04. Caratteri propri del profetismo biblico e del suo messaggio

04. Caratteri propri del profetismo biblico e del suo messaggio

Di Rolando Rizzo

Gli studiosi delle religioni comparate, spesso, sulla base di superficiali analogie, hanno collocato il profetismo biblico tra i generali fenomeni di comunicazione con la divinità che nulla hanno in comune con esso. Ecco i caratteri originali fondamentali del profetismo biblico che ne fanno un fenomeno unico nel panorama religioso universale:

A. Dio ha l’iniziativa.

Dio e i suoi messaggi non costituiscono, per il profeta, il suo punto di arrivo, l’apice di un suo cammino religioso, una conquista spirituale. Da Mosè a Isaia, da Geremia a Giona, a Ezechiele..., è sempre Dio che prende l’iniziativa. Nelle religioni, in generale, raramente esiste una vera e propria rivelazione. È sempre l’uomo ad andare in cerca di Dio.

B. Accettazione forzata dell’amore.

Nessun grande profeta ha voluto, ha cercato e neppure ha accettato con entusiasmo il dono profetico. Mosè non ha nessuna voglia di lasciare le sue pecore per il ministero profetico, e quasi litiga con Dio prima di accettarlo a malincuore (Esodo 4:10-14). Geremia si lamenta con il Signore di aver scelto un fanciullo (Geremia 1:6); Giona fugge lontano. Ma forse è Geremia, «costretto» ad accettare di essere collaboratore di Dio, del suo amore e dalla verità, che esprime meglio di tutti l’estasi e il tormento insieme di questa relazione con Colui che lo ha chiamato: «Signore, tu mi hai sedotto e io non ho saputo resisterti... Ma quando mi sono detto: “non penserò più al Signore, non parlerò più in suo nome”, ho sentito dentro di me come un fuoco che mi bruciava le ossa: ho cercato di contenerlo, ma non ci sono riuscito» - Geremia 20:7-9, (versione Tilc).

C. Ministero discontinuo.

L’esercizio profetico non presuppone né l’esercizio né il graduale sviluppo di un talento; esso si realizza come un atto di grazia totale per il quale Iddio ha scelto e ha dato. Le rivelazioni non provengono dai talenti naturali e particolari del profeta: come potrebbe essere l’inclinazione a interpretare, in termini divinatori, i segni misteriosi riscontrabili nella natura, ma ogni rivelazione viene dall’alto... è mistero, che Iddio prende l’iniziativa di rivelare nella sua libertà. Per i profeti, il cielo, le stelle e il creato non hanno messaggi per la vita e per la storia, e le saggezze che se ne scorgono sono false; afferma Geremia: «Così parla il SIGNORE: “Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Infatti i costumi dei popoli sono vanità”» (10:2).

D. Non uomo d’apparato.

Come tutte le monete vere hanno le loro imitazioni, anche il profetismo ha avuto le sue; sono esistiti i profeti di corte, il profetismo istituzionale; ma il vero profeta non viene da una scuola, da una famiglia... Egli è scelto solo da Dio, talvolta nei luoghi più impensabili. Amos dirà ironico a un profeta di mestiere: «Io non sono profeta, né figlio di profeta; sono un mandriano e coltivo i sicomori. Il SIGNORE mi prese mentre ero dietro al gregge e mi disse: “Va’, profetizza al mio popolo, a Israele”» (Amos 7:14-15). Paolo l’apostolo, quando Dio lo chiamò, era, addirittura, al servizio di una persecuzione! (Atti 9).

E. Nessuna sorgente sconosciuta.

L’ispirazione, il messaggio, non giungono mai al profeta da una sorgente misteriosa e sconosciuta... ma sempre e soltanto dal Dio conosciuto, il «Dio d’Abramo, di Isacco e di Giacobbe... L’unico Dio, quello dell’alleanza e della legge» (Esodo 3:6).

