02. Butindaro. Un cristianesimo a misura d’uomo

02. Butindaro. Un cristianesimo a misura d’uomo

di Francesco Zenzale

"Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo" (1 Gv 4:1).

Ho letto incuriosito il libro online del signor Butindaro Gli Avventisti del Settimo Giorno, come anche altri suoi libri, tra cui Testimonianze, vol. 1, in cui l’autore si presenta come «Giacinto Illuminato Butindaro» (Roma, giugno 2002), e ho potuto cogliere una certa alterigia nei confronti di tutte le religioni che l’autore cerca di confutare come paladino della verità assoluta.

Infatti, i «Testimoni di Geova sono da definirsi dei falsi testimoni perché diffondono menzogne… Certo, si chiamano Testimoni di Geova, ma in effetti essi non sono dei testimoni del Signore, ma solo degli impostori che sotto questo nome spacciano eresie di perdizione e seducono coloro che cadono nelle loro reti abilmente costruite». «I loro insegnamenti sono diabolici».[1]

La chiesa cattolica non ha nulla a che vedere con il cristianesimo essendo una forma di paganesimo camuffato abilmente da cristianesimo e il suo «desiderio infatti è quello di confermarvi nella guerra che anche voi sostenete contro i principati, le potestà, i dominatori di questo mondo di tenebre, e le forze spirituali della malvagità che sono nei luoghi celesti, che tengono schiavi del peccato e della menzogna, milioni e milioni di cattolici romani che non sanno nulla e non capiscono nulla, avendo le loro menti accecate dalle tenebre […] Nella mia confutazione comincerò a distruggere il baluardo su cui si erge tutta quanta la chiesa cattolica romana, e cioè la dottrina che afferma che la salvezza si ottiene per opere e non per fede proseguirò poi col distruggere tutte le altre sue dottrine demoniache che sono in una maniera o nell’altra collegate ad essa».[2]

Le eresie dei mormoni sono paragonate a quelle dei Testimoni di Geova e i pentecostali unitariani sono «molto pericolosi per la Chiesa, le loro dottrine sulla Divinità e sulla salvezza sono veramente diaboliche».[3]

A proposito degli avventisti, nella presentazione del suo libro, scrive: «Per quel che mi riguarda, dopo avere studiato le loro dottrine sono giunto alla conclusione che gli Avventisti costituiscono un serio pericolo per le Chiese; per cui, per amor vostro, mi sono trovato costretto a scrivere questo libro; che sono sicuro vi farà conoscere molte cose che non sapevate sul loro conto e vi aiuterà a confutarli. State saldi nella fede e rimanete attaccati alla Parola di Dio».

Proseguendo nella lettura del libro, dopo una pennellata sugli inizi della chiesa avventista ed elencando le dottrine che secondo lui sono conformi alla Parola di Dio e al suo punto di vista,[4] Butindaro afferma: «ma gli Avventisti a queste dottrine associano delle strane dottrine che contrastano la verità, come per esempio la dottrina della purificazione del santuario celeste cominciata il 22 ottobre 1844, quella del giudizio investigativo cominciato nella stessa data, quella che ordina di non mangiare certi cibi e di non bere certe bevande, quella che ordina l’osservanza del giorno del sabato (da qui il nome di Sabatisti datogli da molti), quella che ordina il pagamento della decima, quella che dice che loro sono il rimanente della progenie, quella peculiare sul dragone la bestia e il falso profeta e il marchio della bestia, quella che afferma che l’anima è l’intero essere umano e che tra la morte e la risurrezione l’uomo dorme, quella che afferma che gli empi quando risusciteranno saranno distrutti (o annichiliti) per sempre, e che anche Satana tornerà a non esistere, ed altre. Io confuterò proprio queste dottrine, facendo notare a suo tempo come alcune di queste loro dottrine intaccano la salvezza per grazia e l’opera di espiazione compiuta da Cristo. Nella mia confutazione dedicherò una parte anche alla dimostrazione che benché gli Avventisti dichiarino l’ispirazione delle Scritture e che le Scritture sono la piena rivelazione di Dio, di fatto considerano gli scritti di Ellen G. White alla stessa stregua delle Scritture, anzi in alcuni casi al di sopra di esse».

Oltre a queste ipotizzate errate dottrine che lo inducono a ritenere che la chiesa avventista costituisca un serio pericolo, il signor Butindaro presenta altri aspetti che non considereremo in questo lavoro, quali: la donna deve pregare con il capo coperto, il controllo delle nascite, la politica, la menzogna, ecc.

Per il lettore che conosce poco la Bibbia, il modo in cui l’autore cerca di confutare le variegate dottrine ritenute da lui diaboliche può risultare seducente, soprattutto se deluso dalla propria confessione religiosa e in cerca di motivi per criticarla e quindi allontanarsene.

Ricordo una signora che, avendo un contenzioso legale-amministrativo con la chiesa cattolica, dopo una serie di contatti online decise di studiare la Bibbia. Al primo incontro mi parlò del suo problema con sentita sofferenza, ma anche con tanto astio, rivolgendomi tutta una serie di domande che non avevano nulla a che fare con il desiderio di conoscere il Vangelo. Ciò che desiderava era semplicemente acquisire ulteriori motivi per giustificare la propria posizione nei confronti della chiesa cattolica e quindi cercare di allontanarsene. Con pazienza provai a indirizzarla alla Parola di Dio: Gesù Cristo. Un bel giorno mi disse di essersi messa in contatto online con il signor Butindaro e che, leggendo il suo libro contro la chiesa cattolica e senza essere minimamente interessata alla Parola di Dio o a una sana critica, si era convinta che il contenuto di quel libro fosse veritiero.

Quel giorno decisi di leggere i libri del signor Butindaro e la sua professione di fede. Mi resi conto allora che nei suoi scritti prevaleva uno stile accusatorio e diffamatorio, sicuramente in contrasto con il modo in cui Gesù si rapportava con le persone. Inoltre, ho potuto cogliere nel libro Quel che crediamo e insegniamo un insieme di dottrine da lui adottate, che in realtà sono state prese un po’ da tutte le religioni che egli stesso contesta, adattandole al suo pensiero.

Un cristianesimo made at Home

Illustrazione

Proviamo a immaginare di entrare in un supermercato religioso dove ogni settore corrisponde a una religione. In ogni rispettivo comparto troviamo una serie di dottrine di diversa estensione spirituale come le taglie per l’abbigliamento: S, M, L, XL, XXL, ecc.

