10. La vita oltre la vita (esperienze ai confini della morte)

10. La vita oltre la vita (esperienze ai confini della morte)

Una delle più indicative affermazioni riguardanti Dio è stata pronunciata da Gesù nei confronti di chi aveva serie difficoltà nel credere nella risurrezione dei morti: «Egli non è un Dio di morti, ma di viventi» (Mc 12: 27; cfr. Mt 22:32; Lc 20:38).

Una dichiarazione che indubbiamente ha fatto molto discutere gli scettici al tempo di Gesù e degli apostoli (At 17: 28-32) come anche gli sfiduciati del nostro tempo. Com’è possibile che dalla polvere fluisca la vita?

«Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile» (Mt 19:25-26).

Questo insegnamento concernente Dio, che è vita (Gv 14:6), forse è stato oggetto di seri malintesi riguardo alla morte. Infatti, finanche dei credenti, poco dimestichi con la Parola di Dio, del suo insegnamento circa lo stato dei morti e la risurrezione, credono nella vita oltre alla vita, evidenziando che la morte sia semplicemente un movimento ineluttabile per accedere a una dimensione paradisiaca, tipica dei famosi “campi elisi” o il giardino delle delizie.[1]

Questo pensiero si presuppone sia sostenuto da testimonianze di uomini e donne che creduti morti, sono tornati a vivere, raccontando di essere stati avvolti da una luce o addirittura di essere entrati in contatto con entità celestiali.

Le esperienze ai confini della morte, note anche come NDE (sigla dell’espressione inglese Near Death Experience), sono fenomeni descritti in genere da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo essere state dichiarate «clinicamente morte» o «prossime alla morte».[2] Queste, una volta risvegliate o «tornate in vita», sostengono che durante la loro «irreversibilità clinica» hanno continuato ad avere la percezione di se stesse di ciò che stava accadendo intorno a loro e di aver vissuto l’esperienza del “tunnel della luce”.

La percezione di se stessi, in un contesto extra corporeo, fluisce dall’idea dell’immortalità dell’anima. Un insegnamento, questo, che deriva dal concetto dualistico classico della natura umana[3] e che ha enormi implicazioni dottrinali. Infatti, da esso derivano o dipendono, in maniera più o meno marcata, un gran numero di dottrine. Per esempio, la convinzione che al momento della morte l’anima possa trasmigrare nel paradiso, nell’inferno o nel purgatorio riposa sul presupposto che l’anima sia immortale per natura e che abbia una sua vita autonoma.  Dal dualismo antropologico dipende anche la mediazione di Maria e l’intercessione dei santi che nella Chiesa cattolica e nelle Chiese ortodosse hanno un posto rilevante. Se le anime dei santi sono in cielo, si potrebbe pensare che intercedano a favore dei peccatori che si rivolgono a loro.

Comunque, è importante evidenziare che, chi è stato dichiarato clinicamente morto e poi è tornato in vita, è probabile che non sia veramente morto. Inoltre, le dichiarazioni riguardanti il “tunnel della luce” o l’entrare in contatto con entità familiari o angeli, possono essere facilmente collocate nell’ambito delle interazioni “fantastiche”, tipiche di chi è sotto l’effetto di narcosi.[4]

Il teologo Hans Kung, che ha studiato il problema in maniera esaustiva, ha fatto notare alcune somiglianze tra gli stati psichici di coloro che, dopo un coma, tornano in vita e i tossicodipendenti. Molte delle esperienze di persone “ritornate dall’aldilà” rassomigliano molto a quelle di individui colpiti da schizofrenia, isteria, suggestione, narcosi da LSD e da mescalina. Identiche sono anche le esperienze di orientamento, le percezioni sensibili visive, acustiche, tattili e di altro tipo e le sensazioni con riferimento al tempo e allo spazio. Le medesime emozioni le provano chi sostiene di viaggiare fuori dal proprio corpo.

Viene il sospetto che questi “viaggiatori” vivano le loro esperienze soltanto nella propria mente: nessun viaggio astrale, ma solo allucinazioni il cui luogo è la sede mentale, il cervello.

 

Segue un altro sospetto: i cosiddetti “resuscitati”, alla stregua dei “viaggiatori fuori dal corpo”, vivono anch’essi solo esperienze mentali. E se queste consapevolezze, sono semplici allucinazioni, ne consegue che le “certezze” vissute pre-mortem non si fondano su nessuna base empirica.

