05. Il ricco e Lazzaro

05. Il ricco e Lazzaro

Nei vangeli, Gesù fa riferimento per ben tre volte all’ades. La prima si trova in Matteo 11:23, dove Gesù lancia un rimprovero contro Capernaum: «E tu, Capernaum, sarai innalzata fino al cielo? Sarai abbassata fino all’ades» (cfr. Lc 10:15). Qui l’ades, come lo sheol nell’Antico Testamento (cfr. Am 9:2,3; Gb 11:7,9), indica il posto più basso dell’universo esattamente come il cielo è il posto più elevato. Questo significa che Capernaum sarà umiliata fino al regno dei morti, il posto più basso.

La seconda occasione in cui Gesù utilizza il termine ades si trova nella parabola del ricco e di Lazzaro (Lc 16:23). Si ritornerà successivamente su questo episodio. La terza volta si trova in Matteo 16:18, dove Gesù esprime la propria fiducia affermando che «le porte dell’ades non potranno vincere» la chiesa. Il significato della frase «Le porte dell’ades» è illuminato dalla stessa espressione nell’Antico Testamento e nella letteratura giudaica (cfr. 3 Maccabei 5:51; Sapienza di Salomone 16:13) dove è utilizzato quale sinonimo per la morte. Per esempio, Giobbe pone una domanda retorica: «Ti sono state mostrate le porte della morte, o hai forse visto le porte delle tenebre profonde?» (Gb 38:17; cfr. Is 38:18). Il mondo sotterraneo era ritratto come circondato da scogliere, dove i morti erano rinchiusi. Quindi Gesù voleva dire con «le porte dell’ades» che la morte non avrebbe vinto la chiesa, perché lui, ovviamente, avrebbe ottenuto la vittoria sulla morte.

Come tutti i morti, Gesù è andato nell’ades, cioè, nella tomba, ma a differenza degli altri, egli è stato vittorioso sulla morte. «Poiché tu non lascerai l’anima mia nell’ades, e non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione» (At 2:27; cfr. 2:31). Qui l’ades è la tomba dove il corpo di Cristo ha riposato per soli tre giorni e, di conseguenza, non ha visto «la corruzione», il processo di decomposizione che avviene a seguito di un seppellimento prolungato. A motivo della sua vittoria sulla morte, l’ades, la tomba, è un nemico sconfitto. Quindi, Paolo esclama: «O morte, dov’è il tuo dardo? O tomba (ades), dov’è la tua vittoria?» (1 Cor 15:55).

Qui l’ades è tradotto correttamente «tomba» nella KJV dal momento che è parallelo con la morte. Cristo ora tiene le chiavi della «morte e dell’ades» (Ap 1:18), Egli ha potestà sulla morte e la tomba. Questo lo rende capace di aprire le tombe e chiamare i santi a vita eterna alla sua venuta. In tutti questi passi, l’ades è conformemente associata con la morte, perché essa è il luogo di riposo dei morti, la tomba. Lo stesso è vero in Apocalisse 6:8, dove il cavallo giallastro ha un cavaliere il cui nome è «morte e dietro a essa veniva l’ades». Il motivo per cui «l’ades» segue «la morte» è ovviamente da ricercarsi nel fatto che l’ades riceve i morti.

Nell’Apocalisse, alla fine del millennio, «la morte e l’ades» restituiranno i loro morti (Ap 20:13) e «poi la morte e l’ades saranno gettate nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, lo stagno di fuoco» (Ap 20:14). Questi sono due versetti significativi. Primo perché dicono che l’ades restituirà i suoi abitanti, indicando così di nuovo che l’ades è il regno dei morti. Secondo, informano che alla fine, l’ades stesso sarà gettato nello stagno di fuoco. Attraverso queste immagini, la Bibbia ci rassicura che alla fine, entrambe, la morte e la tomba, saranno eliminate. Questa sarà la morte della morte o, come dice l’Apocalisse, «la morte seconda». Questa breve indagine sul termine ades nel Nuovo Testamento mostra chiaramente che il significato e l’uso sono conformi a quello di sheol nell’Antico Testamento. Entrambi i termini parlano di tomba o del regno dei morti e non del posto di punizione per gli empi.[1]

Il ricco e Lazzaro

La parola ades appare anche nella parabola dell’uomo ricco e Lazzaro, ma con un significato diverso. Mentre nei dieci testi appena esaminati l’ades si riferisce alla tomba o al regno dei morti, nella parabola del ricco e Lazzaro indica il luogo di punizione per gli empi (Lc 16:23).

