Dillo al mondo (Tell It to the World)

Dillo al mondo (Tell It to the World)

DILLO AL MONDO - La storia dei Cristiani Avventisti del 7° Giorno

Titolo originale: Tell It to the World

Solo i capitoli 1,2,3,4,7

Autore: C. Mervyn Maxwell

Edizione riveduta

Tradotto dall’inglese da Giovanni Leonardi

(Nota: Questa traduzione è stata fatta per un uso comunitario e dovrebbe essere rivista, per consentirne un uso corretto da parte dei lettori. Tuttavia non ci è possibile fare questo , ma confidiamo che la sostanza sia corretta. Qualche refuso potrebbe essersi introdotto a causa della scansione dal testo cartaceo originale. Ce ne scusiamo.)

Cap. 01 – No, mio Dio. Io non posso predicare

“No, mio Dio. Io non posso predicare”. “Sai che non posso predicare”. “Non posso predicare!”. Prima che William Miller si arrendesse al Signore e diventasse il promoto­re e la guida del grande risveglio americano incentrato sull’attesa del secon­do avvento di Cristo, per tredici anni aveva discusso con Dio e combattuto con la sua stessa coscienza. Bisogna che questo fatto sia subito sottolineato: Miller non voleva dire al mondo che Cristo stava per tornare presto.[1] In un’epoca in cui nove Americani su dieci vivevano in campagna, anche William Miller era un agricoltore. Ma non era un agricoltore qualsiasi. Da ragaz­zo, dopo che la famiglia se ne era andata a dormire, lui rimaneva a leggere libri, alla maniera del presidente Lincoln, alla luce fioca del camino, nel suo capanno di tronchi d’albero, a Low Hampton, nello Stato di New York. Sposatosi nel 1803 e stabilitosi tra le Montagne Verdi, a Poultney, nel Vermont, lesse in poco tempo tutti i libri della biblioteca locale. Sua moglie, Lucy, sbriga­va da sé molte faccende della fattoria perché il marito potesse avere più tem­po per i suoi studi. Socievole, energico, studioso, Miller fu eletto prima po­liziotto, poi vice sceriffo e infine giudice di pace. Diventò presto abbastan­za ricco da possedere due cavalli, abbastanza saggio da avere amici in entram­bi i partiti politici dell’epoca, e abbastanza uomo di mondo da rinunciare alla sua fede infantile e diventare deista. Miller Da ragaz­zo, dopo che la famiglia se ne era andata a dormire, lui rimaneva a leggere libri, alla maniera del presidente Lincoln, alla luce fioca del camino, nel suo capanno di tronchi d’albero, a Low Hampton, nello Stato di New York. Cresciuto in una famiglia battista, William, quand’era giovanotto, si era per qualche tempo preoccupato seriamente della sua anima, e cercava di trovare pace ubbidendo disciplinatamente ai suoi genitori e sacrificando molte cose che gli erano care. Ma non ne aveva alcun profitto. Continuava a credere nella Bibbia ma si irritava di fronte alla sua apparente inutilità e alle sue con­traddizioni. Dopo il suo matrimonio però, mentre l’America stava ancora viven­do l’alba della sua storia, Miller cominciò a leggere gli stessi libri che avevano letto Jefferson, Franklin e gli altri Padri fondatori degli Stati Uniti, gli scritti di David Hume, Voltaire e Thomas Fame. Anche altri intellettuali di Poultney lessero questi libri e Miller adottò ben presto il deismo con la sua attraente ma superficiale filosofia dell’universo. Secondo il deismo, Dio ha creato il mondo e lo ha messo in moto sotto leggi inalterabili di causa e di effetto. In armonia con queste leggi, gli uomini dovrebbero vivere in modo puro, gentile, onesto. Ma credere nell’efficacia della preghiera, in un Salvatore o in una vita oltre la morte, era considerato come una superstizione infantile. Miracoli, perdono, risurrezione, rappresen­terebbero una trasgressione da parte di Dio di quelle stesse leggi naturali che lui aveva stabilito, e ciò era inimmaginabile. Dio aveva messo in moto il mondo come se si fosse trattato di un orologio e ora lo lasciava andare avanti per conto suo. Non il cristianesimo avrebbe tirato il meglio fuori dall’uomo ma lo stile di vita americano improntato all’osservanza della legge e dell’ordine, conclu­se Miller. Così la sua casa diventò un luogo abituale d’incontro per le cop­pie patriottiche ma irreligiose della sua nuova città. Ad Hampton, invece, la madre di Miller era informata di quello che accadeva a Poultney e ne era profondamente addolorata. Supplicava spesso suo cognato e il suo vecchio padre, entrambi pastori battisti, di andare di tanto in tanto a trovare William, assicurandoli che le sue preghiere li avrebbero accompagnati. William accoglieva calorosamente zio Elia e nonno Phelps, ma appena partivano li parodiava burlescamente con grande divertimento dei suoi amici. Convinto che il più grande obiettivo dell’uomo dovesse essere l’amore per il proprio Paese e non quello per Cristo, Miller si arruolò come volontario per la guerra scoppiata tra Stati Uniti e Inghilterra nel 1812. Altri quarantasette si arruolarono a condizione di potere stare sotto il diretto comando di Miller. La guerra del 1812, la seconda guerra che l’America dovette combattere per la propria indipendenza, andava avanti in modo disorganico e senza concludere, per la maggior parte del tempo, niente di significativo. La battaglia di Plattsburg, combattuta su una sponda del lago Champlain, a non molti chilome­tri dalla casa natale di Miller, costituì una brillante eccezione. Il mattino dell’11 settembre 1814, gli Inglesi potevano vantare una forza di 15.000 soldati regolari e una piccola nave ben equipaggiata sul lago. Gli Americani, tristemente certi della loro sconfitta, ammontavano solo a 5.500. Il risultato della battaglia costituì invece una totale sorpresa. “Signore, è finita, è fatta,” scriveva alle due e venti del pomeriggio un entusiasta ufficiale americano. “Gli Inglesi hanno ammainato la loro bandiera di fronte a quella americana. C’è stato un grande massacro da entrambe le parti. Da dove sto scrivendo si vede tutto. ... La visione era maestosa, nobile, grande. Questa mattina, alle dieci in punto, gli Inglesi hanno aperto contro di noi un fuoco pesante e micidiale, sia dalla terraferma sia dal lago. Le palle dei loro cannoni piovevano come grandine. ... Non avete idea della batta­glia. ... Potete solo provare a immaginare quello che proviamo perché non rie­sco a trovare parole adeguate per descriverlo.” L’ufficiale descrisse con orgoglio la parte che aveva personalmente avuta. “Sono soddisfatto di potere combattere. So di non essere un vile.... Tre dei miei uomini sono stati feriti da una bomba esplosa a un passo da me.” “Hurràh! Hurrah!” esclamò nella sua eccitazione. Dopo, mentre venti o trenta prigionieri entravano nel forte, con molta attenzione appose la sua firma: “Vostro per sempre, William Miller.” La guerra finì nel 1815. Il capitano William Miller aveva dimostrato la sua attitudine al comando già molti anni prima di fondare involontariamente un movimento religioso. Ritornato a casa a mungere, arare, seminare, mietere, la sua mente si in­terrogava continuamente sulla fede religiosa dei patrioti che avevano combat­tuto la guerra. Secondo le leggi di causa ed effetto, ragionava, la vittoria di Plattsburg doveva andare agli Inglesi. Le loro truppe erano formate da veterani che avevano appena sconfitto Napoleone ed erano tre volte più numerose di quelle americane. Uno storico moderno ha definito Plattsburg “l’azione decisiva” della guerra,[2]e il commodoro americano nel suo rapporto all’ufficio americano per la guerra di quel tempo dette gloria a Dio: “L’Onnipotente si è compiaciuto di accordarci un segno di vittoria.”