Si sa che al momento della morte, la coscienza e l’organismo fisico, sono preda di una specie di euforia prodotta dal cervello che distrae il morente dall’evento traumatico. Eccitamenti del sistema nervoso centrale provocherebbero sentimenti euforici, stimoli luminosi molto forti, visioni intense di vario genere e di febbrile rapidità. Scrive a riguardo Hans Kung: «Il morente scivolerebbe in un mondo senza tempo e senza spazio, senza passato e senza futuro. Il cervello molto attivo del morente produrrebbe allora, "ininterrottamente", senza posa e senza ostacoli, immagini del passato…Tutto ciò significa che le esperienze di vicinanza alla morte dovrebbero, quindi essere comprese come una specie di estrema “inspirazione di emergenza” del cervello morente; il ben noto ultimo divampare del fuoco prima di spegnersi definitivamente».[5]

Per molto tempo si è creduto di poter stabilire, con la massima semplicità, l’avvento della morte quando erano assenti i segni di vita: battito cardiaco, respirazione ecc. Oggi, la medicina può essere più precisa. Infatti, non sono poche le situazioni di coloro che, dichiarati morti dopo sperimentazione di elettroencefalogramma piatto, siano invece tornati a vivere: ad esempio in casi d’ipotermia. Spiega così il fenomeno Hans Kung: «…la morte non interviene necessariamente di colpo, ma può verificarsi in maniera graduale. Nei diversi organi e tessuti, infatti, le funzioni vitali si estinguono in tempi diversi e ciò può influire sull’intero organismo in maniera totalmente diversa. Questo estinguersi dei singoli organi, vitalmente importanti, è descritto in medicina "morte organica" o "morte parziale". A ciò possono fare seguito l’estinzione di altri organi, in particolare del cervello (la “morte centrale”) e, infine, la morte dell’intero organismo (la “morte totale”).[6]

  

Infatti, grazie alla rianimazione, è possibile riportare in vita persone per le quali sono state emesse diagnosi di “morte clinica”. Quando tale “rivitalizzazione” non è possibile, allora subentra la morte biologica, o morte definitiva. Quando Raymond Moody[7] racconta delle centinaia di esperienze di persone tornate dall’aldilà, dimentica che soltanto in una sola fra quelle da lui esaminate, si era dichiarata la morte, mentre per tutte le altre si è trattato di persone tornate in vita dopo rianimazione. Quindi, questi presunti resuscitati, non sono mai andati nell’aldilà; quindi, hanno solo sperimentato il morire, ma non la morte.

 

«Il morire e la morte – afferma ancora Hans Kung – vanno, quindi, rigorosamente distinti: il morire, è i processi fisico-psichici immediatamente precedenti la morte, processi che vengono irreversibilmente arrestati dall’intervento della morte. Il morire è, quindi, il cammino, e la morte la “meta”. Ora questa meta non è mai stata attraversata da nessuna delle persone studiate (dal Moody, ndr). In altri termini, le esperienze di prossimità alla morte non sono esperienze vissute della morte».[8]

Le persone tornate in vita, non hanno sperimentato ancora una “fase della morte”, bensì una determinata “fase della vita”. «Sono esperienze…di persone che sono state certamente molto vicine alla morte reale e pensavano, erroneamente di morire, ma che alla fine non sono morte. Esse si sono avvicinate alla soglia della morte, ma non l’hanno varcata da nessuna parte».[9]

L’unica persona, delle centinaia catalogate da Moody, che avrebbe potuto realmente riferire qualcosa del mondo dell’aldilà, purtroppo non è mai tornata a riferirlo: è morta.

Certamente una parola definitiva riguardo alle esperienze pre-mortem non è ancora stata pronunziata; questo campo d’indagine è aperto a nuove scoperte e a ogni possibilità interpretativa, ma riteniamo di poter precisare alcuni aspetti. Il primo è che i racconti dei “ritornati dalla morte” si assomigliano quasi tutti. I simboli dell’esperienza si ripetono e sono un tunnel tenebroso e un’abbagliante luce al suo termine. Anche le sensazioni fisiche si replicano: senso di soffocamento all’inizio, senso di pace e di leggerezza alla fine. Non è difficile, dunque, concludere che tali sensazioni, peraltro identiche a quelle di chi subisce un’anestesia, un trauma cerebrale o uno shock da tossicodipendenza, rappresentano più una semplice produzione fisio-patologica che un viaggio nel mondo dell’aldilà.