Visitiamo il reparto avventista con la nostra taglia o modo di pensare, prendiamo l’articolo religioso che più ci aggrada, lo misuriamo e ci rendiamo conto che va un po’ stretto oppure che è largo, rispetto alla nostra taglia religiosa, ma lo compriamo lo stesso.

Successivamente, visitiamo il comparto cattolico, poi quello pentecostale, ecc. e in ogni settore proviamo degli abiti che possono avere la nostra taglia di pensiero e che necessitano di un piccolo ritocco.

Tornando a casa, indifferenti di quanto l’apostolo Giovanni scrive a conclusione del suo libro  l’Apocalisse, [5] con forbici, filo e macchina da cucire lo adattiamo al nostra taglia religiosa. In altre parole, prendiamo la Parola di Dio e incominciamo a trovare le misure (testi biblici personalizzati) convenienti, facendo attenzione che ogni abito (dottrina) risulti in perfetta armonia con il nostro modo di intendere la religione.

Ma non è ancora finita! Entusiasti del capolavoro religioso, di confezione umana (Made at Home), incominciamo a metterlo in mostra, ponendo al centro la nostra persona, il nostro io, orgogliosi di aver confezionato una eccellente opera spirituale e dottrinale e, con la pretesa di essere stati illuminati dallo Spirito Santo, condanniamo tutte quelle religioni di cui prima ci siamo serviti.

Questo modo di rapportarsi con la Parola di Dio non è corretto. Se la riteniamo unica regola di fede e di condotta, dobbiamo tenere presente che la Bibbia chiama in giudizio l’uomo (cfr. Ap 22:18,19), invitandolo a conformarsi alle sue direttive, ma l’uomo non può mai citare la Bibbia in giudizio. L’esperienza personale non deve costituire un metodo interpretativo, né tanto meno la partecipazione emotiva.[6] L’intelligenza deve essere usata per comprendere il messaggio biblico e viverlo, non per ergersi a giudicare gli uomini o adattando la verità del Vangelo al nostro modo di concepire la spiritualità.

«Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato» (Lc 6:37). Gesù ci invita a predicare il Vangelo (Mc 16.15), a viverlo con umiltà: «voi non vi fate chiamare "Rabbì"; perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli» (Mt 23:8). Ci esorta a promuovere una sana autocritica: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?» (Mt 7:3).

A. la purificazione del santuario celeste

Per la confutazione della purificazione del santuario celeste, l’autore entra nel settore avventista, apprezza la spiegazione teologico-spirituale del santuario terreno e la fa sua. Successivamente si sofferma sull’aspetto profetico e decide che non va bene, quindi lo modifica, affermando che la «purificazione del santuario celeste è una falsa dottrina che contrasta con la salvezza per grazia. Evidenziando che il corno di Daniele 8 è Antioco Epifane (re di Siria dal 175 al 164 a.C.), che la purificazione del santuario riguarda il tempio di Gerusalemme, «che durò 2.300 giorni (sei anni, tre mesi, e diciotto giorni), a partire[7] dall’anno 171 a.C. (anno in cui Antioco Epifane cominciò a "calpestare" il santuario di Gerusalemme sostituendo il sommo sacerdote con Menelao) fino al 165 a. C., anno in cui Giuda Maccabeo a capo di un certo numero di Giudei riconquistò Gerusalemme e purificò il tempio e ristabilì le funzioni che in esso vi si dovevano compiere, tra cui anche l’offerta del sacrificio continuo».

Butindaro è talmente soggiogato dalle sue convinzioni che tralascia di prendere in considerazione quanto segue:

1. La profezia delle sere–mattine riguarda il tempo della fine: «Ed egli venne vicino, al luogo dove stavo io; alla sua venuta io fui spaventato e mi prostrai con la faccia a terra; ma egli mi disse: "Sta' bene attento, o figlio d'uomo, perché questa visione riguarda il tempo della fine"» (Dn 8:17; cfr. Dn 12: 4, 9).

2. Il corno di Daniele 8 ha le stesse caratteristiche del corno di Daniele 7 e, pertanto, la profezia addita lo stesso potere che sarà infranto senza opera di mano e nel giorno del giudizio.

Daniele VII

versetto 20 maggiore dei precedenti

versetto 25 parole contro l’Altissimo

versetto 25 cambia tempi e legge

Daniele VIII

versetto 9 divenne molto grande

versetti 11,25 auto esaltazione

versetto 13 calpesterà la verità

versetto 25 perseguiterà i santi

versetto 26 sarà sterminato

versetto 10 calpesterà l’esercito del cielo

versetto 26 sarà distrutto senza opera umana (vedere anche 2:45; 7 :26)

3. In un contesto profetico il cui genere letterario è caratterizzato dal simbolismo, quali le profezie di Daniele e Apocalisse, la spiegazione dei testi biblici non può essere cambiata a piacimento, passando dal simbolico al letterale. Per Butindaro il montone, il capro con le quattro corna e il corno che spunta da uno delle quattro di esse rappresentano dei re e dei regni, le 2.300 sere e mattine costituiscono invece dei semplici giorni.[8]

Nel 1729, T. Crinsoz scriveva: «Io non penso che le 2.300 sere e mattine, dopo le quali il santuario deve essere purificato, significhino duemilatrecento giorni naturali. L’avvenimento ha fatto fin troppo vedere che il santuario e l’esercito dovevano essere calpestati per un periodo molto più lungo. Trattandosi qui di una profezia, è ragionevole intendere attraverso questo numero di sere e mattine, non dei giorni naturali, ma dei giorni profetici».[9] Che le 2.300 sere e mattine debbano essere prese non in senso letterale è dato dall’evidenza del testo stesso. Alla domanda: «Fino a quando durerà la visione...». Si risponde con 2.300 sere e mattine. La «visione» riguarda tutto il quadro che viene presentato. Per tre volte nei versetti 1 e 2 si parla della visione. Inoltre viene detto che questa visione riguarda un tempo lontano e concerne il tempo della fine. La visione va quindi dal tempo dell’Impero Medo Persiano alla fine. È fare violenza all’intenzionalità del testo se si vuole sostenere 2.300 giorni come tempo letterale.

4. La profezia di Daniele 8:14 è intimamente legata a quella di Daniele 9: 24-27. Daniele, a seguito del contenuto della visione del capitolo 8, sviene (Dn 8:27). Ciò impedisce all'angelo Gabriele (v. 16) di completare la spiegazione della visione relativa alle 2.300 sere e mattine (Dn 14). Pertanto, anche se la profezia spiega i tre precedenti elementi (montone, capro e piccolo corno), non fa luce sulla visione dei 2.300 giorni (Dn 8:14). Il chiarimento lo troviamo al capitolo successivo, circa 12 anni dopo, a seguito della preghiera di Daniele (9:1-19), l’angelo Gabriele - lo stesso che interpreta la visione di Daniele 8 (v. 16) - appare al profeta annunciandogli di essere venuto affinché «possa comprendere» (9:22).