F. Continuità e sviluppo.

Il profeta biblico non apporta ai suoi contemporanei mai nulla di totalmente nuovo, ma solo ricordo e sviluppo di quanto Iddio aveva nel suo amore già precedentemente dato; Gesù, il massimo profeta, ripete costantemente: «Sta scritto…» (Matteo 4:1-11), adempiendo anche lui l’affermazione che più tardi sarà di Paolo. «Lo spirito dei profeti è sottoposto ai profeti» (1 Corinzi 14:32). Il Dio dei profeti è un Dio personale solo nella misura in cui si rivolge alla persona, ma non è una sua creazione, non è solo suo, nessuno può dargli la sua immagine; nessuno deve farsene un’immagine.

G. Ispirato da Dio non dal popolo.

L’ispirazione profetica non viene dal basso ma dall’alto; nel messaggio profetico i diritti dei poveri e degli emarginati sono denunciati in maniera temeraria e struggente... Ma ogni volta è Dio che confida il messaggio (Esodo 3:7) e il compito. Il profeta non è un populista; il suo messaggio è spesso denuncia dei potenti, ma non è un messaggio di classe, poiché tutti sono chiamati alle loro responsabilità in uguale misura. I profeti hanno un occhio assai particolare per i poveri, per i loro diritti negati (Isaia 1), ma la loro amorevole sferza non li risparmia se sono responsabili di infedeltà al patto.

H. Poteri distinti.

I grandi profeti scrittori hanno in qualche modo anticipato la separazione dei poteri, tipica dello stato di diritto, creato nell’800. Nonostante che nel mondo orientale tutti i poteri fossero uniti o strettamente associati, i profeti, nei fatti, ne hanno anticipato la separazione e l’indipendenza, ponendo tutti sotto l’autorità della legge. Nel mondo orientale il re era praticamente Dio o una sua stretta emanazione; il re comunque era il sommo sacerdote di ogni Dio; era in generale l’autore della legge e il criterio della giustizia. Ma la deificazione del re era inconcepibile in Israele, solo «altrove il re era Dio, in Israele era Dio ad essere re» (Jacob).

Poiché in Israele la terra era di Dio e tutti, re compreso, dovevano considerarsi su quella terra «forestieri e inquilini» (Levitico 25:23). Qualsiasi tentativo di attribuirsi caratteri divini avrebbe suscitato orrore in Israele (Ezechiele 28:6-9; Isaia 14:13-14). Il fulcro dell’ordine sociale in Israele non era il re e neppure il sacerdote, poteri distinti, ma l’alleanza con Yahwè, da cui la legge con la quale il profeta richiamava sia i re che i sacerdoti. In Israele il re non era sacerdote, anche se dei re tentarono d’esserlo (2 Cronache 26:16; 1 Samuele 13:9-11) ma in tempi d’apostasia; i profeti veri non vivevano alla corte ma erano da essa totalmente indipendenti (2 Samuele 12:1-13). La loro relazione con Dio non ammetteva né mediazioni né interferenze.

I. Dio: l’origine, non il destinatario.

I messaggi ai profeti mai provengono dal basso ma dall’alto, a differenza però del cosiddetto «profetismo» universale, l’oggetto del messaggio e il suo beneficiario è sempre e soltanto l’uomo, il concreto della sua esistenza; mai messaggio è a beneficio di Dio o costituisce un metodo per addolcire, placare il capriccio o l’imprevedibilità di Dio - Yahwè non è imprevedibile poiché è il Dio del patto, della legge! - ogni messaggio esprime la sollecitudine di Dio per l’uomo. Con altre parole ripete la sostanza contenuta in Deuteronomio: «Io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male»! (30:15). «… Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Egli lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi» (32:10). In Isaia 48:17 è ancora detto: «Così parla il SIGNORE, il tuo salvatore, il Santo d’Israele: Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che t’insegna per il tuo bene, che ti guida per la via che devi seguire…».

Il messaggio profetico ha in vista l’immediato o il lontano futuro, il singolo o la collettività, sempre e comunque il messaggio esprime la passione di Dio per la felicità del suo popolo. Dice Geremia: «Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il SIGNORE: “pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza”» (29:11).