Il motivo per quest’uso eccezionale sarà spiegato tra poco. Ovviamente i dualisti si rifanno spesso a questa parabola per sostenere la nozione dell’esistenza consapevole delle anime durante lo stato intermedio (Lc 16:19,31). Data l’importanza di questa parabola, è necessario esaminarla da vicino. Per prima cosa, occorre considerare i punti principali dell’episodio. Lazzaro e l’uomo ricco muoiono entrambi. La loro situazione «di vita» dopo la loro morte è ora rovesciata. Alla morte di Lazzaro, questi «fu portato dagli angeli nel seno di Abramo» (Lc 16:22), mentre l’uomo ricco fu condotto nell’ades e tormentato dalle fiamme scottanti (Lc 16:23). Benché un grande abisso li separasse, il ricco poteva vedere Lazzaro nel seno di Abramo. Il ricco prega Abramo di inviare Lazzaro a compiere due favori: il primo, «mandare Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito per rinfrescargli la lingua» (Lc 16:24) e il secondo mandare Lazzaro ad avvisare i membri della sua famiglia di pentirsi affinché non abbiano a sperimentare la sua stessa punizione. Abramo nega entrambe le richieste per due motivi. Il primo, perché c’era un grande vuoto che era impossibile per Lazzaro attraversare e venirgli così, in aiuto (Lc 16:26); il secondo, perché se questi suoi familiari non «ascoltano Mosè e i profeti, non saranno neppure convinti se uno risuscitasse dai morti» (Lc 16:31).

Prima di considerare la parabola, è necessario ricordare che, contrariamente all’allegoria del Pilgrim’s Progress, dove ogni dettaglio conta, quelli di una parabola non hanno necessariamente un significato, se non come «sostegni» al racconto. Una parabola è proposta per insegnare una verità fondamentale, e i dettagli non hanno un significato letterale, a meno che il contesto indichi diversamente. Da questo principio ne deriva un altro: solo l’insegnamento fondamentale di una parabola, confermato dal tenore generale della Scrittura, può esser legittimamente usato per definire una dottrina. Sfortunatamente questi due principi fondamentali sono ignorati da coloro che utilizzano i dettagli di una parabola per sostenere le proprie posizioni.

Per esempio, Robert A. Petersen trae lezioni dalle caratteristiche maggiori della parabola. «1. Come Lazzaro, quelli che Dio aiuta saranno portati dopo la morte alla presenza di Dio… 2. Come l’uomo ricco, gli impenitenti sperimenteranno il giudizio irrevocabile. Anche gli empi sopravvivono alla morte, solo per subire “tormento” e “agonia”… 3. Tramite la Scrittura, Dio rivela se stesso e la sua volontà affinché nessuno di coloro che disubbidiscono possano legittimamente protestare per il loro destino».[2]

Il tentativo di Petersen di trarre tre lezioni dalla parabola ignora il fatto che la lezione principale della parabola è data nell’ultima frase: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti» (Lc 16:31). Quindi, niente e nessuno può soppiantare la potenza della rivelazione che Dio ha dato nella sua Parola convincente. Interpretare la parabola del ricco e Lazzaro come una descrizione del destino futuro per i salvati e per i perduti, significa utilizzare la parabola per lezioni estranee al suo intento originale.

L’interpretazione letterale pone dei problemi

Coloro che interpretano la parabola come una rappresentazione letterale dello stato dei salvati e dei non salvati dopo la morte, si trovano a dover risolvere problemi non indifferenti. Se il racconto costituisse la vera descrizione dello stato intermedio, allora deve essere vero nei fatti e coerente nei dettagli. Se la parabola però è un semplice racconto, allora si tratta di cogliere la verità centrale che ne scaturisce. Un’interpretazione letterale della storia viene però a crollare sotto il peso delle sue stesse assurdità e contraddizioni.