Gabriele invita Daniele a porre «attenzione al messaggio e comprendere la visione» (v. 23), si tratta della visione dei 2300 giorni. Il termine che Daniele adopera per descrivere la visione in senso generale, riferita al capitolo 8, è hazon. «Nel terzo anno del regno del re Baldassar, io, Daniele, ebbi una visione (hazon) dopo quella che avevo avuto prima. Quando ebbi la visione (hazon) ero a Susa, la residenza reale che è nella provincia di Elam, ma nella visione (hazon) mi trovavo presso il fiume Ulai» (Dn 8:1,2). Al contrario, quando parla specificatamente dei 2.300 giorni, Daniele usa un termine diverso per indicare la visione: mareh. «La visione (mareh) delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera… Allora, io, Daniele, svenni e fui malato per diversi giorni; poi mi alzai e feci gli affari del re. Io ero stupito della visione (mareh), ma nessuno se ne accorse» (Dn 8:26,27).

Al capitolo 8 vengono quindi usate due parole diverse riferite alla visione: hazon, che fa riferimento alla visione generale; mareh in riferimento al versetto 14, la visione sui 2.300 giorni relativa alla purificazione del santuario, che non era stata dovutamente spiegata (Dn 8:27).

Quando Gabriele si ripresenta al profeta, queste due parole compaiono di nuovo al capitolo 9. «Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto prima nella visione (hazon), mandato con rapido volo, si avvicinò a me all’ora dell’offerta della sera. Egli mi rivolse la parola e disse: “Daniele, io sono venuto perché tu possa comprendere. Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela, perché tu sei molto amato. Fa’ dunque attenzione al messaggio e comprendi la visione (mareh)”» (Dn 9:21-23).

Comprendere quale mareh? Una sola possibilità: mareh dei 2.300 giorni che Daniele ammise di non avere capito. Infatti la parola tradotta con «comprendi» deriva dal termine ebraico bin, che si collega anche con la visione (mareh) di Daniele 8:26, che il profeta aveva bisogno di comprendere (bin). L’interpretazione di Daniele 9:24-27 è palesemente legata ai 2.300 giorni del capitolo precedente. Gabriele venne da Daniele affinché comprendesse la visione (mareh) delle 2.300 sere e mattine!

Ora, come dovremmo considerare le settanta settimane? 490 giorni o 490 anni? Tutti gli studiosi, cattolici e protestanti, concordano nel dire che corrispondono a 490 anni. Vittorio Messori, autore del libro Ipotesi su Gesù, soffermandosi sulla profezia di Daniele 9, afferma: «C’è in questo testo, una progressione continua e davvero impressionante, che sfocia nella celebre Magna Prophetia, la grande profezia del capitolo nono. Qui, seppure tra le oscurità dell’oracolo e nella logica costante del Dio che “sceglie la penombra”, sembra davvero che venga suggerita la data in cui sarebbe apparso il Messia. È la prima e unica volta nella Scrittura che si stabilisce un vero e proprio “calendario”».[10]

Se le settanta settimane sono degli anni e sono state fissate (isolate) da un periodo profetico più lungo, anche le 2.300 sere e mattine sono anni! Butindaro commette dei gravi errori interpretativi!

A proposito della purificazione del santuario celeste, crediamo che in cielo esiste un “tempio”, ma io penso ritengo che non sia proprio come il santuario terreno.

La Bibbia, e in particolare la lettera agli Ebrei, stabilisce un parallelismo significativo fra il sacerdozio ebraico che aveva il suo centro nel santuario e il ruolo del Salvatore in un “santuario del cielo” di cui quello terreno era solo «figura e ombra». «Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto» (Eb 8:1,2). «Ma venuto Cristo, Sommo Sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso il tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto con mano... e non mediante il sangue di becchi e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna... Poiché Cristo non è entrato in un santuario fatto con mano, figura del vero; ma nel cielo stesso, per comparire ora, al cospetto di Dio, per noi» (Eb 9:11,12,24).

In quanto avventisti, crediamo che Gesù Cristo dopo l’ascensione è alla destra di Dio (At 7:55-56; Col 3:1;Eb 8:1; Rm 8:34; Eb 7:25;1Gv 2: 1-2, ecc) e riteniamo che dal 1844, data in cui scade il più lungo periodo profetico della Bibbia (cfr. Dn 8:14), sia iniziata l’opera finale di Cristo, analoga alla purificazione del popolo che avveniva, nell’Antico Testamento, nel «giorno della purificazione». Tale opera, con la quale si entra nel tempo della fine, è un momento del giudizio che prepara il ritorno in gloria di Cristo sulla terra.

In altre parole, è iniziata l’ultima fase della storia dell’umanità, dove la verità evangelica calpestata dal corno blasfemo di Daniele 7 e 8, viene a essere restaurata e proclamata.

 

B. L’immortalità dell’anima

Continuando con la metafora del supermercato, il signor Butindaro, dopo aver «acquistato» e adattato alcuni insegnamenti della chiesa avventista al suo pensiero religioso, visita il settore cattolico e arriva davanti a «una forma di paganesimo camuffato abilmente da cristianesimo», ma trova interessante il vestito dell’immortalità dell’anima. Dopo averlo attentamente osservato, si rende conto che gli va un po’ largo e quindi decide di tagliarlo: via il purgatorio, il culto dei morti, l’intercessione dei santi, ecc. Esiste solo l’inferno e il paradiso. Satana, i suoi angeli e gli empi non saranno mai distrutti, ma soffriranno le pene eterne. «Che quando muore un peccatore la sua anima va subito nell’Ades (parola greca che significa il mondo invisibile),[11] che è un luogo di tormento situato nel cuore della terra, dove regna il caos, dove ci sono tenebre fitte e dove il peccatore è tormentato dal fuoco, che gli produce dolori e sofferenze atroci».

Poveri empi, verrebbe da dire! E poveri coloro che saranno salvati, perché dovranno convivere sempre con il doloroso pensiero che i loro cari, se empi, soffriranno le pene eterne; che il peccato e tutte le sue conseguenze dureranno per l’eternità, e quindi i credenti dovranno vivere anche con la paura che tutto possa ricominciare, che nulla è definitivo e che pertanto il sacrificio di Cristo non ha risolto una volta per tutte il problema peccato.