[3]Era forse possibile che Dio si fosse personalmente interessato all’America? E cosa pensare della bomba esplo­sa a un passo da lui senza ferirlo e senza uccidere i suoi amici? C’era forse un Dio che si prendeva cura degli uomini? Da Poultney, Miller ritornò a Low Hampton. Essendo morto il padre, tolse l’ipoteca che gravava sulla sua casa natale in modo che sua madre potesse vi­verci libera dai debiti. Si sistemò poi in una proprietà di 200 ettari che si trovava nelle vicinanze. Per gentilezza Miller assisteva ai servizi religiosi della Chiesa Battista locale ogni volta che suo zio vi teneva il sermone. Altrimenti se ne stava al­la larga. “Ci sei mancato in chiesa la scorsa domenica,” gli diceva la madre con tenerezza. “Mamma, non puoi pretendere che venga lì quando non c’è lo zio.” “Perché no, figlio mio?” “Per il modo in cui i diaconi leggono il sermone.” “Sono sicura che fanno del loro meglio.” “Quando non c’è lo zio, mamma, perché non fanno leggere me?” Miller, senza rendersene conto, si preparò così la trappola con le sue proprie mani, e quei buoni fratelli di cui spesso rideva fecero in modo di infi­larcelo dentro. I sermoni che affidarono alla sua lettura, tratti dai Discorsi pratici di Proudfit, lo fecero rinsavire. I suoi dubbi sul deismo aumentarono. Stava arrivando l’11 settembre 1816, il secondo anniversario della vitto­ria di Plattsburg e per festeggiare la ricorrenza si programmò una serata danzante pubblica. Fu programmato anche un sermone per la sera precedente. Il predicatore che era stato invitato fece andare la gente a casa con le lacrime agli occhi per la commozione. Il risveglio che si produsse fece dimenticare le danze. La domenica successiva la lettura del sermone toccava di nuovo a Miller. Questa volta si trattava di un’omelia di Proudfit intitolata “I doveri dei genitori verso i loro figli.”[4]Sopraffatto dall’emozione a metà del servi­zio, non riuscì a continuare fino alla fine. Disperato per i propri peccati, Miller pensò a quanto sarebbe stato bello potersi gettare tra le braccia di un salvatore e confidare interamente nella sua grazia. Aveva bisogno di un salvatore. Il mondo aveva bisogno di un salvatore. Ma esisteva veramente un essere così straordinario? Ritornò così alla Bibbia e vi trovò il Salvatore che aveva cercato. “Fui costretto ad ammettere che le Scritture dovevano essere una rivelazione di Dio,” scrisse successivamente. “Divennero la mia gioia e in Gesù trovai un amico. “[5] Cominciò subito ad avere un regolare momento di culto con la famiglia. Ma i suoi vecchi amici che, come lui avevano preso in giro gli altri cristiani, ora lo deridevano. “Come fai a sapere che la Bibbia è la Parola di Dio?” gli chiedevano per stuzzicarlo. “Cosa ne pensi delle sue contraddizioni?” “Se la Bibbia è la Parola di Dio,” rispondeva Miller senza scomporsi,” al­lora ogni suo insegnamento può essere capito, e tutte le sue parti debbono po­tersi armonizzare. Datemi del tempo e risolverò le sue apparenti contraddizio­ni, altrimenti rimarrò deista.” Mettendo da parte ogni altro libro all’infuori della Bibbia e di una con­cordanza biblica, cominciò dal primo verso di Genesi capitolo 1 andando avanti solo man mano che poteva padroneggiare i problemi che sorgevano. Usando le no­te ai margini della Bibbia e la concordanza, lasciò che le Sante Scritture si chiarissero da se stesse. Una ad una la maggior parte delle loro apparenti lacune svanirono. Cosa ancora più importante, scoprì che Gesù, il suo amato Amico e Salvato­re, aveva promesso di ritornare nuovamente sulla terra! Scoprì che molte altre predizioni profetiche si erano adempiute. Perché non avrebbe dovuto esserlo anche questa? Successivamente, un giorno, si trovò di fronte al testo di Daniele 8:14 che avrebbe trasformato la sua vita per il resto dei suoi giorni: “Fino a duemila trecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato.” Il suo studio si intensificò in modo impressionante, qualche volta per tutta la durata del giorno, qualche volta anche di notte. Aveva compreso correttamente (usando Ezechiele 4:6 e altri testi) che le 2300 sere e mattine - giorni - corrispondevano a 2300 anni e che questi cominciavano nel 457 a.C. Sbagliando pensò però che la “purificazione del santuario” indicasse la fine del mondo e la seconda venuta di Cristo. Nel 1818, dopo due anni di continuo studio, giunse alla sconvolgente conclusione che Cristo sarebbe ritornato “verso il 1843” (2300 anni dopo il 457 a.C.), e che “tra circa venticinque anni ... tutti gli affari della vita presente non avrebbero più avuto alcun valore.” La fine tra venticinque anni? Allora gli altri debbono essere avvisati! Una voce ardeva nel suo cuore: “Va e dillo al mondo!” Per cinque anni Miller mise da parte questo appello e analizzò con decisione la sua posizione. Aveva paura, come scriverà più tardi, “di potere in qual­che modo essere in errore e di fuorviare involontariamente altri.” Alla sua mente si presentarono più obiezioni di quante potessero fargliene più tardi i suoi oppositori. Ma quando anni di ricerca rimossero ogni dubbio, allora so­pravvenne la paura di parlare in pubblico. “Dissi al Signore che ero timido e che non avevo le qualifiche necessarie.” Miller svolse un ruolo sempre più attivo nella chiesa locale. Prestò sempre molta attenzione alla conversione dei peccatori. E condivise le sue convinzioni sulla venuta di Cristo, sia a voce sia per lettera, con dei suoi cono­scenti. Ma niente poteva soddisfare il continuo e profondo appello che sentiva a predicare. Per l’agosto del 1831, dopo tredici anni di rinvii, il peso del suo cuore gli apparve insopportabile. “Va e dillo al mondo”. “Ti ho stabilito come sentinella. Dillo al mondo!” Sollevò gli occhi dalla Bibbia che stava leggendo, turbato profondamente dall’appello divino. Ma era veramente l’appello di Dio? Doveva saperlo al di là di ogni possibile dubbio. Appoggio le mani al tavolo. Si alzò. Si mise in ginocchio. E prego: No, mio Dio. No! Sai che non posso predicare. Non posso predicare. “Ma forse è il tuo volere che io vada”. “O Signore, farò un patto con te. Se aprirai la via; voglio dire, se mi farai avere un invito a predicare, ma sì, allora, mio Dio, andrò.” Si sedette sulla sua sedia con l’animo rasserenato. “Ora,” rifletté, “avrò pace, perché se ricevo un invito, saprò che Dio mi assisterà. Ma non è molto probabile,” e sorrise con una certa soddisfazione, “che qualcuno chieda di predicare sulla seconda venuta di Cristo a un vecchio agricoltore di 55 anni come me.” Entro mezz’ora qualcuno bussò con forza alla porta facendolo sussultare. “Chi può bussare a questo modo di sabato mattina?” si domandò distrattamente. Alla porta continuavano a bussare. “Sarà meglio andare a vedere.” “Buon giorno zio William,” gridò allegramente il ragazzo davanti alla por­ta. “Toh, mio nipote Irving!” esclamò Miller. “E che ci fai così di mattina a più di venti chilometri lontano da casa?” “Zio William, sono partito prima di colazione per dirti che il pastore battista di Dresda non può partecipare al servizio di domani. Papà mi ha mandato a chiederti se puoi sostituirlo tu. Vorrebbe che venissi e ci parlassi della cose che stai studiando nella Bibbia, della seconda venuta di Cristo. Lo sai. “Verrai?” 1 La storia di William Miller e del “Grande risveglio” è stata raccontata molte volte sullo Advent Shield (Scudo dell’avvento) da parte dello stesso Miller e da vecchi milleriti come Sylvester Bliss, Isaac C. Wellcome, Joseph Bates e James White. Altri biografi sono stati J.N. Loughborough, M. Ellsworth Olsen, Everett N. Dick, F.D. Nichol, LeRoy Edwin froom, Arthur Whitefield Spalding, whitney R. Cross, Jerome Clark, David Tallmadge Arthur e altri ancora. Lettere, pubbli­cazioni e altre fonti sono conservati nell’Orrin Roe Jenks Memorial Collection of Advent Materials, nella biblioteca dell’Aurore College, ad Aurore nell’Illinois; nella Heritage Room della biblioteca della Andrews University a Berrien Springs, Michigan; nell’Ellen G. White Estate; in varie altre biblioteche; e (microfilm) in Vern Carner, ed., The Millerites and Early Adventists (Ann Arbor, Michigan: University Microfilms). [2] Samuel Eliot Morison, The Oxford History of the American People (New York: Oxford University Press, 1965), p. 398. [3] In Sylvester Bliss, Memoirs of William Miller (Boston: Joshua V. Himes, 1853), p. 47. [4] Bliss, Memoirs, pp. 6ss, dice che Miller fu incaricato di leggere un sermone intitolato “Importanza dei doveri dei genitori”, tratto dai “Sermoni pratici di Proudfoot”. Tale dato sembra però dovuto a un errore di memoria. Si tratterebbe invece di “I doveri dei genitori verso i loro figli”, tratto da Alexander Proudfit, Practical Godliness in Thirteen Discourses (Devozioni pra­tiche in tredici discorsi), (Salem, 1813). [5] La storia della conversione e della vocazione di Miller è raccontata da lui stesso nella sua Apology and Defence (Boston: Joshua V. Himes, 1845).

