«Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno» (Colossesi 4:6)
Scrive, P. Giuseppe Piccinno, «La storia della domenica cristiana nel periodo che va dal «giorno della risurrezione di Cristo» fino a Costantino ci dice che la domenica non era giorno di riposo ufficiale. I cristiani lavoravano di domenica […] Durante questo tempo gli interventi dei Padri vogliono dimostrare solo la preminenza della domenica rispetto al sabato sulla base della Sacra Scrittura, anche se non si può far valere una inconfondibile prescrizione di Gesù o degli apostoli di festeggiare la domenica al posto del sabato […] Dalla legge di Costantino in poi, che dichiarò la domenica giorno di riposo ufficiale nell’Impero, si assiste nella Chiesa cristiana alla trasformazione della domenica in sabato cristiano, conservando, man mano sempre più, di esso tutto ciò che riguardava il suo senso legalista e negativo, tralasciando il suo contenuto teologico e spirituale. Per influsso della legislazione ufficiale sulla domenica, in epoca post-costantiniana, questa viene a sostituire il sabato, anzi è più opportuno dire che la domenica, erede del sabato, diventa «il sabato cristiano».[1]
P. Raniero Cantalamessa, sostiene che «Quando Giovanni scrive il suo Vangelo vede già nelle due apparizioni di Cristo agli apostoli “il primo giorno della settimana”, e poi di nuovo “otto giorni dopo”, il prototipo dell’assemblea liturgica dei cristiani»[2], ma «nell’insegnamento di Gesù non si trova nessun accenno al fatto che la domenica dovrà assumere la santità del sabato oppure sostituirlo».[3]
Il Nuovo Testamento non solo non offre alcun elemento per dire che i primi Cristiani trasgredissero il sabato, ma non attribuisce nessun significato al primo giorno della settimana. Si hanno pochi riferimenti, negli evangeli, attinenti alla domenica. Quattro hanno a che fare con le visite alla tomba di Gesù all’alba del giorno della sua risurrezione (Mt 28:1; Mc 16:2; Lc 24:1; Gv 20:1). Il contesto di uno di essi, Lc 24:1, suggerisce che le donne visitarono la tomba il primo giorno della settimana proprio perché tale giorno non era considerato sacro.
1) Gesù non ha fatto di sabato molte azioni che violavano il sabato mostrando così che non siamo più tenuti ad osservarlo?
Alcuni fanno confusione a proposito della posizione di Gesù riguardo al sabato perché egli combatté contro il modo di osservarlo che avevano i farisei (e gli Esseni). Confondono cioè la polemica contro il loro modo sbagliato di concepire il sabato come se fosse polemica contro il sabato in sé. Ma questo non ha senso. La differenza fondamentale fra Gesù e i suoi oppositori è che egli scelse di vivere il sabato liberandolo dai pesi della tradizione farisaica e non biblica (si trasgrediva il sabato anche sporgendo la mano fuori dalla finestra per dare l’elemosina a un mendicante) riempiendolo di vita e gioia attraverso i suoi miracoli, cosa che i farisei non accettavano perché, per loro, si doveva soccorrere un malato di sabato solo se era in pericolo immediato di vita. Ma il sabato in quanto tale non è messo in discussione da nessuno dei contendenti. Leggiamo alcuni testi.
Matteo 12:1-14: «In quel tempo Gesù attraversò di sabato dei campi di grano; e i suoi discepoli ebbero fame e si misero a strappare delle spighe e a mangiare. I farisei, veduto ciò, gli dissero: “Vedi! i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato”. Ma egli rispose loro: “Non avete letto quello che fece Davide, quando ebbe fame, egli insieme a coloro che erano con lui?Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti?O non avete letto nella legge che ogni sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e non ne sono colpevoli?Ora io vi dico che c’è qui qualcosa di più grande del tempio. Se sapeste che cosa significa: ‘Voglio misericordia e non sacrificio’, non avreste condannato gli innocenti; perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”.
Poi se ne andò, e giunse nella loro sinagoga dove c’era un uomo che aveva una mano paralizzata. Allora essi, per poterlo accusare, fecero a Gesù questa domanda: “É lecito far guarigioni in giorno di sabato?” Ed egli disse loro: “Chi è colui tra di voi che, avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prenda e la tiri fuori?Certo un uomo vale molto più di una pecora! É dunque lecito far del bene in giorno di sabato”. Allora disse a quell’uomo: “Stendi la tua mano”. Ed egli la stese, e la mano divenne sana come l’altra. I farisei, usciti, tennero consiglio contro di lui, per farlo morire.»