Ora se, come dice l’apostolo Paolo, «il salario del peccato è la morte» (Rm 6:23; cfr. Gn 3:19), come mai gli empi continuano a vivere?

Butindaro, nell’appropriarsi della dottrina dell’immortalità dell’anima, non si rende conto che questo insegnamento è pagano, quanto quello della chiesa cattolica che lui definisce pagana. Infatti, l’insegnamento dicotomico anima-corpo è già presente nell’antica letteratura greca, dove l’anima è presentata in stretta connessione con il corpo e, secondo Omero, «Quando questa lo abbandona, gli viene a mancare la vita».[12]

Platone si fa interprete di una concezione secondo la quale, con la morte, l’anima è separata dal corpo per tornare a se stessa e all’originaria immortalità.[13] Egli fonda (giustifica) la necessità dell’immortalità con il fatto che il tempo della vita è troppo breve perché ci sia un’incidenza morale sull’uomo. Quest’ultimo, in quanto anima, dovrà perciò sperimentare e valorizzare l’esperienza di più incarnazioni. Il corpo è per l’anima una specie di prigione. La liberazione di questa prigione avviene tramite consacrazioni a Bacco, tramite la grazia di redentori, e con il distacco ascetico del medesimo essere terreno.[14]

Ma l'antropologia ebraica è caratterizzata dall'assenza di dualismo anima-corpo. L'uomo è un'anima vivente. Per l’ebreo, l'anima è l'uomo nella sua interezza. Non è possibile allora affermare che l'uomo abbia un'anima, ma piuttosto che egli sia un'anima. Allo stesso modo, dal punto di vista biblico, l'uomo è un corpo.[15]

È interessante notare che, nel confutare la dottrina avventista sulla natura umana, Butindaro entra in contraddizione. Da una parte afferma che i termini nephesh e psyche indicano la persona, dall’altra l’anima.

Ora, secondo la Parola di Dio, «La nefesch (anima) può avere fame (Sal 107:9), oppure sete (Sal 143:6), essere soddisfatta (Ger 31:14), mangiare bene (Is 55: 2). Ma, la nefesch può anche amare (Gn 34:3; Cantico dei Cantici 1:7), commuoversi (Sal 31:10), gridare (Sal 116:4; Sal 119:10), conoscere (Sal 139:14); essere saggia (Prb 3:22), adorare e lodare Dio (Sal 103:1; 146:1).[16]

L’anima, psyche, nel Nuovo Testamento indica l’intera persona nello stesso modo in cui nefesh la indica nell’Antico Testamento. Per esempio, nella sua difesa davanti al Sinedrio, Stefano menziona che «settantacinque anime (psyche)» della famiglia di Giacobbe scesero in Egitto (At 7:14), figura e usanza, queste, presenti nell’Antico Testamento (cfr. Gn 46:26,27; Es 1:5; Dt 10:22). Nel giorno della Pentecoste, «tremila anime (psyche)» (Atti 2:41) furono battezzate e «ogni anima (psyche)» era presa da timore (At 2:43). Parlando della famiglia di Noè, Pietro dice «otto anime (psyche) furono salvate attraverso l’acqua» (1Pt 3:20).

Il fatto che l’anima nella Bibbia rappresenti l’intera persona vivente è riconosciuto persino dallo studioso cattolico Dom Wulstan Mork che si esprime con questi termini: «È la nefesh che dà vita a basar (carne), ma non facendone una nuova sostanza distinta. Adamo non ha nefesh; egli è nefesh, come è basar. Il corpo, lungi dall’esser distinto dal principio che lo anima, è la stessa nefesh visibile».[17]

Ma Butindaro, nella sua irriducibile confutazione, ancora una volta dimostra di fare un uso improprio della Parola di Dio e non tiene conto del genere letterario. Ad esempio, egli ritiene che la similitudine del ricco e del povero Lazzaro non sia una parabola, un racconto allegorico, ma una storia vera e, raccontandola, Gesù dimostra di credere nell’immortalità dell’anima. E, pertanto, il paradiso che si trova nel cielo è in contatto con l’inferno ubicato nelle profondità della terra, dove le anime hanno dita, lingue, sete, ecc. John W. Cooper riconosce che la parabola dell’uomo ricco e Lazzaro «non dice necessariamente ciò che Gesù o Luca credevano circa la vita ultraterrena, né fornisce una base per la dottrina sullo stato intermedio. Gesù ha usato un’immagine comune semplicemente per comunicare meglio il suo insegnamento etico. Non vuol dire che egli condividesse questo racconto né che credesse nel suo contenuto».[18]

Cooper pone la domanda: «Che cosa dice questo episodio circa lo stato intermedio?». Risponde nettamente e onestamente in questo modo: «La risposta è niente. La causa dualista non può appoggiarsi a questo brano per sostenere la sua tesi».[19]

Non si devono mai trarre conclusioni dogmatiche da una parabola, pertanto facciamo tesoro degli insegnamenti di questa parabola, e ricordiamoci che il nostro destino si adempie in questa vita, secondo l’atteggiamento che assumiamo nei confronti della Parola di Dio.

C. Il sabato e la domenica

Visitando il settore evangelico-pentecostale, Butindaro si rende conto che oltre alla dottrina dell’immortalità dell’anima c’è un altro insegnamento che è comune al comparto cattolico: la domenica. Ora, siccome la domenica è di origine pagana, infatti deriva dal dies solis,[20] dopo una confutazione priva di principi basilari sull’interpretazione biblica, relativa all’osservanza del sabato e su alcuni testi apparentemente controversi,[21] egli formula la seguente dottrina: «Stimiamo tutti i giorni uguali. Non pensiamo quindi che la domenica deve essere osservata. Se un fratello stima la domenica più degli altri giorni e la osserva, noi non lo giudichiamo, ma egli non deve imporre questa sua convinzione agli altri e neppure giudicare coloro che non hanno la sua stessa convinzione. Sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Non osserviamo né il sabato, né la festa di Pasqua, né la festa della Pentecoste, e neppure la festa delle Capanne, come neppure tutte le altre feste ebraiche, e questo perché noi non siamo stati chiamati ad osservare sabati e feste. Nessuno ci giudichi riguardo a queste cose. Rigettiamo il Carnevale, Halloween, e il Natale».[22]

In questo modo si sbarazza degli avventisti del settimo giorno, del cattolicesimo, del mondo evangelico, ecc.