Cap. 02 – Il Grande Risveglio del Secondo Avvento

Miller si voltò senza dire una parola. Attraversò tempestosamente la porta della cucina. Entrò incespicando in un boschetto di aceri là vicino e lottò con il Signore. Era arrabbiato con se stesso, arrabbiato con Dio, e veramente pieno di paura. Per un’ora intera supplicò di essere sciolto dal suo impegno. “Dio mio, manda qualcun altro, ti prego!” Ma anche quand’era deista, Miller era sempre stato di parola. Avreb­be potuto esserlo di meno da cristiano? Così, dopo aver pianto angosciosamente, alla fine si arrese a Dio. Quale felicità riempì allora il suo cuore! Tredici anni di riluttan­za erano finiti. La gioia della resa! Gloria al Suo nome! In un modo del tutto inabituale cominciò a saltare lodando Dio ad alta voce. Lucy Ann, la sua figlioletta più piccola, avendo assistito alla scena, corse a casa: “Mamma, mamma, presto, vieni!” Subito dopo pranzo, Miller era già in viaggio con Irving lungo le sponde del Lago Champlain dove, anni prima, aveva combattuto nella bat­taglia di Plattsbourg, per recarsi da sua sorella a Dresden ... e al successo. Per metterlo a suo agio, la riunione fu tenuta in cucina con Miller seduto a tavola su una grossa sedia a braccioli. Cominciò così il grande risveglio prodotto dall’attesa del ritorno di Cristo![1] La sua profonda conoscenza della Bibbia era così impressionante, così toccanti erano i calorosi appelli del suo discorso, che la gente di Dresden lo persuase a continuare a predicare tutte le sere di quella setti­mana. La notizia si diffuse da fattoria a fattoria. Il pubblico aumentò. Più di una dozzina di famiglie si convertirono a Cristo. Dalla casa dei Guildford dovettero evidentemente trasferirsi in una chiesa. E quando ritornò a casa? Lo aspettava un altro invito da parte di un pastore che non era neppure a conoscenza della sua prima serie di conferenze appena conclusa. Il patto di Miller con il Signore veniva così dop­piamente verificato. Non c’era alcun dubbio che fosse veramente chiamato alla sua missione. Con la stessa sicurezza con la quale sappiamo che lo stesso Signore aveva chiamato Pietro, Giacomo, Giovanni. Già dall’inizio Miller ricevette più inviti di quanti potesse accettare. Congregazionalisti, Metodisti, Battisti Presbiteriani, facevano a gara per tirarlo fuori dalla sua fattoria e farlo predicare dai loro pulpiti. Per cercare di arginare questo flusso di richieste, Miller fece stampare a sue spese un libretto con i suoi sermoni. Ma quando ci si rese conto che questo, portando il suo lavoro a conoscenza di un pubblico più vasto, faceva aumentare ancora di più gli inviti, un editore pubblicò a sue proprie spese un libro contenente i suoi sermoni. Nel 1833 un battista della zona, che conosceva bene Miller, gli fir­mò una licenza di predicazione. Due anni più tardi, un certificato che lo raccomandava come conferenziere sulle profezie fu firmato da diversi pastori battisti e da dirigenti di altre denominazioni.[2] Ovunque Miller predicasse, la gente si convertiva. Spesso si realizzavano dei risvegli. Cittadine intere a volte erano trasformate. “Tu ridi, fratello Hendryx”, scrisse a un amico agli inizi della sua nuova carriera, “al pensiero che il vecchio fratello Miller stia predicando! Continua pure a ridere! ... è giusto, me lo merito. Ma se posso predica­re la verità è tutto ciò che chiedo.” A quei tempi, ogni villaggio aveva i suoi miscredenti e alcune picco­le comunità brulicavano. Questi erano come i deisti ma con dubbi ancora più radicali. In Miller costoro riconoscevano un uomo che si era posto le loro stesse domande e che aveva trovato le risposte. In una località, un centinaio di queste persone accettarono il suo messaggio in una sola settimana.[3] Verso la fine della sua vita, Miller sapeva di avere predicato in non meno di 500 città dal Massachussets al Michi­gan, da Montreal al Maryland, in molte anche per diverse volte, e che aveva contribuito personalmente alla conversione di più di 6000 persone.[4]Ma dobbiamo andare avanti e continuare la nostra storia. Durante i primi otto anni, Miller, che si era dato come regola di andare solo dove il Signore “apriva la via,” fu tenuto immensamente occupato in piccole chiese di piccole città. Ma nell’autunno del 1839 alla chiusura di un servizio a Exeter, nel New Hampshire, incontrò un uomo che avrebbe cambiato il corso della sua carriera. Joshua V. Himes[5]all’età di trentaquattro anni era già ampiamente conosciuto nella Nuova Inghilterra come un ardente crociato contro la schiavitù, gli alcolici e la guerra. Cercando, in ogni modo possibile, di fare del mondo un posto migliore in cui vivere, fu profondamente commosso mentre ascoltava il messaggio di Miller sui 2300 giorni. Appena la riunione finì, Himes si fece rapidamente avanti e invitò Miller a ri­petere il sermone nella sua cappella di Chardon Street a Boston. Così, nel dicembre del 1839, Miller presentò la sua prima serie di conferenze in una grande città. L’interesse fu così grande che le riunioni venivano programmate due volte al giorno. E tuttavia centinaia di persone dovettero essere lasciate fuori per mancanza di spazio. Himes rimase impressionato. Sempre un comandante in cerca di truppe e di una causa, vide nell’appello di Miller a prepararsi a entrare in una terra rinnovata, la causa che avrebbe posto fine a tutte le altre cause.[6] “Crede veramente in quello che ci ha predicato?” domandò a Miller una sera a casa. Miller rispose subito con molta sicurezza: “Nel modo più assoluto, fratello Himes, altrimenti non lo predicherei.” “E allora cosa sta facendo per diffonderlo attraverso il mondo?” Miller raccontò dei suoi sforzi di raggiungere ogni città e ogni villaggio che gli faceva pervenire un invito. Himes era stupefatto. Ogni cittadina e ogni villaggio? E per quel che riguarda le città vere e pro­prie? Baltimora, Rochester, Filadelfia, New York, insomma i diciassette milioni di abitanti degli Stati Uniti, tutti costoro debbono rimanere inavvertiti? E cosa facciamo per il resto del mondo? “Se Cristo deve ve­nire tra pochi anni, come lei crede,” esplose Himes, “non c’è tempo da perdere nel diffondere il messaggio con la potenza del tuono per spinge­re le persone a prepararsi!” “Lo so, lo so, fratello Himes,” replicò Miller sospirando, “ma cosa può fare un vecchio agricoltore? Non sono mai stato abituato a parlare in pubblico. Mi ritrovo anche abbastanza solo. I pastori amano che io predichi e risollevi le loro congregazioni, e tutto finisce qui, con la maggior parte di loro che continua allo stesso modo. Ho cercato di avere dell’aiuto.” Himes sentiva un fuoco bruciargli dentro. Immediatamente - disse tem­po dopo - pose se stesso, la sua famiglia, la sua reputazione, e tutto ciò che aveva ancora sull’altare di Dio per aiutare Miller con tutte le sue forze fino alla fine. Divenne subito il manager di Miller, il suo agente pubblicitario, e anche lo specialista consacrato della promozio­ne. “Andrà nelle città se ottiene un invito?” “Ci andrò certamente, con l’aiuto di Dio.” “Bene, padre Miller, si prepari per la campagna. Le porte si apriranno in ogni vera città dell’Unione, e l’avvertimento sarà dato fino agli estremi confini della terra.” (“Padre” era usato in quei giorni come se­gno di rispetto e di affetto per persone anziane.) Himes fece buon uso della sua promessa e della sua profezia. Ben presto Miller si trovò impegnato in molte importanti città della regione e il suo nome divenne famoso in tutta la nazione. Uno dei modi in cui Himes riuscì a introdurre Miller nelle grosse città fu quello di persuadere ad offrirgli i loro pulpiti i pastori della sua propria denominazione, la Christian Connection. Uno di questi mini­stri fu Lorenzo Dow Fleming di Portland, nel Maine. Nella chiesa di Fleeming in Casco Street, il messaggio di Miller raggiunse la famiglia di Robert Harmon; e così la loro ragazzina, Elena, una futura fondatrice della Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno, dedicò la sua vita alla speranza dell‘avvento. Himes contribuì attivamente in molti modi. Il suo contributo più importante è stato forse quello delle pubblicazioni. Nel febbraio del 1840, senza denaro e abbonamenti prenotati, lanciò il primo periodico avventista, Signes of the Times (Segni dei tempi). In questo modo l’Avventismo fu catapultato di fronte alla pubblica opinione. Per qualche tempo, Himes preparò Signes da solo. Ma man mano che il movimento si ampliava, cercò dei collaboratori che restassero in ufficio mentre lui faceva nascere altri periodici in altre città o inco­raggiava persone dotate a pubblicarne essi stessi. In quattro anni il messaggio dell’avvento era proclamato in diverse città attraverso il Mid-night Cry (Grido di mezzanotte), il Glad Tidings (Notizie Felici), l’Ad­vent Chronicle (Cronaca dell’avvento), la Jubilee Trumpet (Tromba del giubileo), il Philadelphia Alarm (L’allarme di Filadelfia), la Voice of Elijah (Voce d’Elia), il SouthernMidnight Cry (Grido di mezzanotte del Sud), e diversi altri la maggior parte dei quali erano ben scritti, editi con molta professionalità e stampati su buona carta. C’erano anche dei libri, una serie con più di quaranta volumi conosciuti come “La bibliote­ca del secondo avvento.” Prima della grande delusione del 22 ottobre 1844, ben otto milioni di copie di stampati avventisti erano state diffuse nel mondo. A quei tempi gli abbonamenti ai periodici venivano normalmente rice­vuti e gestiti dai responsabili degli uffici postali. L’impiegato delle poste di Canton, nello Iowa, riferì che quando gli stampati milleriti arrivavano, c’era una corsa generale per accaparrarsi le eventuali copie in sovrannumero. Potete mandarmene di più? pregava. “Non avete idea del bene” che fanno.[7] Il messaggio non era un “mucchio di scalpore intorno a una data.” Era il messaggio del primo angelo: “L’evangelo eterno” e “l’ora del giudizio è venuta.” (Apocalisse 14:6,7). Era un messaggio evangelico che cercava di aiutare la gente a essere pronta a incontrare il Signore. Grazie a questo messaggio la Chiesa Metodista sembra avere aumentato di circa 40.000 il numero dei suoi membri per l’autunno del 1844, e la Chiesa Battista di 45.000.[8] Un solo viaggio evangelistico di sei settimane condotto da un giovane predicatore millerita ingrossò le comunità locali con mi­gliaia di nuovi membri.[9] A Portland, nel Maine, mentre Miller vi si trovava per delle confe­renze, un giovane dissoluto corse a perdifiato in un saloon e gridò ai suoi amici: “Ragazzi, in Casco Street c’è un predicatore che dice che il mondo sta per finire. Perché non smettete di giocare e venite a sen­tire quello che dice?” A Portsmouth, nel New Hampshire, il risveglio continuò per settimane anche dopo che Miller se n’era andato. La campane delle chiese suonavano ogni giorno per invitare alla preghiera come se ogni giorno fosse domenica. Rivendite di alcolici diventarono sale di riunione. Moltissime persone si convertivano e migliaia si ritrovavano lungo le rive delle acque per essere battezzate. Pastori di molte denominazioni accorsero a frotte per dare una mano. Joshua V. Himes era solo uno dei tanti. Tra gli altri importanti dirigenti che si unirono a Miller, bisogna includere Josiah Litch, un metodista già abbastanza noto come interprete delle profezie, che aveva accettato il Millerismo solo dopo avere verificato che non era in contraddizione con il Metodismo. Predicò molto, pubblicò un libro di 200 pagine sulle conferenze di Miller e, tra altre cose, contribuì a convincere Charles Fitch ad unirsi a loro. Fitch era un pastore congregazionalista di Bo­ston che era stato, una volta, un collaboratore molto attivo del famoso evangelista Charles G. Finney. Con l’aiuto di Apollo Hale, un metodista molto conosciuto, Fitch sviluppò la “Carta 1844” che fu probabilmente usata da tutti i predicatori per mostrare come le molte profezie della Bibbia convergevano sul 1843. Disegnò anche, a parte, la statua di Daniele 2, regno per regno. Oltre a queste guide preminenti, vi erano molti altri collaboratori. Pensiamo a James White, pastore della Christian Connection come Himes. Pensiamo a Joseph Bates, un membro laico di questa stessa denominazione che veniva considerato come se fosse un pastore. Nessuno può però sapere quanti collaboratori c’erano. Stime contemporanee vanno da 700 a 2000. Dei 174 predicatori conosciuti, circa la metà erano metodisti, un quarto battisti e il resto congregazionalisti, cristiani, presbiteriani, episcopali, luterani, riformati olandesi, quaccheri e molti altri.