Nel caso, invece, che le esperienze siano genuinamente spirituali e nell’ordine della trascendenza, allora è importante saperle vagliare alla luce della Parola di Dio (At 17:11; 1 Tess 5:21). È anche possibile che Dio si presenti a queste persone che sperimentano lo stato di “quasi-morte” per infondere loro coraggio, o per convincerli dell’esistenza di una vita ultraterrena, ovvero della vita eterna. In tal senso, si deve aggiungere che, date le premesse di carattere teologico-scritturali, ogni qualvolta che i soggetti raccontano la loro esperienza di viaggio ultraterreno, narrando incontri con persone defunte, queste stesse esperienze sono sospette e possono essere inquadrate nella casistica degli inganni di carattere spiritistico.[10]

Coloro che vogliono farci credere che la morte non è la fine ma l’inizio, il nuovo compleanno di un’esistenza che prosegue oltre, non offrono la visione biblica della natura dell’uomo. L’insegnamento di Gesù e degli apostoli, pienamente conforme a quello dell’Antico Testamento, evidenzia la morte come uno stato d’incoscienza (Eccl 9: 5-10).[11] Il racconto della morte e della risurrezione di Lazzaro illustra molto bene questo insegnamento: «Gesù disse loro: “Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma vado a svegliarlo”. Perciò i discepoli gli dissero: “Signore, se egli dorme, sarà salvo”. Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto”» (Gv 11:11-14).  Gesù sottolinea che Lazzaro non esiste più, è tornato a essere polvere (Gn 3:19).  Infatti, Gesù, dopo quattro giorni, rincuora Marta, e sua sorella Maria, con le seguenti parole: «tuo fratello risusciterà» (Gv 11:22). E Gesù, avvicinatosi alla tomba, dopo aver pregato, risuscitò Lazzaro (Gv 11: 41-44).

Se Lazzaro avesse visto o appreso qualcosa intorno al mondo degli spiriti, nei giorni successivi alla sua morte, sicuramente ne avrebbe parlato e indubbiamente queste informazioni avrebbero fornito risposte valide alle domande circa la vita dopo la morte, così vivamente dibattute tra i sadducei e i farisei (cfr. Mt 22:23,28; Mc 12:18,23; Lc 20:27,33). Ciò è  vero anche per altre sei persone che sono state risuscitate dai morti: il figlio della vedova (1 Re 17:17,24); il figlio della sunamita (2 Re 4:18,37); il figlio della vedova a Nain (Lc 7:11,15); la figlia di Iairo (8:41,42,49,56); Tabita (At 9:36,41) ed Eutico (20:9,12).

«Tutte queste persone (che erano veramente morte) sono ritornate in vita come se fossero uscite da un sonno profondo, ma senza alcuna esperienza ultraterrena da raccontare. Non vi sono indicazioni che l’anima di Lazzaro, o delle altre sei persone risuscitate dai morti, fosse ascesa al cielo. Nessuno di loro ha avuto «un’esperienza celestiale» da raccontare. La ragione sta nel fatto che nessuna è ascesa al cielo. Questo è confermato dai riferimenti di Pietro a Davide nel suo discorso il giorno della Pentecoste: «Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi» (At 2:29). Alcuni potrebbero contestare dicendo che quello che si trovava nella tomba era sì il corpo di Davide, ma non la sua anima poiché era ascesa al cielo. Quest’interpretazione è negata dalle esplicite parole di Pietro: «Poiché Davide, infatti, non è salito in cielo» (At 2:34). La versione di John Knox traduce: «Davide mai è andato su al cielo». La Bibbia di Cambridge contiene la seguente nota: «Poiché Davide non è asceso al cielo. Egli è disceso nella tomba e “dormiva con i suoi padri”». Chi dorme nella tomba, secondo la Bibbia, non è solo il corpo, ma l’intera persona che aspetta il risveglio della risurrezione».[12]

Concludiamo, questo breve excursus, con un’ulteriore constatazione. «La credenza di modificare lo status del defunto di fronte a Dio ha oscurato la funzione primaria della grazia come unica fonte di salvezza; ha generato la convinzione illusoria di poter influire sul giudizio imparziale di Dio con i mezzi tipici del compromesso umano. Ha infine indotto una concezione impropria di Dio, attenuando la portata dirompente del messaggio rivoluzionario del perdono senza condizioni, di cui lui solo è capace e a cui l'uomo deve guardare come a un ideale: “Io, io sono; per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati” (Is 43:25; cfr. Ger 31:34; Mt 18: 21,22; Lc 15:22-24)».[13]

 