A proposito del sabato, D. A. Carson, uno studioso cristiano che non condivide la posizione avventista, afferma: «Nell’insegnamento di Gesù non si trova nessun accenno al fatto che la domenica dovrà assumere la santità del sabato oppure sostituirlo».[23] Scrive Paul Wells: «Il significato del Sabato di Dio non è abolito dal peccato dell’uomo; ma esso è intensificato da questa ribellione. Ora più che mai, il Sabato diventa segno della grazia di Dio verso un mondo che dipende da Lui, ma che rifiuta di riconoscerlo. Questo aspetto del riposo di Dio stabilisce una continuità tra la creazione e la redenzione. Il riposo di Dio non è distrutto dalle azioni degli uomini; esso sussiste, e resiste alla loro indifferenza e alla loro irrazionalità. La santificazione del Sabato è il monumento commemorativo nel presente della creazione futura, dei nuovi cieli e della nuova terra».[24]

Il teologo protestante Jean Cadier, scriveva: «I riformati come gli altri sono più sottomessi alla tradizione di quanto lo vogliono riconoscere. Sulla questione della domenica, della lavanda dei piedi…, del battesimo dei bambini…l’apporto della tradizione è stato nettissimo. Allorché una confessione cristiana, come gli Avventisti, inizia su questi difficili soggetti nel nome della Scrittura; una controversia con i riformati, essa è in anticipo vittoriosa, e i testi con i quali la nostra chiesa difende la sua posizione, al di fuori del ruolo della tradizione, e senza invocare lo spirito della rivelazione, sono rari e non apportano l’adesione. Noi preferiamo dirlo molto chiaramente e affermare che c’è una tradizione protestante».[25]

D. I 144.000

Entrando nel settore dei Testimoni di Geova, Butindaro trova interessante l’interpretazione letterale dei 144.000 e se ne appropria, affermando che «i 144.000 sono Ebrei di nascita che non si sono contaminati con donne» (Ap cap. 7 e 14).

Ci sono diversi motivi per cui una tale interpretazione è inaccettabile. Se si vuole considerare l'espressione «le tribù d'Israele» in senso letterale, riguardante il popolo ebraico degli ultimi tempi, ci si trova di fronte a delle difficoltà di ordine genealogico pressoché insormontabili:

a) Giovanni (Ap 7: 1-8) menziona la tribù di Giuseppe, ma questa tribù, quando gli ebrei entrarono nella terra promessa, fu presente con i nomi dei suoi due figli: Efraim e Manasse (cfr. Genesi 48:5-6). Quest'ultimo è pure citato da Giovanni nella lista, per cui ci sarebbe una sovrapposizione.

b) Inoltre, l'apostolo non indica la tribù di Dan, che sostituisce con quella di Levi (che normalmente non compare nell'elenco delle tribù che si spartirono la terra promessa, in quanto i leviti non ebbero terra, ma solo città, sparse per tutto il territorio: il loro compito era quello di servire l'Eterno e insegnarne le leggi al popolo). Probabilmente Dan non è citato, perché questa tribù è associata all'idea di apostasia e di idolatria. Essa è anche l'oggetto di una profezia che ha in sé l'idea di una maledizione: «Dan sarà una serpe sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero» (Gn 49:17).

c) Il modo di Giovanni di elencare le tribù non trova nessun riscontro nell'Antico Testamento. Non segue né l'ordine di nascita dei figli di Giacobbe né l'ordine con il quale il patriarca menzionò i suoi figli, capostipiti delle tribù, benedicendoli sul letto di morte. La tribù di Giuda, per esempio, è citata per prima, forse per il fatto che da essa è nato il Messia.

d) Butindaro non si rende conto che Giovanni non vede la realtà nelle sue visioni, ma la rappresentazione figurata di questa realtà. Comunque, se esistono dei passi chiaramente letterali nell'Apocalisse, tuttavia il contesto di questa visione è decisamente tutto simbolico: i venti, il suggello sulla fronte, le quattro creature viventi... Di conseguenza, è plausibile supporre che le tribù d'Israele siano indicate in senso figurato. Senza ciò, il testo suggerirebbe l'idea che gli unici salvati nell'ultima generazione sono soltanto ebrei, poiché chi non avrà il sigillo di Dio prenderà «il marchio della bestia» e sarà perduto.

La chiesa è chiamata Israele e i veri israeliti non sono quelli che hanno i genitori o uno di loro ebreo, ma quelli che come Abrahamo, padre dei credenti, credono veramente nelle promesse di Dio e vivono per fede la loro vocazione di figli di Dio.[26] Questi segnati sono definiti in Apocalisse 7:3 con il termine generico di «servitori dell’Iddio» e sono presentati come sparsi in tutto il mondo, come viene confermato in Apocalisse 14, dove è detto di loro: «Sono stati riscattati dalla terra».[27]

«Noi abbiamo qui la concezione che si trova in tutta l’Apocalisse e che fa del popolo di Dio sotto la nuova alleanza la realizzazione perfetta di ciò che Israele prefigurava sotto l’antica».[28]

«I 144.000 segnati formano l’Israele spirituale, che è quanto dire la Chiesa di Cristo senza distinzione di nazionalità».[29]

Ciò che può avere indotto Giovanni a rappresentare la chiesa sotto il simbolo delle dodici tribù d’Israele, crediamo che siano le analogie tra le piaghe che colpirono l’Egitto, risparmiando i figli delle dodici tribù d’Israele, e le piaghe che colpiranno l’umanità preservando i membri del popolo di Dio che, come gli israeliti, sono stati sigillati.[30]

Giacomo, nella sua lettera, chiama la chiesa: «Le dodici tribù che sono nella dispersione».[31] I 144.000 dell’Apocalisse sono l’Israele spirituale, la comunità dei fedeli, che Dio «riscatta fra gli uomini» e che si trova sparso su tutta la terra, fra tutti i popoli.

Inoltre, bisogna tenere conto che nel linguaggio simbolico le cifre 7 e 12 indicano la perfezione e il numero 12 (che richiama le tribù d'Israele e gli apostoli) rappresenta il popolo di Dio nella sua totalità.

Il carattere simbolico della cifra 144.000 è dunque evidente: si tratta del quadrato di 12 (12x12 = 144) moltiplicato per il coefficiente di moltitudine 1.000 e può significare che a Dio solo appartiene l'enumerazione dei suoi (come il pastore che conta le sue pecore) e che il loro numero è completo e perfetto.

E. La chiesa cristiana avventista, la Parola di Dio ed Ellen G. White.

Butindaro afferma che gli avventisti «di fatto considerano gli scritti di Ellen G. White alla stessa stregua delle Scritture, anzi in alcuni casi al di sopra di esse». Ciò è falso!