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A Portland, nel Maine, mentre Miller vi si trovava per delle conferenze, un giovane dissoluto corse a perdifiato in un saloon e gridò ai suoi amici: “Ragazzi, in Casco Street c’è un predicatore che dice che il mondo sta per finire. Perché non smettete di giocare e veni­te a sentire quello che dice?”

  Non è fuori luogo sottolineare il fatto che Miller non era il solo millerita che avesse una funzione direttiva! Un gran numero di persone provenienti dalle principali denominazioni, gente capace e abituata a pensare, lo sosteneva. Non pochi di costoro erano stati beneficiati da un lungo allenamento accademico. Ciò costituiva una testimonianza impressionante a favore del “vecchio agricoltore”. Il Millerismo fu una rifor­ma cristocentrica che fu calorosamente accettata da molti, sia laici sia pastori, nell’ambito delle Chiese riconosciute dell’epoca, e da migliaia di increduli, deisti e anime indifferenti. L’interesse cresceva sempre di più mentre Miller, Himes e altri di­rigenti percorrevano quasi incessantemente i territori tra New York e Boston, Albany e Utica, Rochester e Buffalo, a nord fino a Montreal, a occidente fino a Cincinnati, Saint Louis e Louisville, a sud fino a Wa­shington e Baltimora. Robert Winters prese la parola in Inghilterra. Le poste facevano giungere il messaggio millerita in ogni ufficio postale degli Stati Uniti e in ogni missione conosciuta nel mondo.[10] A Washington, D.C., persino l’annuncio di una conferenza fatto per burla fece radunare 5000 persone. A Filadelfia, la stampa secolare, ri­portava notizie di una “immensa” folla di 15.000 Avventisti. La presenza nel Movimento Millerita di molti dirigenti provenienti da diverse Chiese, rese essenziale la convocazione di congressi. A partire dall’autunno del 1840, più di venti[11]“assemblee generali” furono indet­te in luoghi diversi, qualche volta anche al ritmo di due o tre in un mese. La prima assemblea generale fu tenuta a ottobre nella cappella di Joshua V. Himes a Chardon Street. Un attacco di febbre tifoidea costrin­se Miller a non partecipare a quel convegno che si tenne con successo anche senza di lui come avvenne per il secondo, il terzo e il quarto (La quinta assemblea fu convocata a Low Hampton e così poté parteciparvi). Deluso dapprima dal fatto di doversene stare da parte, Miller cominciò però dopo a capire che il Movimento cui aveva dato inizio risponden­do alla chiamata di Dio, stava crescendo molto al di là di quello che lui era capace di fare, per la potenza di Dio. Le assemblee generali rappresentavano un momento di incontro per folle considerevoli. Poiché la partecipazione a queste assemblee e ad altri convegni milleriti aumentava vertiginosamente, l’assemblea tenuta a Bo­ston, sotto la presidenza di Joseph Bates nel maggio del 1842, votò di cercare di organizzare degli incontri sotto le tende e ne furono programmati tre per l’estate. L’incontro sotto le tende che cominciò il 28 giugno a East Kingston, nel New Hampshire, trovò Joshua V. Himes nella funzione di presidente e da sette a diecimila persone partecipanti. Il Boston Daily Mail coprì l’evento e si congratulò con i partecipanti per il loro decoro. Anche il poeta John Greenleaf Whittier intervenne per una o due ore. Anni più tardi, ricorderà ancora gli eloquenti sermoni ricchi del linguaggio simbo­lico della Bibbia, le tele dipinte con l’immagine di Nabuccadenetzar e delle bestie dell’Apocalisse - e anche le ombrose volte di legno, i bianchi cerchi di tende, il fumo dei fuochi di campo che si levava come incenso e i volti convinti che guardavano in su. Ben presto assemblee sotto le tende cominciarono a essere organizza­te in molti posti, spesso convocate da comitati locali di volontari. Uo­mini, donne e bambini accorrevano a frotte da ogni parte, affollando i battelli a vapore, riempendo all’inverosimile le carrozze ferroviarie, pigiandosi entro le diligenze; altri giungevano a piedi dopo aver percorso faticosamente strade di ogni tipo. Moltissime persone, credenti e cu­riose, si aprivano la strada per partecipare agli importanti raduni del secondo avvento. Sembra che quasi ogni credente portava con sé la sua Bibbia.[12] L’impressionante successo di questi raduni sotto le tende spinse i Milleriti a procurare i fondi necessari per acquistare una tenda abba­stanza grande da potere ospitare molte persone in quei luoghi dove non fosse possibile organizzare dei raduni sotto le tende e dove non c‘erano locali abbastanza capienti disponibili. Ordinarono così la più grande tenda mai costruita in America fino a quel tempo e la chiamarono “la grande tenda”. Richiedeva l’impiego costante di quattro uomini per montarla e smontarla. L’altezza al centro era quasi 17 metri, il diametro di 36 metri e mezzo: poteva contenere 4000 persone.[13] Questa grande tenda fu ordinata, montata e posta in esercizio in trenta giorni. Non c’era tempo da perdere se Cristo stava per venire “intorno all’anno 1843”. I giornali si meravigliavano della velocità con cui veniva smontata, trasportata per mezzo di carri, battelli a vapore o treni, e rimessa in piedi in un altro posto. Quando veniva innalzata, la gente scommetteva che non si sarebbe riempita. Quando poi cominciava­no le riunioni, si meravigliavano di vederla stracolma. Le ferrovie organizzavano treni speciali per venire incontro alle esigenze delle folle. A Rochester, un improvviso temporale ruppe quindici catene per cui la tenda cadde dolcemente addosso alla gente. Alcuni importanti cittadi­ni offrirono il denaro per ripararla, a condizione che la serie di con­ferenze non fosse interrotta. Nel frattempo, la domenica, Himes predica­va nel mercato della città a tre gruppi diversi di persone per un totale di otto ore. Gli Avventisti, la domenica, frequentavano le loro proprie comunità, ma si incontravano frequentemente anche in assemblee interdenominazionali e riunioni di preghiera durante la settimana. Ben presto costruirono a Boston, Akron, Cincinnati e Cleveland dei “tabernacoli” solidi ma eco­nomici con migliaia di posti a sedere. Quando gli schernitori dicevano che queste costruzioni negavano la loro fede nel prossimo ritorno di Cristo i credenti citavano le parole di Gesù: “Trafficate finché io venga”. L’assemblea generale del maggio 1842 aveva votato tre raduni sotto le tende per quell’anno. Ne furono tenuti trentuno. Quaranta nel 1843. Cinquantaquattro nel 1844 per un totale di 125. Le persone che vi parte­ciparono arrivarono almeno a mezzo milione, oltre alle migliaia e migli­aia di persone che parteciparono ad altri incontri sotto “la grande ten­da”, nelle chiese, nei tabernacoli e nelle sale prese in affitto. Dio volle che il messaggio del primo angelo fosse predicato a “ogni tribù, lingua e popolo”. Dio comandò a Miller: “Dillo al mondo”. Dio non volle che questo messaggio fosse relegato in un angolo.
 
[1] Vedi Arthur Whitefield Spalding, Pioneers Stories of the Advent Message, rev. ed. (Nasniville, Tenn.: Southern Publishing Association, 1g42>, pp. 4u-49. Spalding sostiene la correttezza dei suoi dettagli sulla base di un testimone oculare.
[2] Miller, Apology, pp. 19,2C.
[3] Vedi James White, Sketches of the Christian Life and Public Labors of William Miller (Battle Creek, Mich. : Steam Press of the Seventh-day Adventist Publishing Association, 1875), pp. 11,112.
[4] Miller, Apology, pp. 22,23.
[5] Finora la migliore biografia di Himes è quella di David Tallmadge Arthur, “Joshua V. Himes and the Cause of Adventism, 1839-1845” (tesi, Università di Chicago, 1961).
[6] Le caratterizzazioni sono tratte da Arthur, “Joshua V. Himes”, pp. 168, 51.
[7] Midnight Cry, 25 maggio, 1843, p. 74
[8] Everett N. Dick è giunto a queste cifre paragonando la crescita dei Metodisti e dei Battisti nei primi anni 40 con il loro normale tasso di crescita e con il declino di cui soffrirono immediatamente dopo il 1844. La sua conclusione fu che coloro che abbandonarono queste comunità, vi erano entrati per influsso del Millerismo. Le prove sono impressionanti. Vedi Dick, “William Miller and the Advent Crisis, 1831-1844” (tesi di dotto­rato, Università del Wisconsin, 1930), pp. 263,264.
[9] Il giovane pastore era James White. Vedi la sua Life Incidents, in Connection with the Great Advent Movement, as Illustrated by the Three Angels of Revelation XIV (Battie Creek, MIch.: Steam Press of the Seventh-day Adventist Publishing Association, 1868), p. 96.
[10] Midnight Cry, 24 agosto 1843, p. 1.
[11] Vedi Arthur, “Joshua V. Himes”, pp. 61,62. Arthur non accetta il numero di 16 cal­colato da LeRoy Edwin Froom e pensa che ne può trovare tra 23 e 26. Vedi Froom, Prophetic Faith of Our Fathers, 4 voll. (Washington, D.C. : Review and Herald Publishing Association, 1946-1954), vol. 4, p. 555.
[12] Vedi Joseph Bates, Second Advent Way Marks and High Heaps (New Bedford, Mass. Press of Benjamin Lindsey, 1847), pp. 11,12.
[13] Può anche essere che gli Avventisti non abbiano dovuto pagare per questa tenda. Nel 1892 Loughborough scrisse che E.C. Williams di Rochester, New York, gli aveva raccontato negli anni 50 che lui aveva offerto la tenda in regalo a Miller. Ma ci sono delle difficoltà a proposito di certi dettagli del racconto. Vedi J.N. Loughborough, Rise and Progress of the Seventh-day Adventists (Battle Creek, Mich. : General Conference Association of Seventh-day Adventists, 1892), p. 41.