[1] Nella mitologia greca, luogo di beatitudine (detto anche Campi Elisî), destinato al soggiorno delle anime degli eroi e dei saggi dopo la morte; era in genere considerato parte dell’Ade (contrapp. al Tartaro, sede degli empî), ma altre concezioni lo collocavano ai confini del mondo, dove gli eletti sarebbero stati trasferiti nella loro piena integrità corporea, sottratti per volere degli dei al destino di morte. Il nome di Campi Elisî (fr. Champs-Èlysées) è oggi dato a un parco di Parigi, al viale che l’attraversa (da Place de la Concorde all’Étoile) e al quartiere circostante. http://www.treccani.it/vocabolario/elisio/. “Ciò fatto, a i luoghi di letizia pieni, a l’amene verdure, a le gioiose contrade de’ felici e de’ beati giunsero al fine. È questa una campagna con un aer più largo, e con la terra che di un lume di purpura è vestita ... Qui se ne stan le fortunate genti, parte  in su’ prati e parte in su l’arena scorrendo, lotteggiando, e vari giuochi di piacevol contesa esercitando; parte in musiche, in feste, in balli, in suoni ...” (Eneide, dal libro VI: i Campi Elisi).

[2] A causa di gravi malattie, eventi traumatici, stati comatosi o di arresto cardiocircolatorio, dove l’encefalogramma risulta piatto, la persona può essere dichiarata clinicamente morta.

[3] L'antropologia ebraica è caratterizzata dall'assenza del dualismo anima corpo. In ebraico, l'anima è l'uomo nella sua interezza. Non è possibile affermare che l'uomo abbia un'anima, ma piuttosto che egli è un'anima. Essa è, dunque, il complesso di tutta la personalità, dell’individualità dell’uomo, perciò anima può equivalere a io stesso, tu stesso. Commentando Genesi 2:7, Hans Walter Wolff si chiede: «Che cosa significa in questo caso nefesh (anima)? Certamente non anima nel senso tradizionale dualistico. Nefesh dev’essere visto insieme con tutta la forma dell’uomo, e specialmente con il suo alito; inoltre, l’uomo non ha nefesh (anima), egli stesso è nefesh (anima), e vive come nefesh (anima)». H. W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, (trad. E. Buli), Queriniana, Brescia, 1975, p. 18.

Infatti, Nefesch (anima) può avere fame (Sl 107:9), oppure sete (Sl 143:6), essere soddisfatta (Ge 31:14), mangiare bene (Is 55:2). La nefesch può anche amare (Gn 34:3; Ca 1:7), commuoversi (Sl 31:10), gridare (Sl 116:4;  119:10), conoscere (Sl 139:14), essere saggia (Pr 3:22), adorare e lodare Dio (Sl 103:1; 146:1).

[4] Il sonno profondo indotto da droghe, in genere oppiacei.

[5] H. Kung , Vita eterna?, Mondadori, pp. 30-33.

[6] Idem, p. 30.

[7] Idem, p. 31.

[8] Moody Raymond, Life after life; è un libro che raccoglie le testimonianze di quanti sono tornati in vita dopo rianimazione.

[9] Kung, op. cit.,p. 32,33.

[10] In tal senso, E. G. White scrive che «Egli (Satana ndr) ha il potere di far apparire davanti agli uomini i loro amici defunti. La contraffazione è perfetta: l’aspetto, le parole e il tono della voce vengono riprodotti con precisione straordinaria. Molti sono confortati dalla certezza che i loro cari godano della felicità celeste e, non sospettando nessun pericolo, ascoltano “spiriti seduttori e dottrine di demoni”» (cfr. 1 Timoteo 4:1). Il Gran Conflitto, ed. AdV,  Firenze, 1996, p. 431.

[11] Per capire l’insegnamento biblico sulla morte, bisogna ritornare al racconto della creazione dove la morte è presentata, non come un processo naturale voluto da Dio, ma come qualcosa di innaturale contrario a Dio. Il racconto della Genesi insegna che la morte è entrata nel mondo dopo il peccato. Dio ha ordinato ad Adamo di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male e ha aggiunto questo avvertimento: «Nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai» (Gn 2:17; cfr. 3:19). La morte è la perdita di tutto l’essere e non soltanto la perdita del benessere. La persona, intesa come un tutto indivisibile, riposa nella tomba in uno stato di totale incoscienza chiamato «sonno» nella Bibbia. Il «risveglio» avrà luogo alla venuta di Cristo quando richiamerà in vita i santi addormentati (1 Tess 4:13-18).

[12] S. Bacchiocchi, Immortalità o risurrezione, ed. Adv. Impruneta (Fi). 2004, p. 173,174.

[13] Alessio Del Fante, “Dal sangue di Cristo al purgatorio”, in  Dal cristianesimo al Cattolicesimo, ed. AdV. Falciani (Fi), 1995,  p.210