I sostenitori del letteralismo sostengono che il ricco e Lazzaro siano spiriti senza corpo. Eppure il ricco è descritto come una persona che ha «occhi» che vedono, una «lingua» che parla e che cerca sollievo dal «dito» di Lazzaro: tutte parti concrete di un corpo. Essi vengono descritti come individui esistenti fisicamente, malgrado il fatto che il corpo del ricco fosse come di regola seppellito nella tomba. Il suo corpo era forse stato portato nell’ades insieme alla sua anima per sbaglio? Un abisso separa Lazzaro in cielo (seno di Abramo) dal ricco nell’ades. L’abisso è troppo largo per chiunque volesse attraversarlo ma abbastanza stretto per permettere una conversazione. Preso letteralmente significa che il cielo e l’inferno si troverebbero a una distanza geografica tale che permetterà di vedersi e parlarsi; così i santi e i peccatori potranno vedersi e comunicare tra loro per l’eternità. A questo punto, possiamo immaginare le reazioni di quei genitori che dal cielo vedrebbero i propri figli nel tormento dell’ades. Un simile spettacolo non distruggerebbe del tutto la gioia e la pace del cielo? Questa idea è inaccettabile.

Contrasto con altre verità bibliche

Un’interpretazione letterale della parabola contraddice alcune verità bibliche fondamentali. Se la parabola va letta letteralmente, allora Lazzaro ha ricevuto il suo premio e l’uomo ricco la sua punizione, immediatamente dopo la morte e prima del giorno del giudizio. La Bibbia insegna chiaramente che le ricompense e le punizioni, e anche la separazione fra i santi e i reprobi, avverranno nel giorno della venuta di Cristo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… e tutte le genti saranno radunate davanti a lui, ed egli separerà gli uni dagli altri» (Mt 25:31,32). «Ecco, io vengo presto e il mio premio è con me, per rendere a ognuno secondo le opere che egli ha fatto» (Ap 22:12). Paolo si aspettava di ricevere «la corona di giustizia» nel giorno dell’apparizione di Cristo (2 Tm 4:8).

Un’interpretazione letterale della parabola contraddice anche la testimonianza concorde dell’Antico e del Nuovo Testamento che i morti, giusti ed empi, giacciano nel silenzio e nell’incoscienza della morte fino al giorno della risurrezione (cfr. Ec 9:5,6; Gb 14:12,15,20,21; Sal 6:5; 115:17). Un’interpretazione letterale contrasta anche l’uso di ades nel Nuovo Testamento che indica la tomba o il regno dei morti, e non già un luogo di tormento. Si è già precedentemente notato che dieci volte su undici l’ades sia esplicitamente collegato con la morte e la tomba. L’uso eccezionale di ades in questa parabola come luogo di tormento tra le fiamme (Lc 16:24) deriva non già dalla Scrittura, ma da tradizioni popolari giudaiche influenzate dalla mitologia greca.

Concetti popolari giudaici

Fortunatamente, sono giunti fino a noi, scritti giudaici che gettano luce sulla parabola dell’uomo ricco e Lazzaro. Rivelatore è il «discorso ai greci riguardo l’ades» scritto da Giuseppe Flavio, famoso storico giudeo vissuto durante i tempi del Nuovo Testamento (morto intorno all’anno 100). Il suo discorso sembra andare di pari passo con il racconto dell’uomo ricco e Lazzaro. In esso, Giuseppe Flavio spiega che «l’ades è una regione sotterranea dove la luce di questo mondo non splende… Questa regione è prevista come luogo di custodia per le anime e nella quale gli angeli sono posti come guardiani per infligger loro punizioni temporanee, secondo la condotta e il modo di agire di ognuno».[3]