Gli avventisti credono nei doni spirituali. Scrive l’apostolo Paolo: «... a ciascun di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono largito da Cristo... Ed è lui che ha dato gli uni, come apostoli; gli altri, come profeti; gli altri, come evangelisti; gli altri, come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministero, per l’edificazione del corpo di Cristo» (Ef 4:7,11,12).

Siamo convinti che la chiesa non sarebbe in grado di compiere la propria missione nel mondo se non potesse contare sui doni spirituali che si manifestano nel suo seno. Salendo al cielo, Cristo la ricolmò dei suoi doni celesti. Lo Spirito Santo, suo rappresentante, agisce con potenza distribuendo i suoi doni secondo le possibilità dei singoli membri e per l’edificazione di tutti: «Ora a ciascuno è la manifestazione dello Spirito per il bene comune» (1 Cor 12:7).

Pertanto, Dio concede a tutti i membri della sua chiesa, indipendentemente dall’epoca in cui vivono, i doni spirituali che ognuno deve utilizzare in un servizio motivato dall’amore, per il bene comune della chiesa e dell’umanità. Donati dallo Spirito Santo, che li distribuisce «a ciascuno in particolare come egli vuole», i doni assicurano quelle capacità e quella vocazione necessarie alla chiesa per l’esercizio delle funzioni stabilite da Dio. Secondo la Scrittura, questi doni sono: la fede, la guarigione, la profezia, la predicazione, l’insegnamento, l’amministrazione, la comprensione, la riconciliazione, il servizio altruistico e la bontà per aiutare e incoraggiare le persone. Alcuni membri sono chiamati da Dio e ricevono i doni dello Spirito per esercitare le funzioni riconosciute dalla chiesa nel ministero pastorale, evangelistico, apostolico e nell’insegnamento. Queste funzioni sono particolarmente importanti per preparare i membri al servizio, per aiutare la chiesa a crescere verso il raggiungimento della maturità spirituale, per promuovere l’unità della fede e la conoscenza di Dio. Quando i membri usano questi doni spirituali «come buoni amministratori della svariata grazia di Dio», la chiesa è protetta dagli influssi distruttivi delle false dottrine, si sviluppa grazie all’intervento di Dio e si rafforza nella fede e nell’amore (cfr. Rm 12:4-8; 1 Cor 12:9-11,27,28; Ef 4:8,11-16; At 6:1-7; 1 Tm 2:1-3; 1 Pt 4:10,11). Pertanto, accettare la dottrina dei doni spirituali, compreso il dono di profezia, è un insegnamento biblico.

Gli avventisti credono che lo Spirito Santo abbia accordato alla signora Ellen G. White il dono profetico e sono convinti che questo dono può essere accordato anche oggi secondo il sua volontà (Gioele 2:28-29). Ritengono, come la signora White stessa affermava, che i suoi scritti si pongono nei confronti della chiesa in termini formativi, di consolazione, di incoraggiamento e non normativi: la norma è solo la Parola di Dio. Il fatto che siano formativi non significa che siano meno ispirati rispetto alla Bibbia, ma che il loro ruolo fondamentale è quello di condurci alla Parola Dio, la norma attraverso la quale «ogni insegnamento e ogni esperienza devono essere provati».

Accettando che gli scritti della signora White non sono normativi ma formativi, riteniamo la Parola di Dio come unica regola di fede e di condotta, riteniamo che le dottrine che la chiesa cristiana avventista professa sono tutte sostenute dalla Parola di Dio, senza l’ausilio di ciò che dice E. G. White, ed è a essa che ogni credente, E. G. White compresa, sono sottomessi.

Infatti, la preoccupazione di Ellen G. White per la Parola scritta di Dio fu parallela alla grande enfasi da lei posta sulla figura di Cristo, la vivente Parola di Dio. Scrisse nel suo primo libro (1851): «Ti raccomando, caro lettore, la Parola di Dio come regola della tua fede e della tua condotta» (EW 78). E diversi anni dopo, davanti all’Assemblea Mondiale del 1909, in piedi con una Bibbia in mano, disse: «Fratelli e sorelle, vi raccomando questo libro». Furono le sue ultime parole pronunciate davanti a un'Assemblea Mondiale della chiesa.

Ellen G. White esaltò la Bibbia per tutta la sua vita. Per lei, la Bibbia era la volontà rivelata di Dio e comunicava la conoscenza che guida a una relazione salvifica con Gesù. «Nella sua Parola», ella dichiarò, «Dio ha provveduto all’uomo la conoscenza necessaria per la salvezza. La Sacra Scrittura deve essere accettata come un’autorevole, infallibile rivelazione della sua volontà. Essa costituisce il modello del carattere, la rivelazione della dottrina, la prova dell’esperienza».[32]

Durante i vari conflitti teologici in cui venne a trovarsi, enfatizzò sempre la centralità della Scrittura. Ad esempio, quando la chiesa si preparava alla controversa Assemblea Mondiale del 1888, a Minneapolis, e alcuni cercavano di usare altre autorità per la dottrina e per l’interpretazione della Bibbia, ripetutamente spinse i suoi fratelli di chiesa e i dirigenti a rivolgersi alla Scrittura. «Noi vogliamo delle prove bibliche per ogni punto che sosteniamo», aveva detto loro nell’aprile del 1887 (1888 Materials 36). Nel luglio 1888, scrisse ancora che «la Bibbia è la sola regola di fede e di dottrina» (RH, 17 luglio, 1888).

F. Ultime e brevi considerazioni

1. Butindaro, nella sua religiosità, senza minimamente tenere conto del contesto religioso e culturale in cui la verità o un insegnamento è applicato, s’interessa più dell’applicazione che del principio. Per esempio, secondo Butindaro, «Alla donna non è permesso insegnare, né usare autorità sull’uomo, ma deve imparare in silenzio con ogni sottomissione; quindi la donna non può fare il pastore, e non può ambire all’ufficio di anziano, perché sia il pastore che l’anziano devono insegnare la Parola di Dio. La donna però può ambire all’ufficio di diacono perché il diacono non è preposto all’insegnamento. Nell’assemblea alla donna è permesso pregare e profetizzare, ma non le è permesso fare domande perché è cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea».[33]

Le sue parole sembrano prese dal Nuovo Testamento, senza rendersi conto che la chiesa dei Corinzi era una comunità problematica. Di conseguenza, la lettera risponde a delle problematiche locali che noi possiamo conoscere solo genericamente sulla base delle risposte di Paolo che dice : «Or quant’è alle cose delle quali m’avete scritto…» (1Cor 7:1), è chiaro allora che deve aver ricevuto una lettera (da Apollo e da altri) nella quale gli comunicavano dei problemi, per cui, avendo questi casi in mente, egli risponde. Del resto, questo è confermato anche dallo stesso genere letterario dello scritto. L’epistola è essenzialmente una lettera di circostanza.