Cap. 03 – Il tempo del ritardo

Non tutti, naturalmente, erano d’accordo con William Miller né tutti lo prendevano sul serio. Alcuni dissero che lo faceva per denaro. Un parlamentare presentò una proposta di legge per rimandare la fine del mondo al 1860. Dei truffatori offrirono, a 200 dollari ciascuno, dei posti riservati su un pallone che sarebbe dovuto servire da mezzo di salvataggio. Una pubblicità annunciava: “Il tempo è venuto”, il tempo cioè di acquistare il “Winstar’s Balsam of Wild Cherry”, un liquore. Una vignetta rappresentava la “grande ascensione del tabernacolo millerita” mentre il diavolo agguan­tava Himes e strillava: “Joshua V., tu devi rimanere con me.” Quando Miller cominciò a predicare, l’America era pervasa da una forte sensazione d’ottimismo e per molti predicare l’avvicinarsi della fine del mondo era qualcosa di veramente nuovo. La democrazia del presidente Jackson sembrava preannunciare il raggiungimento della perfezione finale della razza umana, e lo stesso facevano la moltiplicazione delle società missionarie come anche il sorgere delle società bibliche e delle scuole domenicali. Invenzioni che avevano dell’incredibile aggiungevano forza a questa convinzione di trovarsi all’alba di una età dell’oro. Viaggiando su un battello a vapore giù per il fiume Hudson per recarsi a un appuntamento nella primavera del 1833, William Miller ebbe occa­sione di ascoltare alcuni uomini che discutevano meravigliati a proposi­to di alcune invenzioni degli ultimi anni: lampade a gas, macchina per sgranare il cotone, cibi in scatola, fotografia, macchina mietitrice di McCormick, locomotiva a vapore. E non si poteva dimenticare poi il fremente battello che spruzzava acqua da tutte le parti ed eruttava fumo sul quale stavano viaggiando! “Le cose non possono continuare così, osservava preoccupato uno di questi, “altrimenti fra trent’anni gli uomini diventeranno sovrumani.” Miller si avvicino. “Signori”, disse, “queste invenzioni mi ricordano Daniele 12:4. Negli ultimi giorni, molti correranno avanti e indie­tro (versione inglese di King James) e la conoscenza aumenterà.’” Veden­do che erano interessati, Miller tracciò loro un rapido quadro della storia alla luce delle profezie di Daniele 2 e 12. Ma subito dopo si fermò dicendo: “Non intendo, gentiluomini, approfittare troppo lungamente del­la vostra pazienza.” Mentre si avviava verso l’altro lato del battello, tutto il gruppo lo seguì chiedendogli di continuare. E così insegnò loro tutto il libro di Daniele (testa d’oro, piccolo corno, 2300 giorni, praticamente tutto quello che c’era da dire partendo dai quattro regni fino al giudizio e al ritorno di Cristo) “Avete messo tutto questo per iscritto?” domandarono; e quando Miller presentò loro delle copie stampate dei suoi sermoni, quelli fecero man bassa di tutto quello che aveva.[1] Se questi occasionali compagni di viaggio di Miller accettarono il suo insegnamento, non così fecero la maggior parte dei pastori e dei teologi contemporanei. Guidati invece dalla fantasiosa prospettiva del “postmillennialismo” reso popolare da Daniel Whitby, costoro si appigliavano alle invenzioni e allo sviluppo delle missioni del loro tempo e di­cevano: “Guardate, il mondo sta diventando sempre migliore. La seconda venuta di cristo si sta realizzando già fin da ora, in modo spirituale, nei cuori della gente. Ci troviamo proprio all’inizio di mille anni di pace!” Per quanto ciò possa sorprendere, non pochi di questi pastori crede­vano più o meno nei 2300 giorni. Alcuni dicevano che la nuova era sareb­be cominciata negli anni 40. Il reverendo George Bush, professore di ebraico e lingue orientali all’Università di New York, è un buon esempio di questa situazione. Pur ammettendo che la comprensione che Miller ave­va dei 2300 giorni era essenzialmente corretta, tuttavia affermava che “il grande evento che stava per realizzarsi non era la conflagrazione fisica del mondo ma la sua rigenerazione morale.”[2] Miller rispose citando le Scritture: “Negli ultimi giorni,” diceva, “i malvagi ... andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedot­ti” (2 Tim. 3:1,13); ma non tutti i pastori volevano ascoltare questo testo. Man mano che il tempo passava, questi cominciarono ad opporsi a Miller in modo deciso dai loro pulpiti. Altri manifestarono la loro opposizione in altro modo. La frenologia era popolare negli anni 40. Si sosteneva che il carat­tere di una persona potesse essere analizzato in base alla forma della sua testa ed era abbastanza alla moda, in quei giorni, andare a farsi analizzare la testa. Nel marzo del 1842, mentre Miller si trovava a Medford, nel Massachusetts, non lontano da Boston, per tenervi delle predi­cazioni, un cristiano che aveva accolto le vedute avventiste persuase Miller ad andare da un suo amico frenologo con l’evidente speranza che questi potesse convertirsi. Il frenologo, che non aveva alcuna propen­sione per l’avventismo, non aveva mai incontrato Miller e non lo riconobbe. “Ah, ecco una testa ben sviluppata, ben equilibrata”, osservò mentre le sue dita esperte scorrevano il cranio di Miller. “Glielo dico io, si­gnore, il signor Miller avrebbe da faticare parecchio per riuscire a convertire lei!” Facendo un passo avanti e fissando la faccia di Miller, osservò: “Lei ha così tanto buon senso da potere ingoiare in un boccone le sciocchezze di quella zucca vuota di Miller!” Il frenologo continuò facendo tutta una serie di paragoni pepati tra la testa che stava esaminando e quella che, nella sua immaginazione, do­veva essere la testa di Miller. “Oh, come mi piacerebbe esaminare la te­sta del signor Miller”, sospirò guardando gli uomini seduti su una fila di sedie allineate contro la parete. “Potrei dargli una bella spremutina!” Quindi, ponendo la sua mano sul “lobo del fanatismo”, ridacchiò: “Scommetto qualsiasi cosa che il vecchio William Miller deve avere un bernoccolo del fanatismo grosso come il mio pugno.” Mentre il frenologo raddoppiava il volume del suo pugno a mo’ d’esempio la fila di quei frequentatori del tempo libero rideva spassosamente con lui battendosi le gambe e tastandosi l’un l’altro la testa si mostravano i pugni ad imitazione del dottore. Il frenologo rideva più di tutti. Finito l’esame, il frenologo chiese gentilmente: “Signore, posso avere il suo nome, per favore, per scriverlo sull’esame?” “Oh”, rispose Miller con fare compassionevole, “il mio nome non ha nessuna importanza. Lasciamo perdere.” “Ma signore, mi farebbe veramente piacere dare un nome a una testa così splendida come la vostra. E ne ho anche bisogno per il mio archi­vio!” “Bene allora”, concesse l’esaminato con riluttanza, “può chiamarmi Miller, se vuole.” “Miller? Miller? balbettò il frenologo. “Mi scusi, ma qual è il suo nome di battesimo?” “Mi chiamano William Miller”. “Il gentiluomo che fa le conferenze sulle profezie?” “Proprio quello”. Al che il frenologo si mise a sedere scosso dalla sorpresa e dallo sgomento.[3] Anche se alcuni si opposero a Miller e alcuni si divertivano alle sue spalle, altri, pur dissentendo da lui, difendevano coraggiosamente la sua onestà. E ce n’erano molti altri - agricoltori, casalinghe, ope­rai, gente istruita - che, sebbene non intendessero dargli credito, tuttavia si sentivano inquieti. Racconti di testimoni oculari relativi a strani fenomeni riempivano le pagine dei giornali. Giove circondato da un alone. Un cavallo con un cavaliere sulla luna. Una croce nera sullo sfondo di una luna color san­gue. Canti provenienti dal cielo. Gente che camminava nei cieli. Tre angeli che gridavano: “Guai, guai, guai!” Non tutti questi strani fenomeni venivano riportati dai Milleriti. Avendo la mente fissa alle Scritture, essi li notavano difficilmente! Quelli che li riportavano e che li diffondevano ampiamente attraverso la stampa erano dei non credenti. Nel 1833, due anni dopo che Miller aveva cominciato a predicare, si realizzò una caduta di meteoriti così impressionante da sembrare una ne­vicata. Ora, nelle fredde ore crepuscolari del tardo febbraio del 1843, apparve inattesa, a nord-ovest, una fiammante cometa. La si poteva vede­re anche alla luce del giorno. Una messaggera dallo spazio profondo. Un segno del destino. Anche gli scettici tremavano. I primi calcoli di Miller lo avevano condotto “intorno all’anno 1843”. Nella prima parte del 1843 pubblicò sul New York Tribune una lettera a­perta a Joshua V. Himes, chiarendo ciò che intendeva con questa frase. Miller comprese che l’anno 457 a.C. cominciava, secondo la Bibbia, in primavera o, con più precisione, il 21 marzo del 457, e che di conse­guenza il duemilatrecentesimo anno dopo quella data sarebbe cominciato nella primavera del 1843 e finito in quella del 1844. Annunciò così, attraverso il Tribune, che egli non fissava un tempo più preciso di quello che andava dal 21 marzo del 1843 al 21 marzo del 1844. Quando l’ “anno della fine del mondo” cominciò, Miller, con ancora più passione di prima - con la sua voce solenne, dolce, gentile - a supplicare ognuno di ravvedersi: “State attenti; ravvedetevi; correte, correte all’arca di Dio per avere soccorso, correte a Gesù Cristo, l’Agnello che è stato immolato, perché possiate vivere, perché Lui è degno di ricevere ogni onore, pote­re e gloria. Abbiate fede e vivrete. Obbedite alla Sua parola, al Suo Spirito, alla Sua chiamata, ai Suoi inviti; non c’è tempo per indugiare; non rinviate le cose, vi prego; no, neppure di un solo momento. Non vo­lete unirvi al coro celeste e cantare il cantico nuovo? Venite allora secondo la via indicata da Dio; ravvedetevi. Volete una casa non fatta da mano d’uomo, ma eterna nei cieli? Unitevi allora a questo popolo felice il cui Dio è il Signore. Volete riscuotere dell’interesse nella Nuova Gerusalemme, l’amata città? Allora volgi con decisione il tuo volto verso Sion; incamminati come un pellegrino sul buon sentiero antico. ‘Cer­cate prima il regno dei cieli”, dice Cristo, ‘e tutte queste cose vi sa­ranno sopraggiunte.’”[4] Sfortunatamente, nonostante tutti i sermoni predicati, nonostante tutte le pubblicazioni distribuite, nonostante tutti i raduni sotto le tende, nonostante il chiaro insegnamento biblico presentato da Miller, e nonostante la miracolosa chiamata rivolta da Dio a Miller perché annun­ciasse tutto al mondo, l’anno della fine del mondo passò e Cristo non era ritornato. I credenti erano perplessi. Non avevano rivolto le loro speranze a nessun giorno dell’anno in particolare, e così la loro delusione nella primavera del 1844 non fu così acuta come quella che avrebbero avuta alla data poi fissata per 22 ottobre successivo. Il movimento respirava anco­ra, ma il suo ritmo rallentava e i suoi occhi si abbassavano. Tuttavia migliaia di Milleriti raccontavano di sentirsi misteriosa­mente sorretti dall’opera profonda dello Spirito Santo. Ritornando ancora una volta alle loro Bibbie, lessero in Habacuc 2:3: “... e una visione per un tempo già fissato ... se tarda, aspettala; poiché per certo verrà.” Trassero particolarmente coraggio dalle parole di Cristo “Tardando lo sposo, tutte divennero sonnacchiose e si addormentarono. E sulla mezzanotte si levò un grido: ‘Ecco lo sposo, uscitegli incontro!’” (Mat. 25:5,6). La scoperta che la Bibbia prediceva un tempo del ritardo divenne una reale fonte di coraggio. In maggio del 1844 Josiah Litch pubblicò una nuova rivista, lAdvent Shield, sulla guida e gli insegnamenti di Dio manifestati nell’ambito del risveglio dell’avvento. Anche questo rappresentò una fonte di consolazione. All’incirca nello stesso tempo l’opposizione alla speranza dell’avvento che era andata sviluppandosi nelle varie denominazioni protestanti raggiunse il culmine e molti Milleriti furono espulsi. Vedendo che le loro proprie chiese rigettavano il messaggio del primo angelo di Apocalisse 14, i Milleriti riconobbero che queste erano divenute le chiese “ca­dute” di Babilonia come predetto dal secondo angelo dello stesso capito­lo. Questo contribuì ulteriormente ad accrescere la loro fiducia di essere un popolo profetico e che Dio era con loro. Alcuni Avventisti, in modo particolare Samuel Sheffield Snow e i suoi amici, ricordarono una lettera che William Miller aveva scritto a Signes of the Times il 3 marzo 1843, e nella quale si faceva notare che Gesù era morto in occasione della pasqua nel “primo mese” (in primavera secondo l’anno cerimoniale biblico), e che di conseguenza era forse pos­sibile aspettarsi che sarebbe ritornato nel Giorno delle Espiazioni nel “settimo mese” (in autunno). C’era qui un seme destinato a portare frutto. Così, nell’estate del 1844 i Milleriti si identificarono con le ver­gini in attesa dello sposo che tardava, proclamando e adempiendo il messaggio sia del primo che del secondo angelo. Si aggrapparono alle pro­messe, studiarono le profezie, distribuirono le loro pubblicazioni, con­tinuarono le loro riunioni di preghiera e i loro convegni, si incontrarono in numero sempre maggiore in frequenti raduni sotto le tende e pregarono per il grido di mezzanotte.
 