L. Uno strano patriota.

Tutti i profeti fremono d’amore per il loro popolo, ne portano sulle spalle e nell’anima i pesi e le sofferenze, le conseguenze più amare delle cattive scelte e dell’infedeltà, ma né il potere né il basso popolo ricevono mai trattamenti di favore... La frusta del profeta non risparmia nessuno, le sue diagnosi sono assolutamente impietose: dirà, senza mezzi termini Geremia: «I profeti profetano bugiardamente; i sacerdoti governano agli ordini dei profeti; e il mio popolo ha piacere che sia così» (5:31). Lo stesso profeta inviterà, più tardi il suo popolo, indegno quanto amato, ad arrendersi ai Caldei, scandalizzando i patrioti e distruggendo, contro gli altri profeti, il tabù della patria, che tanta tragica parte ha avuto, ed ha, nella storia dei popoli.

M. Chiarezza e storia.

L’ambiguità, il sibillino, il volutamente oscuro, il volutamente generale... non fanno parte del messaggio dei profeti; essi sempre hanno per oggetto la piccola o la grande storia, ma sempre e soltanto la storia; l’oscurità di certi messaggi è dovuta alla nostra distanza dagli eventi e alla scarsità di mezzi a disposizione per ricreare il momento in cui gli oracoli furono pronunciati. Li rende oscuri la nostra impreparazione non la loro intenzione. Ciononostante, ciò che è oscuro nei messaggi, che leggiamo tremila e più anni dopo, è una minima parte in rapporto a ciò che è chiaro, proprio perché l’oracolo profetico proviene dal padre che parla ai suoi figli perché li ama; non sono, come nella divinazione, parole in qualche modo estorte a numi capricciosi, o a loro dirette per placarli.

N. Vita e profezia.

I maghi, gli indovini, gli sciamani... in genere traggono vantaggi dalla loro vocazione; forniscono delle prestazioni; la loro vita non si identifica necessariamente con le loro «profezie». Il profeta biblico vive nella profezia, della profezia e per la profezia. L’identificazione è totale; totale è l’accettazione dell’etica divina ma soprattutto del suo amore che sfocia nel sacrificio dell’esistenza; Mosè, Geremia, Osea, Ezechiele, Daniele, vedi il cap. 8, vivono nella loro carne le sofferenze dovute al peccato del loro popolo come gli altri, ma in più sono lacerati dalla visione della salvezza a portata di mano, rifiutata e schernita ...

Geremia arriverà a maledire in un attimo di disperazione, come Giobbe, il giorno della sua nascita: «Maledetto sia il giorno che io nacqui! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto! Maledetto sia l’uomo che portò a mio padre la notizia: “Ti è nato un maschio”, e lo colmò di gioia»! (Geremia 20:14-15).

La loro sofferenza, però, a differenza degli sciamani non è funzionale al loro mestiere di interrogatori della divinità che si nasconde... Essi non si lacerano le carni per accedere all’estasi... Soffrono, invece, della chiarezza della rivelazione rifiutata, dell’amore non corrisposto. Come Gesù, piangono su Gerusalemme: «Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: “Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi. Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte”» (Luca 19:41-43).

O. Soluzioni né tecniche né facili.

Il profeta biblico, di fronte ai problemi non ha pozioni da offrire, tecniche con le quali volgere a proprio vantaggio le forze della natura o la divinità... Egli non parla a Dio perché il popolo lo ha chiamato ma al popolo perché Dio lo ha chiamato... Le soluzioni sono sempre localizzate nella riforma del cuore e della vita nella «legge e nella testimonianza» (Isaia 8:20). I miracoli sono compiuti dai profeti, ma sono solo dei segni eccezionali, non la soluzione dei problemi, che invece è sempre affidata al rinnovamento del cuore (Ezechiele 36:26-28).

Nota: Tratto dal libro “L’Eredità di un profeta”, ed. AdV, Firenze - 2001