L’ingiunzione «Tacciano le donne…» è un’espressione riprensiva e non dottrinale. Paolo non vuole stabilire un insegnamento, nel senso che le donne non possono tenere un culto d’adorazione, ma sta applicando un principio divino, che era venuto meno, quello dell’ordine e del decoro (1Cor 14:40). Si evidenzia, quindi, una presa di posizione da parte dell’apostolo Paolo, nei confronti non solo delle donne «carismatiche» (1Cor 11:5), ma anche nei confronti dell’uomo. Infatti, la stessa parola e con lo stesso tono «imperativo» la troviamo riferita agli uomini: «Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due o al massimo in tre a parlare, e per ordine; uno poi faccia da interprete. Se non vi è chi interpreta, ciascuno d’essi taccia nell'assemblea e parli solo a se stesso e a Dio» (1Cor 14:27-28).

2. Butindaro, di sua iniziativa, afferma che non si deve votare: «Noi siamo apolitici, quindi non andiamo a votare e non facciamo politica; ed esortiamo i santi ad essere apolitici come noi, perché il nostro Signore e Salvatore era apolitico».[34] Se è vero che la nostra cittadinanza[35] è nei cieli, è altrettanto vero che siamo su questa terra e che pertanto facciamo parte della società e dunque abbiamo dei diritti e dei doveri, ma soprattutto dobbiamo operare alla gloria di Dio, qualsiasi lavoro o attività svolgiamo.

3. Butindaro prosegue dichiarando che bisogna essere contro la donazione degli organi: «Siamo contro la donazione e il trapianto degli organi perché l’espianto degli organi danneggia il donatore. Nel caso dei trapianti di cuore o di fegato (o di altri organi vitali unici) l’espianto di questi organi pone termine alla vita del donatore perché essi vengono estratti mentre egli è ancora vivo. Infatti la cosiddetta morte cerebrale, che viene certificata dai medici prima dell’espianto degli organi, non è una vera morte, perché il cuore del donatore batte ancora».[36]

Ed infine, dulcis in fundo, «Siamo contro il prendere medicine perché consideriamo ciò una mancanza di fiducia nella potenza di Dio che ancora oggi guarisce. Il credente che cade ammalato deve chiamare gli anziani della Chiesa che devono pregare su di lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà».[37]

Tali affermazioni non meritano nessun commento!

Conclusione

In questo mio breve excursus in risposta al libro sulla chiesa cristiana avventista di Giacinto illuminato Butindaro mi sono limitato a rispondere brevemente su alcuni aspetti dottrinali che l’autore ritiene non biblici, evidenziando soprattutto il modo in cui l’indagine biblica è portata avanti dall’autore e lasciando al lettore la possibilità di chiedere online gli studi approfonditi sotto elencati o entrando nel sito avventista: http://www.avventisti.it/sito/bazar.asp

Per Giacinto illuminato Butindaro «gli Avventisti costituiscono un serio pericolo per le Chiese». Credo che una tale affermazione sia alquanto pretestuosa e, considerando altri aspetti dei suoi insegnamenti e la sua apologetica delirante contro le diverse religioni, forse pericolosa è la sua presunta convinzione di essere detentore della verità assoluta.

Note



[1] G. Butindaro, I Testimoni di Geova, p. 1 e 4

[2] G. Butindaro, La Chiesa Cattolica.

[3] G. Butindaro, I Mormoni.

[4] G. Butindaro, Gli avventisti del settimo giorno - Le sacre Scritture: «Le Sacre Scritture, Vecchio e Nuovo Testamento, sono la Parola Scritta di Dio, data per divina ispirazione per mezzo di santi uomini di Dio che parlarono e scrissero sospinti dallo Spirito Santo. In questa Parola, Dio ha fornito all’uomo la conoscenza necessaria per la salvezza...».

- La Trinità: «C’è un solo Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo, un’unità in tre Persone coeterne. Dio è immortale, onnipotente, onnisciente, onnipresente, e sopra tutto e tutti. E’ infinito e al di là dell’umana comprensione, eppure conosciuto per mezzo della propria rivelazione di sé...».

- Dio Padre: «Dio l’Eterno Padre è il Creatore, la Sorgente, il Sostenitore e il Sovrano di tutta la creazione. È giusto e santo, misericordioso e benigno, lento all’ira, e pieno di costante amore e fedeltà. Le qualità e i poteri espressi nel Figlio e nello Spirito Santo sono anche rivelazioni del Padre...».

- Il Figlio: «Dio l’Eterno Figlio, si è incarnato in Gesù Cristo. Per mezzo suo tutte le cose furono create (…). Per sempre vero Dio, divenne anche vero uomo, Gesù il Cristo. Fu concepito dallo Spirito Santo e nacque dalla vergine Maria. Visse e sperimentò la tentazione come un essere umano, ma esemplificò perfettamente la giustizia e l’amore di Dio (...) Soffrì e morì volontariamente sulla croce per i nostri peccati e al nostro posto, fu risuscitato dai morti e ascese per ministrare nel santuario celeste in nostro favore. Ritornerà in gloria per la liberazione finale del suo popolo e la restaurazione di tutte le cose...».

- Lo Spirito Santo: «Dio l’eterno Spirito era attivo con il Padre e il Figlio nella creazione, nell’incarnazione e nella redenzione. Ispirò gli scrittori della Scrittura. Riempì la vita di Cristo di potenza. Attira e convince gli esseri umani, rinnova e trasforma all’immagine di Dio coloro che rispondono. Mandato dal Padre e dal Figlio per essere sempre con i suoi figli, accorda i doni spirituali alla chiesa, la riempie di potenza per testimoniare Cristo, e, in armonia con le Scritture, la conduce in tutta la verità...».

- L’espiazione di Cristo: «Nella vita di Cristo di perfetta ubbidienza alla volontà di Dio, nella sua sofferenza, nella sua morte e nella sua risurrezione, Dio ha provveduto i soli mezzi di espiazione per il peccato umano, affinché coloro che accettano per fede questa espiazione, possano avere vita eterna (...). Questa perfetta espiazione rivendica la giustizia della legge di Dio e la benignità del suo carattere, poiché condanna il nostro peccato e nello stesso tempo provvede il nostro perdono. La morte di Cristo è sostitutiva ed espiatoria, riconcilia e trasforma...».