[1] Adattato da Bliss, Memoirs, p. 106.
[2] Georg Bush, Reasons for Rejecting Mr. Miller’s Views on the Advent, with Mr. Miller’s Reply (Boston: Joshua V. Himes, 15 aprile 1844), p. 11.
[3] Adattato da Midnight Cry, 23 novembre 1843, p. 2. Ristampato senza alcuna modifica in Francis C. Nichol, The Midnight Cry (Washington, D.C. : Review and Herald Publishing Association, 1944), pp. G 8,gg.
[4] William Miller, Evidence from Scripture and History of the Second Coming of Christ, About the Year 1843; Exibited in a Course of Lectures (Boston: Joshua V. Himes, 1842), pp. 174,175.

Cap. 04 – Il grido di mezzanotte

All’indimenticabile congresso sotto le tende svoltosi a Exeter, nel New Hampshire, nell’agosto del 1844, il grido di mezzanotte fu finalmente udito.[1] L’ex capitano di marina Joseph Bates, un uomo che aveva investito tutti i suoi beni nella causa, stava esortando appassionatamente i Milleriti a stare saldi e cercava di incoraggiarli con immagini tratte dalla sua vecchia vita di navigatore. La congregazione si agitava nel caldo afoso, si sentiva a disagio e non era convinta. Quando un uomo a cavallo apparve, smontò e si mise a sedere all’estremità di una panca, tutti gli occhi si volsero verso di lui. Coloro che erano vicini si misero a discutere animatamente con lui. Ma Joseph Bates continuava il suo monotono discorso. Improvvisamente la signora John Couch si alzò in piedi con determinazione. Era la sorella di Samuel Snow, il cavaliere appena arrivato, e prese la parola, con cortesia ma anche con convinzione. “Fratello Bates! È troppo tardi per sprecare il nostro tempo su queste verità che tutti conosciamo molto bene. Il tempo è breve. Il Signore ha qui dei servitori che hanno cibo per il tempo dovuto per la Sua casa. Lasciateli parlare, e che il popolo li senta.” Mentre parlava, riporta un testimone, lo Spirito del Signore si mosse sull’assemblea come una brezza che fa increspare un lago tranquillo. Grida appassionate di “Amen, sorella; sì, sì,” si levarono dappertutto. Qua e là uomini e donne ruppero in un pianto spontaneo anticipando la risposta alle loro preghiere. Bates, cavallerescamente, lasciò il pulpito. “Se il fratello Snow ha della verità per noi da parte del Signore, che egli venga e ci dia il suo messaggio.” Mentre era in treno per recarsi a Exter egli sentiva che questo era quello che sarebbe accaduto.

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Mentre Joseph Bates esortava i Milleriti delusi perché non si scoraggiassero, un cavaliere apparve.

