratta di frasi che riecheggiano espressioni e atteggiamenti apostolici. Quel “per amor vostro” ripete un’espressione dell’Apostolo Paolo in 2 Corinzi  2:10. L’invito ad essere “saldi” nella fede o la benedizione finale data trasmettendo la grazia di Dio, sono ugualmente presente in diversi testi dell’apostolo Paolo e di altri. Beninteso, questo far suo il linguaggio biblico è certamente positivo in quanto denota familiarità con le Sacre Scritture e certamente anche amore per esse. Ma potrebbe esserci anche il pericolo di una identificazione troppo forte con l’autorità degli Apostoli. Cosa che lo porrebbe su un piano che non potremmo considerare legittimo. Rispondendo ai vari critici che gli rimproverano il suo spirito critico, così si difende sul suo blog: “Innanzi tutto voglio ricordare ai miei accusatori [Notiamo come chi rimprovera lui siano degli “accusatori” mentre quando è lui che accusa gli altri si qualifica come uno che esercita il legittimo ministero di riprensione fraterna.] che io non parlo male di tutto e di tutti, ma parlo male del peccato e di coloro che in mezzo alle Chiese prendono piacere nel peccato. Faccio esattamente quello che facevano gli apostoli [Il corsivo è nostro dell’Autore di questa scheda]. Parlavano infatti forse bene gli apostoli dell’arroganza, della superbia, della vanagloria, del disordine, delle concupiscenze mondane, dell’ipocrisia, delle false dottrine, presenti tra i santi allora? Non mi pare che lo facessero.” Butindaro ha ragione: gli Apostoli non avevano reticenze a rirendere e condannare. Ma essi erano apostoli ed avevano una conoscenza dei cuori e dei fatti, e un’autorità che veniva certamente da Dio. Pensa egli di avere i loro stessi doni e la loro stessa autorità? E se comunque volesse ispirarsi agli Apostoli, lo faccia interamente, trovando gioia anche nel sottolineare le cose belle che ci sono anche nelle chiese peggiori come quella di Corinto e non esprimendo critiche e condanna.

Come Giacinto Butindaro, anch’io sono un ministro del Signore, ma come un pastore, e spero in quanto tale di rappresentarlo con quel dignità che è consentita ad un essere umano fragile e imperfetto. Anch’io sono chiamato ad esercitare un autorità nel nome del Signore, ma spero che Egli mi aiuti sempre a non scavalcare mai quel muro invisibile ma sostanziale che segna il confine tra lo stato di servitore fedele, umile e utile ma mai totalmente necessario (Luca 17:10) e quello dei servitori che assumono posti che non gli sono stati assegnati (Luca 14:7-11).