- La salvezza: «Nell’infinito amore e pietà, Dio fece divenire Cristo, che non conobbe peccato, peccato per noi, affinché in lui potessimo essere resi giustizia di Dio. Guidati dallo Spirito Santo, noi sentiamo il nostro bisogno, riconosciamo la nostra peccaminosità, ci pentiamo delle nostre trasgressioni ed esercitiamo la fede in Gesù come Signore e Cristo, come Sostituto ed Esempio. Questa fede, strumento di salvezza, viene per mezzo del potere divino della Parola ed è il dono della grazia di Dio. Per mezzo di Cristo siamo giustificati, adottati come figli e figlie di Dio, e liberati dalla signoria del peccato. Per mezzo dello Spirito nasciamo di nuovo e siamo santificati; lo Spirito rinnova le nostre menti, scrive la legge di amore di Dio nei nostri cuori, e ci dà il potere di vivere una vita santa...».

- La Chiesa: «La chiesa è la comunità dei credenti che confessano Gesù Cristo come Signore e Salvatore. In continuità con il popolo di Dio del tempo del Vecchio Testamento, noi siamo chiamati fuori dal mondo; e ci uniamo insieme per il culto, per la comunione fraterna, per l’istruzione nella Parola, per la celebrazione della Cena del Signore, per il servizio verso tutta l’umanità, e per la proclamazione mondiale del Vangelo. (...) La chiesa è la famiglia di Dio (...). La chiesa è il corpo di Cristo, una comunità di fede, del quale Cristo stesso è il capo. La chiesa è la sposa per la quale Cristo morì affinché Egli potesse santificarla e purificarla...».

- Il battesimo: «Con il battesimo noi confessiamo la nostra fede nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo e testimoniamo della nostra morte al peccato e del nostro proposito di camminare in novità di vita. (...) Il battesimo è un simbolo della nostra unione con Cristo, del perdono dei nostri peccati, e del fatto che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Esso è per immersione in acqua...».

- La cena del Signore: «La Santa Cena è una partecipazione ai simboli del corpo e del sangue di Gesù (...). Mentre partecipiamo, noi proclamiamo gioiosamente la morte del Signore finché Egli venga...».

Come potete vedere gli avventisti del settimo giorno insegnano la Trinità, l’incarnazione della Parola di Dio, la divinità di Cristo, la divinità e personalità dello Spirito Santo, la morte e risurrezione corporale di Cristo, il suo personale e glorioso ritorno, la salvezza per grazia mediante la fede, l’ispirazione della Scrittura, il battesimo per immersione e la cena del Signore.

[5] «se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro» (Ap 22:19).

[6] Nel sostenere l’immortalità dell’anima, Butindaro riporta l’esperienza di Lura Johnson Grubb come prova. Si tratta di una testimonianza di una donna morta in Cristo e tornata in vita.

[7] Il corsivo è mio

[8] Butindaro è solito passare dal simbolismo al letteralismo. In un contesto simbolico come l’Apocalisse, secondo l’autore i 144.000 sono letterali, così anche la nuova Gerusalemme. Questo suo modo di trattare la Parola di Dio l’ha acquisito dal comparto dei Testimoni di Geova.

[9] T. Crinsoz , Essai sur l’Apocalypse, avec des éclaircissements sur les prophéties de Daniel qui regardent les derniers temps, Genève 1729, p. 391.

[10] V. Messori, Ipotesi su Gesù, Editrice Sei, Torino, 2001, p. 75.

[11] Lo Sheôl-Ades indica il sepolcro, la tomba, il soggiorno dei morti e non il mondo invisibile. È un luogo di tenebre paragonato a un carcere munito di porte che trattiene i suoi prigionieri fino al giorno della risurrezione: «Così l’uomo giace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli, egli non si risveglierà né sarà più destato dal suo sonno» (Giobbe 14:12).

[12] Hom. Od. 14, cit. nel Dizionario dei concetti Biblici del Nuovo testamento, ed. Dehoniane - Bologna, p. 111

[13] Plato, Leg. 873 AB, cit. ibidem, p. 112

[14] Ibidem, p. 113

[15] Il dogma dell’immortalità dell’anima risale al 1513, con il concilio di Laterano.

[16] J. Doukhan, Il grido del cielo, Edizioni ADV, Impruneta (Fi), 2001, p. 220.

[17] W. Mork, Linee di antropologia biblica, (trad. L. Bono), Fossano, ed. Esperienza, 1971, p. 48.

[18] J.W. Cooper, Body, Soul, and Life Everlasting: Biblical Anthropology and the Monism-Dualism Debate, Grand Rapids, p. 139

[19] Ibidem.

[20] L’imperatore Costantino, il 7 marzo del 321 d.C., emanò la prima legge civile sulla domenica. Vi si legge: «Nel venerabile giorno del sole si riposino i magistrati, gli abitanti delle città e tutti i laboratori siano chiusi. Nondimeno, in campagna, gli agricoltori potranno liberamente e legalmente continuare il loro lavoro, visto che, come spesso accade, un altro giorno non sempre è propizio per la semina o per la coltura della vite, e che, negligendo questi lavori a tempo opportuno, ne può derivare una perdita dei beni largiti dalla divinità».

[21] Nel libro sulla chiesa avventista

[22] Da quel che crediamo e insegniamo

[23] D. A. Carson, From Sabbath to Lord’s day: a biblical, historical and theological investigation, Zondorvan, Grand Rapids, Mich., 1982, p. 85.

[24] P. Wells, Le sabbat signe eschatologique, Revue Réformé, 1976, p. 140.

[25] J. Cadier, in Christianisme Sociale, p. 318, 1973,

[26] Romani 9:6; Galati 6:16; 3:29; Isaia 45:22-25.

[27] Apocalisse 14:3. “È impossibile non riconoscere qui (in Apocalisse 14:3) i 144.000 del capitolo 7 che erano stati sigillati”

[28] L. Bonnet, op. cit., p. 383

[29] E. Bosio, L’Apocalisse di S. Giovanni, ed. Claudiana, Firenze 1924, p. 64.

[30] L. Bonnet, op. cit., p. 383.

[31] Giacomo 1:1.

[32] E. G. White, Il gran conflitto, p. 16, Edizioni ADV, Impruneta (Fi).

[33] Quello che crediamo e insegniamo - Roma 2005. Chiedere lo studio: «Tacciano le donne in assemblea», a assistenza@avventisti.it

[34] Ibidem (Questo insegnamento l’ha preso dal comparto dei Testimoni di Geova)

[35] Filippesi 3:20

[36] Ibidem (Anche questo insegnamento l’ha preso dal comparto dei Testimoni di Geova)

[37] Ibidem (Questo insegnamento l’ha preso dal mondo carismatico pentecostale)