Snow era pronto ma si ritenne opportuno dargli la possibilità di parlare nelle ore fresche della riunione mattinale. “Il nostro benedetto Signore ha promesso che Egli sarebbe tornato di nuovo per prendere il Suo popolo con Sé,” ricordò Snow alle migliaia di ascoltatori riuniti nell’aria fresca del mattino seguente.[2] “Per quel che riguarda il tempo del suo ritorno, Gesù disse ai suoi discepoli che ‘nessuno conosce il giorno e l’ora, neppure gli angeli dei cieli, né il Figlio, ma solo il Padre.’ Marco 13:32. Molti insegnano,” continuò Snow, “che questo testo prova che gli uomini non conosceranno mai il tempo. Ma se esso prova questo, deve anche provare che neppure il Figlio conoscerà mai il tempo, perché il testo afferma, per il Figlio, la stessa cosa che afferma per gli uomini e gli angeli! Ma se questo verso non prova che Cristo non saprà mai il tempo del Suo ritorno, esso non prova neppure che non lo sapranno mai gli uomini e gli angeli! “Quando Gesù venne la prima volta,” Continuò Snow, “Egli venne al tempo stabilito ed ebbe un messaggio riguardante il tempo. Egli dichiarò: ‘Il tempo è compiuto.’ Marco 1:15. Ora io vi chiedo, fratelli e sorelle, quale tempo era compiuto?” “Il tempo profetico,” rispose la folla. “La sessantanovesima delle settanta settimane di Daniele.” “Giusto, giusto,” Snow li incoraggiava. “Noi tutti conosciamo le profezie di Daniele 8 e 9 sui 2300 giorni-anni e intorno alle settanta settimane di anni che erano ‘determinate’ (o ‘tagliate via’) da esse. E tutti abbiamo anche capito che i 2300 anni dovevano giungere fino ‘all’incirca verso il 1843.’ “Ma abbiamo trascurato alcune cose! Abbiamo detto che i 2300 anni cominciavano nella primavera del 457 a.C. e finivano nella primavera del 1844, ma i 2300 anni non dovevano cominciare all’inizio dell’anno, ma nel momento in cui “uscì il comando di restaurare e riedificare Gerusalemme.’ Daniele 9:25. Ora Esdra 7:8 ci dice che questo decreto non raggiunse Gerusalemme fino al quinto mese dell’anno! Fratelli miei, se gli anni biblici cominciano e finiscono a primavera, e se il decreto non ebbe effetto che cinque mesi dopo l’inizio dell’anno, non dobbiamo pensare che i 2300 anni debbano estendersi almeno cinque mesi oltre l’inizio della primavera?” “Amen.” “È proprio così.” “Deve essere così,” rispose la folla. “Allora eravamo in errore aspettando Gesù per la primavera del 1844!” “Si, si! Grazie Signore!” “L’altra verità avente a che fare con il tempo del ritorno di Cristo” - Snow avanzava nella sua argomentazione con sempre maggiore sicurezza - riguarda una maggiore comprensione dei tipi connessi alla primavera e all’autunno, contenuti nella legge di Mosè. “La festa principale delle cerimonie di primavera era la Pasqua, celebrata nel ‘primo mese’ dell’anno biblico. La festa principale delle cerimonie di autunno era il Giorno delle Espiazioni, nel ‘settimo mese’ dell’anno. Ora, in che giorno Gesù morì sulla croce? “A pasqua,” rispose la folla, che lo seguiva attentissima. “Corretto! ‘Cristo, la nostra pasqua’ fu crocifisso per noi (1 Corinzi 5:7) nel primo mese, durante la primavera, proprio nello stesso giorno in cui veniva ucciso l’agnello pasquale. Ma questo non è tutto. In che momento del giorno veniva ucciso l’agnello pasquale?” “A sera,” rispose la gente. “Si; e più precisamente, ‘tra le sere’ come dice il testo ebraico;* non al tramonto, ma a metà pomeriggio. Ditemi, a che ora Cristo, la nostra Pasqua, diede la sua vita per noi?” “Alle tre del pomeriggio,” fu la risposta. Appoggiandosi all’antico storico ebreo Giuseppe e all’abile cronologista William Hales, Snow stabilì la data della morte di Cristo nella primavera del 31 d.C., nel mezzo della settantesima settimana di anni. “Io vi dichiaro, fratelli, per la Parola del Signore, che quando Gesù venne la prima volta, Egli morì come nostra Pasqua proprio nell’anno predetto dalla profezia di Daniele e proprio nel giorno prescritto dalla legge cerimoniale - di fatto, proprio nell’ora prescritta in quella legge. Non un solo elemento della legge è fallito. Ogni iota ed ogni apice è stato adempiuto. Il tempo è stato rispettato nel modo più stretto! “Ora fratelli, proprio come la Pasqua era il tipo [simbolo che punta ad una realtà effettiva] primaverile più importante, così il Giorno delle espiazioni è il tipo più importante dell’autunno. E cosa faceva il sommo sacerdote nel giorno delle espiazioni?” “Purificava il santuario.” “Certo, è proprio così! E quale compito Gesù porterà a termine alla fine dei 2300 giorni-anni di Daniele 8:14?” “La purificazione del santuario!” rispose nuovamente la folla. “Esattamente! Ora, se il tempo fu strettamente rispettato quando Gesù morì come nostro sacrificio pasquale, non ne consegue che il tempo sarà rispettato allo stesso modo quando il nostro Sommo sacerdote realizza la purificazione del santuario? Non è chiaro che Gesù realizzerà la profezia di Daniele 8:14 non solo nell’anno indicato in Daniele 8:14, ma più precisamente, alla data esatta del Giorno delle Espiazioni?” I Milleriti guardarono le loro Bibbie, Snow, e l’un l’altro, con meraviglia e con un sentimento di profonda gratitudine. Snow continuò, avviandosi verso la sua conclusione. “E quando, fratelli, cade il Giorno delle Espiazioni nel calendario cerimoniale biblico?” “Il decimo giorno del settimo mese,” risposero quasi all’unisono. “Giusto di nuovo! Levitico 23:27 dice, ‘Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell’espiazione.’ Fratelli, se il tipo della purificazione si realizzava il decimo giorno del settimo mese, nell’antitipo [realtà effettiva rappresentata da simbolo] quando si deve realizzare il momento in cui Gesù completa la purificazione del santuario?” La sua passione era schiacciante. E la folla sciorinò nuovamente la sua risposta: “Il decimo giorno del settimo mese.” Snow fece una pausa e respirò profondamente prima di manifestare il suo ultimo argomento. “Grazie ai calcoli più precisi conservati, per la provvidenza di Dio, dai Giudei Karaiti, il decimo giorno del settimo mese cade quest’anno il 22 ottobre.” A questo punto fece una pausa è poi lanciò il suo appello finale. “Fratelli, pensateci bene. Siamo ora nella seconda settimana di agosto. In meno di tre mesi il Signore completerà l’espiazione e verrà fuori dal santuario per benedire il suo popolo in attesa. Levitico 9:22,23. In meno di tre mesi l’opera di Dio sarà completata. Non ci sarà più un altro inverno in questa fredda, vecchia terra. In meno di tre mesi lo Sposo sarà qui a prendere il suo popolo che lo aspetta. Non è questo il tempo per il grido di mezzanotte, il grido di mezzanotte: ‘Ecco lo Sposo viene: uscitegli incontro?” Lacrime di gratitudine e gioia scorsero in abbondanza. Si chiese a Snow di ripetere il suo discorso il giorno seguente in modo che tutti fossero sicuri di avere ben capito. Altri dirigenti esortarono i fratelli a usare bene i pochi giorni che rimanevano. Solenni, umili, ma elettrizzati, i credenti ripresero i loro treni, i loro battelli a vapore, e le loro diligenze per tornare a casa. Essi recarono ovunque le buone notizie. Congresso dopo congresso reagirono con lo stesso animo sereno ma entusiasta. Le colline granitiche della Nuova Inghilterra risuonarono ben presto del “grido di mezzanotte.” Con un entusiasmo irrefrenabile esso volò sulle ali del vento da una parte all’altra della regione. Dal Canada al Maryland, dall’Atlantico alle regione centrali interne, simultaneamente e quasi unanimemente, il “movimento del settimo mese” si sparse finché ogni città, villaggio e casolare non ebbe udito la notizia. Himes, da principio, resistette a questa nuova comprensione, ma dopo la fece sua, certo che essa venisse dal Signore. William Miller la studiò con estrema attenzione, pregò intensamente e scrisse poi con gioia: “Nel ‘settimo mese’ vedo della gloria che non avevo mai visto prima. Sono quasi a casa. Gloria! Gloria! Gloria!” Ottobre 22! Un solo giorno prima della fine. Che giorno da vivere! Man mano che gli ultimi giorni scorrevano, gli uomini d’affari avventisti chiudevano i loro negozi, i meccanici le loro officine, gli impiegati abbandonavano il loro impiego. Ai congressi sotto le tende molti confessavano i loro peccati e si facevano avanti per le preghiere. Molto denaro veniva donato perché i poveri potessero pagare i loro debiti e per pubblicare degli stampati ... fino al punto che gli editori dissero di non potere fare di più rimandando così indietro i donatori tristi. In campagna alcuni agricoltori abbandonarono il loro raccolto nei campi per dare testimonianza della loro fede. Le patate rimasero sotto terra,* le mele si decomposero nei frutteti, il fieno giaceva a terra nei campi. Nelle città molti credenti (molti insegnanti, diversi giudici di pace, anche un magistrato di Norfolk) rinunciarono al loro impiego. A Filadelfia un sarto sulla quinta strada chiuse la sua bottega “in onore del Re dei re che apparirà verso il 22 ottobre.” Una grossa azienda di Brooklyn licenziò i suoi impiegati. Metodisti, Congregazionalisti, Presbiteriani si affrettarono alle acque battesimali. Le macchine da stampa a vapore stavano al lavoro giorno e notte sfornando il Midnight Cry e altri stampati. Centinaia di migliaia di copie furono pubblicate a New York e Boston negli ultimi tre mesi. E altre migliaia a Rochester, Topsham, Philadelphia, Lancaster, Utica, Cleveland, Cincinnati, Detroit e Toronto. Aspettazione. Pubblicazione. Preparazione. Consacrazione. La conclusione di tutto era ora a portata di mano. 15 ottobre, sette giorni al traguardo. 16 ottobre, sei giorni. 17 ottobre, 18 ottobre, 19 ottobre. Il 19 ottobre le macchine da stampa si fermarono. La grande tenda era già stata smontata per l’ultima volta. I predicatori erano ritornati alle loro case per stare con le loro famiglie. Joshua V. Himes si affrettò a Low Hampton per stare con Miller. All’interno del Movimento i credenti aspettavano con gioiosa bramosia. L’allora ragazzina Ellen Harmon scriverà più tardi: “Questo fu l’anno più felice della mia vita. Il mio cuore era pieno di una felice aspettazione.”[3] Al di fuori, il mondo aspettava in ansia. Migliaia di persone, che non avevano mai preso parte al Movimento, esaminavano i loro cuori per paura che potesse essere vero. 20 ottobre. 21 ottobre. 22 ottobre 1844. Come il 22 ottobre del 1844 volgeva al tramonto, i Milleriti si riunirono in gruppi di diversa consistenza, nei loro tabernacoli, nelle chiese, sotto le tende, in case private; in solenni incontri di preghiera e di gioiose lodi. A Low Hampton, nello Stato di New York, gli amici di Miller si riunirono presso il boschetto di aceri accanto alla sua casa, su quella che è nota oggigiorno come la “Roccia dell’ascensione”. Vegliarono tutto il giorno perché non sapevano a quale ora il loro Signore sarebbe venuto. Il sole sorse a occidente, simile a “uno sposo ch’esce dalla sua camera nuziale.” Ma lo Sposo non apparve. Il sole giunse al culmine della sua corsa, caldo e munifico di vita “con la guarigione nelle sue ali.” Ma il Sole di Giustizia non manifestò il suo splendore. Il sole si stabilì in occidente, dardeggiando, fiero, “terribile come un esercito a bandiere spiegate.” Ma Colui che cavalca il cavallo bianco e guida le armate celesti non tornò. Le ombre della sera si allungarono fresche sulla terra. Le ore della notte battevano lentamente il tempo che passava. Nelle case sconsolate dei Milleriti, gli orologi rintoccarono le dodici a mezzanotte. Il 22 ottobre era finito e Gesù non era venuto. Non era venuto!
 
 
[1] La storia è ben raccontata in James White, Memoirs, p. 106.
[2] Gli studi di Snow a Exeter rappresentarono il culmine di un processo che stava sviluppandosi in modi e luoghi così diversi da spingere i Milleriti a considerarlo un fatto soprannaturale. Vedi J.N. Loughborough, The Great Second Advent Movement (Nashville, Tenn.: Southern Publishing Association, 1905), pp. 157-159. La presentazione di Snow descritta qui è adattata dai suoi stessi articoli nel True Midnight Cry e in Advent Review and Signs of the Times Reporter, 16 ottobre 1844, e da James White, Life Incidents, pp. 159-168, e Joseph Bates, Second Advent Way Marks, pp. 30,31.
* Snow segue qui una interpretazione di Esodo 12:6, dove il testo ebraico legge “tra le due sere” intendendo come prima sera il momento in cui il sole comincia visibilmente a declinare verso le tre del pomeriggio. Vedi SDABC. Nota del traduttore.
* Il Cielo vegliò sulle patate. In un caso, a New Ipswich, nel New Hampshire, la ruggine distrusse le patate raccolte al tempo abituale, mentre le patate raccolte più tardi da Leonard Hastings furono protette sotto terra e vendute ad un prezzo superiore.
[3] Ellen G. White, Testimonies for the Church, 9 voll. (mountain View, California; Pacific Press Publishing Association, 1885-1909, 1948), vol. 1, p. 54.