Giuseppe Flavio sostiene inoltre che l’ades sia divisa in due sezioni. Una è «la regione della luce» dove le anime dei morti giusti sono portate dagli angeli al «luogo che chiamiamo seno di Abramo».[4] La seconda regione è nelle «tenebre eterne» e le anime degli empi sono trascinate con forza «dagli angeli loro assegnati per la punizione».[5] Questi angeli trascinano gli empi «nel quartiere dell’inferno stesso», così che possano vedere e sentire il calore delle fiamme.[6] Ma non vengono gettati nell’inferno medesimo fino a dopo il giudizio finale. «Un caos profondo e largo è posto fra di loro, a tal guisa che un uomo giusto, che avesse pietà di loro, non potrebbe varcarlo. Nemmeno un ingiusto, se fosse sfacciato abbastanza da tentarvi».[7]

Le impressionanti similitudini fra la descrizione dell’ades di Giuseppe Flavio e la parabola del ricco Epulone e Lazzaro sono evidenti: nei due racconti abbiamo due regioni che separano i giusti dagli empi, il seno d’Abramo è la dimora dei giusti, c’è un grande abisso che non può essere attraversato e gli abitanti di una regione possono vedere quelli dell’altra.

La descrizione di Giuseppe Flavio dell’ades non è unica. Si trovano descrizioni simili in altri scritti giudaici.[8]

Questo significa che Gesù cita una tradizione popolare del suo tempo circa la condizione dei morti nell’ades e questo non per approvare queste vedute, ma per sottolineare l’importanza di dare ascolto oggi agli insegnamenti di Mosè e dei profeti perché questo fatto può determinare la beatitudine o la miseria nel mondo futuro.

L’uso delle convinzioni comuni da parte di Gesù

A questo punto, potrebbe essere giusto chiedersi: «Perché Gesù ha raccontato una parabola basata su convinzioni che, anche se diffuse, non rappresentavano la verità come viene espressa nella Scrittura?». La risposta potrebbe essere che Gesù desiderava comunicare con la gente ponendosi al loro stesso livello; egli parte da ciò che è per loro familiare per insegnar loro delle verità esistenziali. Molti suoi ascoltatori avevano accolto la dottrina di un’esistenza consapevole fra la morte e la risurrezione, benché tale credenza fosse estranea alla Scrittura. Questa convinzione, pur se erronea, era stata adottata durante il periodo inter-testamentario nel processo di ellenizzazione del giudaismo e al tempo di Gesù era già stabilmente accolta.

In questa parabola Gesù ha utilizzato un racconto popolare, non certo per dargli la sua approvazione quanto piuttosto per imprimere nelle menti dei suoi ascoltatori un’importante lezione spirituale. Merita qui sottolineare che anche nella parabola precedente del fattore infedele (Lc 16:1,12), Gesù si serve di un racconto che non rappresenta l’etica biblica. Da nessuna parte la Bibbia approva l’operato di un amministratore disonesto che dimezzi i debiti arretrati dei creditori per ottenere un beneficio personale. La lezione della parabola può essere un invito a farsi degli amici per se stessi (Lc 16:9) e non certamente a imbrogliare negli affari.

John W. Cooper riconosce che la parabola dell’uomo ricco e di Lazzaro «non dice necessariamente ciò che Gesù o Luca credevano circa la vita ultraterrena, né fornisce una base per la dottrina sullo stato intermedio. Gesù ha usato un’immagine comune semplicemente per comunicare meglio il suo insegnamento etico. Non vuol dire che egli  condividesse questo racconto né che credesse nel suo contenuto».[9]

Cooper pone la domanda: «Che cosa dice questo episodio circa lo stato intermedio?». Risponde nettamente e onestamente in questo modo: «La risposta è niente. La causa dualista non può appoggiarsi a questo brano per sostenere la sua tesi».[10]

La ragione che adduce è questa: non si possono trarre conclusioni dogmatiche da una parabola. Per esempio, Cooper si chiede: «Saremo esseri corporei (nello stato intermedio)? Saranno i beati e i condannati capaci di vedersi?».[11]

Conclusione [12]

Brevemente, questa parabola non insegna la sopravvivenza cosciente dei morti, per le seguenti ragioni:

  1. Quando qualcuno muore il corpo viene sepolto e lì Se l’anima continuasse a vivere, indipendente dal corpo, potrebbe avere occhi (vers. 23) lingua (vers. 24) dita (vers. 24), come si menziona nella parabola?
  2. Secondo il pensiero attuale, le anime che sono nell’inferno non possono comunicare con quelle che stanno in cielo o, come si legge nella parabola, quelle che si trovano nell’ “Ades” con quelle che si trovano nel “seno di Abramo”.
  3. Non si tratta di una descrizione storica bensì di una parabola e le parabole, così come le favole e i racconti, sono illustrazioni che obbediscono a regole particolari di  Ciò che conta non è l’esattezza del dettaglio, bensì l’insegnamento centrale che si desidera trasmettere. Ai “farisei, che erano avari”, come si legge poco prima (vers.14), Gesù insegna che nella vita futura ci sarà un destino differente in accordo con l’attitudine che ognuno avrà sviluppato sulla terra riguardo a Dio e ai beni di questo mondo.
  4. Che Gesù non ipotizzi la possibilità di una vita cosciente dopo la morte, lo si deduce dal suo riferimento alla resurrezione come unica possibilità di comunicare con i vivi:  “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti  risuscitasse” (vers. 31).

Quale insegnamento possiamo trarre?

Nella Parabola del Ricco e Lazzaro, Gesù evidenza che senza la conversione tutte le ricchezze del mondo non servono a nulla per la salvezza. Non si può comprare il Regno dei Cieli. Nei versetti 27-31, Gesù afferma che i Farisei sono ciechi riguardo alla Parola di Dio e talmente impenitenti che «…non crederebbero neanche se alcuno risuscitasse dai morti». E proprio questo avvenne poco tempo dopo, quando Lazzaro, fratello di Marta, risorse (Gv cap. 11). Questo miracolo irritò in modo tale i farisei, che decisero di far morire Gesù e anche Lazzaro (Gv 11: 52; 12:10). E cosa cambiò nella loro vita, dopo la resurrezione dello stesso Cristo? Con menzogne cercarono di nascondere la verità (Mt 28: 11-25).

«Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse» (Luca 16:31). In altre parole, gli israeliti avevano tutto quanto era loro utile per ravvedersi, avevano la Parola di Dio annunciata da Mosè e dai profeti. I segni, le opere potenti e perfino la risurrezione di una persona, non conducono alla conversione coloro che sono avvezzi nei piaceri e nella loro opposizione a Dio.

In breve, in questa parabola Gesù ha utilizzato un racconto popolare, non certo per dargli la sua approvazione quanto piuttosto per imprimere nelle menti dei suoi ascoltatori un’importante lezione spirituale.

Nota:

Questo studio è stato tratto dal libro “Immortalità o Risurrezione?, di Samuele Bacchiocchi, teologo, della Andrews University, Michigan, U.S.A., ed. AdV, Impruneta, (FI).

[1] K. HANHART giunge sostanzialmente alla stessa conclusione nella sua tesi di laurea presentata all’Università di Amsterdam. Ella scrive: «Giungiamo alla conclusione che questi passaggi non fanno piena luce sulla questione che stiamo trattando (lo stato intermedio). Nel senso di potere della morte, regno degli abissi e luogo nel quale si manifestano un’umiliazione assoluta e il giudizio, il termine ades non va oltre il significato che ha Sheol nell’Antico Testamento» (K. Hanhart, The Intermediate State in the New Testament, Doctoral dissertation, University of Amsterdam, 1966, p. 35).

[2] R.A. PETERSON, Op. cit., p. 67.

[3] F. JOSEPHUS, Discourse to the Greeks Concerning Hades, in Complete Works, (trad. da W. Whiston) Grand Rapids, 1974, p. 637.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Per un breve sunto della letteratura intertestamentaria sulla condizione dei defunti nell’ades cfr. K. HANHART, Op. cit., pp. 18-31.

[9] J.W. COOPER, Op. cit., p. 139

[10] Ibidem

[11] Ibidem

[12] Di Francesco Zenzale, Pastore emerito della Chiesa Avventista del 7° giorno