Cap. 07 – Cleopa in un campo di grano

“Papà, potrei essere battezzata stasera? Per favore?” “È già tardi, lo sai, Ofelia, e abbiamo da viaggiare ancora per dodici miglia in questa slitta scoperta prima che ti possa mettere a letto!” “Lo so, papà; ma mi piacerebbe veramente essere battezzata prima di arrivare a casa.” “Ti rendi conto che il lago è probabilmente ghiacciato lungo la riva, e che avremmo da viaggiare per due o tre fredde miglia per andare e tor­nare?” “Si; ma non ci sono problemi,” rispose la ragazzina. “Posso farlo.” Vedendo la sua risoluzione, un ministro presente nel gruppo si rivolse a un amico chiedendogli: “Pastore, le dispiacerebbe andare al lago con Ofelia e suo padre per battezzarla?” “Ne sarei felice,” rispose il buon uomo. E così Hiram Edson accompa­gnò la sua figliuola di dodici anni fino a quell’acqua gelata, assistet­te al suo battesimo che già era buio, e arrivò a casa veramente tardi, gelato da non potersi immaginare, ma molto felice nel Signore.[1]

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Alla fine Hiram Edson accettò di portare Ofelia, la sua figliola di dodici anni, Ofelia, e un ministro, al lago ghiacciato, dove la determinata ragazzina sarebbe stata battezzata.

Questa esperienza, accaduta alla fine di un risveglio nel 1855, un­dici anni dopo la grande delusione, ci fa conoscere Hiram Edson come un devoto padre cristiano. Aveva sei figli di cui uno morto quand’era anco­ra bambino. In occasione di questo stesso risveglio, Edson fu ordinato, sembra, come anziano locale, la qual cosa ci fa pensare che dovesse esse­re un laico veramente attivo. Per molti anni, dopo la delusione, finché la salute glielo permise, Edson esplorò nuove verità e fece dei sacrifi­ci per pubblicarle e viaggiò, per diffonderle. Nei primi anni cinquanta accompagnò Joseph Bates, John Andrews, John Loughborough e diversi altri ministri, cercando instancabilmente nuove prospettive, coprendo centi­naia di miglia, spesso a piedi, abitualmente d’inverno. D’estate lavora­va nella fattoria per pagare le spese. Per aiutare la causa, due volte vendette una fattoria, una volta un gregge di pecore. Quando diventò vecchio fu onorato con il conferimento delle credenziali come ministro. Mori nel 1882.[2] Ma stiamo anticipando troppo i tempi. La prima moglie di Edson morì nel 1839, all’età di 32 anni. Affinché i suoi tre piccoli bambini potesse­ro avere una nuova madre, portò ben presto un’altra signora Edson nella sua fattoria presso Port Gibson, nello Stato di New York (una zona vici­no al Canale Erie). Nel 1843 il messaggio dell’avvento giunse a Rochester, distante circa trenta miglia. Presto si diffuse fino a Port Gibson. Edson - a quel tempo era metodista - lo accettò durante una serie di conferenze evangelistiche. In quella stessa sera in cui la serie di conferenze finì, Edson fu impressionato per quella che gli sembrava una voce udibile che gli dice­va di andare a casa di un vicino morente e di guarirlo nel nome del Si­gnore. La cosa lo turbò perché pensava che i miracoli e le guarigioni fossero finiti con i tempi biblici. Incapace, comunque, di scrollarsi d’addosso quella convinzione, andò a casa del suo amico giungendovi che era già molto tardi nella notte. Aiutandosi con una candela, Edson giunse al letto, posò le sue mani sull’uomo ammalato, e disse: “Fratello, il Signore Gesù ti risana.” Con grande gioia di Edson, l’uomo si mise imme­diatamente a sedere, tirò via le lenzuola, sporse i suoi piedi fuori dal letto e si mise a camminare per la stanza lodando Dio. Ben presto tutto il resto della famiglia fu in piedi lodando Dio.[3] Proprio quella stessa sera, Edson sentì una voce che gli diceva: “Va a raccontare la verità (dell’avvento) ai tuoi vicini e ai tuoi amici.” Edson pensò che testimoniare fosse ancora più difficile che aiutare a gua­rire. Per diversi giorni lottò con se stesso. Ma quando alla fine si ar­rese, come già era accaduto a Miller, scoprì che Dio poteva fare un buon uso di lui. Visitava le famiglie per tutta la giornata, organizzava de­gli incontri la sera, e ben presto vide tre o quattrocento dei suoi vicini e dei suoi amici accettare Gesù ed unirsi al movimento dell’avvento. Impegnato in questo modo, giunse con la sua famiglia al 22 ottobre. Man mano che lentamente si passava dal giorno alla notte, e che l’inces­sante ticchettio dell’orologio ricordava che il tempo stava passando, possiamo essere ben sicuri che gli Edson e gli amici che si erano uniti a loro per l’occasione, riconsideravano le evidenze della loro fede: i 2300 giorni che andavano dall’autunno del 457 a.C. all’autunno del 1844; il risveglio incentrato sull’attesa dell’avvento visto come la realizza­zione del messaggio del primo e del secondo angelo di Apocalisse 14; il “tempo dell’attesa” dopo la prima delusione a primavera, e il “grido di mezzanotte” durante il congresso sotto le tende di agosto; e, in modo speciale, la chiara esposizione di Samuel Snow sulla purificazione del santuario alla luce del giorno delle espiazioni. Oggi, dissero a se stessi, 22 ottobre, il “decimo giorno del settimo mese,” Gesù sta completando la sua ultima opera nel santuario celeste e senza alcun dubbio lascerà quel luogo e verrà sulla terra per benedire il suo popolo in attesa. “Aspettavamo con fiducia di vedere Gesù Cristo e tutti i santi ange­li con lui,” scrisse Edson più tardi, “e che la sua voce avrebbe richia­mato in vita Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti gli antichi uomini merite­voli, e i nostri personali cari amici di cui la morte ci aveva privati. Le nostre speranze erano elevate e così rimanemmo in attesa del nostro Signore che veniva finché a mezzanotte l’orologio non fece udire i suoi dodici rintocchi.” Mentre l’orologio batteva le ore, la famiglia di Edson e i loro ami­ci, come i Milleriti in ogni luogo, contavano i rintocchi con il cuore che rapidamente si consumava. Quando non si poté udire nient’altro che il malinconico ritmo del suo ticchettio, compresero che “il giorno era passato” e la loro “delusione divenne una certezza.” Disse Edson: “Le nostre più belle speranze e previsioni erano distrutte e una tale voglia di piangere ci prese come non ci era mai accaduto prima. ... Piangemmo, e piangemmo, finché non giunse l’alba.” Ma con il passare delle ore, Edson si ritrovò a pensare a come Dio l’aveva benedetto da quando aveva accettato la speranza dell’avvento. Aveva ricevuto il potere di guarire nel nome di Cristo; aveva visto cen­tinaia di vite cambiare in meglio; lui stesso aveva sperimentato una pa­ce meravigliosa. La sua fiducia ricominciò a tornare. “Andiamo al fieni­le,” disse agli uomini che erano rimasti a casa sua. E nel freddo grigiore dell’alba di quella fine d’ottobre, un gruppo di semplici per­sone, confuse ma ancora desiderose di credere, entrarono nel fienile, chiusero la porta e si inginocchiarono per pregare. “Continuammo a pregare ardentemente finché non ricevemmo la testimonianza dello Spirito che le nostre preghiere erano state accettate, che della luce ci sarebbe sta­ta data, che la nostra delusione avrebbe avuto una spiegazione diven­tando chiara e accettabile.”

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E nel freddo grigiore dell’alba di quella fine d’ottobre, Hiram Edson e il suo piccolo gruppo entrarono nel fienile,

confuse ma ancora desiderose di credere.

  Nessuna spiegazione fu data in quel momento; ma nel loro cuore nac­que la certezza che Dio è amore e che sebbene non comprendessero ciò che era accaduto, Egli un giorno o l’altro avrebbe chiarito ogni cosa. Sentendosi meglio, camminando in fila uno dietro l’altro ritornarono in cucina e fecero colazione. Edson suggerì a uno dei suoi amici, doveva trattarsi di O.R.L. Crosier, di andare a trovare alcuni dei Milleriti del posto che avevano contribuito a condurre a Cristo, per incoraggiarli nella fiducia che era nata in loro. Forse per guadagnare tempo, presero una scorciatoia in mezzo a un campo di frumento ammucchiato in biche. Attraversando il campo, ci dice Edson, “verso la metà del terreno, vidi distintamente e chiaramente che il nostro Sommo Sacerdote invece di venire fuori dal luogo santissimo del santuario celeste per venire su questa terra (il 22 ottobre), ... che per la prima volta entrava in quel giorno nella seconda stanza di quel santuario; e che aveva un opera da compiere nel luogo santissimo prima di venire sulla terra.” Era così semplice, e tuttavia quei momenti sono da annoverare tra i più significativi della storia religiosa. Abramo era solo un allevatore nomade quando Dio lo chiamò a divenire padre del suo popolo eletto. Daniele ricevette la sua vocazione speciale mentre era prigioniero in una terra straniera. Gesù fu un rabbi itinerante in una sperduta provincia romana quando, con la sua morte, salvò il mondo. Cleopa era un discepolo quasi sconosciuto quando Cristo gli diede quella comprensione delle Scritture che condussero alla fondazione della Chiesa cristiana. E Hiram Edson, il “Cleopa del campo di grano” dell’avventismo, era un agricoltore del nord dello Stato di New York - e un devoto studioso della Bibbia e conquistatore di anime - quando Dio gli comunicò una com­prensione del ministero celeste di Cristo che era cosa del tutto nuova nella storia della teologia. In un senso del tutto speciale, la Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno nacque in quel momento, in quel cam­po, mentre quell’agricoltore contemplava Cristo.
 
[1] Review and Herald, 27 dicembre 1855, p. 101; J.N. Loughborough al pastore H.M. Kelley, 23 dicembre 1919, p. 1.
[2] I capitoli su Hiram Edson sono basati in parte su un manoscritto frammentario dello stesso Edson, privo di data e di titolo, conservato nella Heritage Room, James White Library, Università Andrews, e in parte su altri materiali raccolti e presentati in James Nix, “The life and Work of Hiram Edson” (ricerca presentata alla Università Andrews, 1971).
[3] P.Z. Kinne a F.E. Bruce, 21 gennaio 1930, in W.A. Spicer, Pioneer Days of the Advent Movement (Washington, D.C.: Review and Herald Publishing Association, 1941), pp. 219,220.