Ponendo la questione in termini pratici, possiamo dire che secondo la Bibbia i discepoli di Gesù non avrebbero dovuto svellere le spighe? Se la risposta è positiva, allora diamo ragione ai Farisei e affermiamo che Gesù trasgrediva la legge sul sabato. Se la risposta è no, allora riconosciamo che i farisei avevano torto e che Gesù non stava trasgredendo il sabato biblico: Gesù stava condannando, come abbiamo detto, la tradizione dei farisei e stava riportando il sabato al suo vero significato. Allo stesso modo possiamo chiederci: Era contro la legge di Dio sul sabato ridare gioia e vitalità al paralitico? Ancora una volta, se facessimo nostra l’idea che Gesù stava trasgredendo la legge biblica, ci assoceremmo proprio alla posizione farisaica, cosa che certamente non desideriamo fare. Gesù stava solo recuperando il sabato come segno del Dio creatore buono e misericordioso che crea un mondo perfetto. Non annulla il sabato ma lo onora come giorno di grazia, amore e vita. Per questo lo riempie di guarigione, che è restaurazione del mondo perfetto creato da Dio.
Qualcuno potrebbe dire che l’esempio tratto dall’esperienza di Davide e dei sacerdoti che lavorano il sabato mostra che Gesù incoraggia a trasgredire la legge e il sabato. In realtà, Gesù sta facendo proprio il contrario. Quello che i sacerdoti fanno il sabato è comandato dalla legge, non contro di essa. Così, quello che Gesù insegna è che, se comprendiamo veramente la legge di Dio, comprenderemo che il sabato non era solo un giorno per non fare nulla, ma un giorno da vivere onorando Dio e amando il prossimo. Durante il sabato, i sacerdoti dovevano offrire dei sacrifici ancora più numerosi che negli altri giorni (Numeri 28:9,10), proprio per mostrare che nel sabato Dio metteva una maggiore grazia, un maggiore amore e una benedizione più grande. Allo stesso modo, anche noi dobbiamo riempire il sabato di gesti di amore, perché l’amore è il fondamento di tutta la legge (Matteo 7:12; 22:37-40; Galati 5:14), come ci mostra anche il caso di Davide ai quali i sacerdoti offrono il pane dedicato a Dio in un momento in cui rischiava di morire. Ancora una volta, Gesù non stava mettendo in discussione il sabato ma un modo legalistico e formale di capirlo e viverlo.
Un altro testo evangelico in cui si pone il problema del sabato è Giovanni 5:18: «Per questo i Giudei più che mai cercavano d’ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.» Per comprendere il significato dell’espressione «violava il sabato» dobbiamo ricordare, ancora una volta, che sabato significa «riposo». Di conseguenza ogni attività, anche lecita, viola il riposo in quanto tale: i sacerdoti lo facevano ogni sabato, ma il fatto che violavano il «riposo» non significa che violassero il comandamento di Dio sul giorno del riposo. Gesù aveva «violato» il sabato per avere mostrato l’amore di Dio verso un uomo infermo da 38 anni (vedi i vv. 5 e seguenti), non per essere andato in giro a fare i propri affari materiali ma per amare e servire il suo prossimo con un atto di fede che si realizza senza neppure fare nulla di fisico se non quello di dire: «Alzati, prendi il tuo lettuccio [una semplice stuoia, probabilmente], e cammina.»[1] Come lui stesso ci insegna: «È lecito fare del bene in giorno di sabato» (Matteo 12:12) e a questo ci atteniamo. Nota: Gesù non dice che il bene si può fare di sabato perché il sabato non esiste più, ma che lo si fa di sabato come atto conforme alla natura del giorno.
2) È vero che a domenica deve essere osservata perché Cristo risorse dai morti quel giorno?
Onorare Gesù è un dovere e un privilegio assoluto. Bisogna però chiederci se come cristiani possiamo onorarlo cambiando i suoi comandamenti o osservandoli. Gesù diede la sua vita per offrirci il perdono dei nostri peccati, peccati che nascono dalla nostra trasgressione della legge (1 Giovanni 3:4: «Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge.»). Di conseguenza, se amiamo Gesù, non amiamo il peccato ma desideriamo osservare la legge di Dio.
Probabilmente Gesù risorse di domenica per puro caso, perché quell’anno la pasqua cadeva di sabato e Gesù doveva morire come agnello pasquale il pomeriggio del venerdì. Se Gesù fosse morto un altro anno, forse sarebbe risuscitato di lunedì o di giovedì. Non era tanto il giorno della risurrezione che era importante ma quello della morte e questo aveva senso in rapporto al ciclo annuale delle feste ebraiche, non sulla base di quello settimanale. Tuttavia, volendo considerare la morte e la risurrezione di Gesù nella prospettiva del ciclo settimanale, a quali conclusioni dovremmo giungere? I fatti sono i seguenti: Gesù morì di venerdì, si riposò il sabato nella tomba, e risuscitò a una nuova vita il primo giorno della settimana per «lavorare» di nuovo. Gesù osservò il sabato anche nella sua morte. Se questo è vero, non dovremmo noi stessi onorare la sua morte osservando anche noi il sabato? Il fatto è che i cristiani attuali non osservano più la pasqua come fece Gesù. Nella Bibbia la pasqua è centrata sul sacrificio dell’agnello, e si festeggia la sera del giorno in cui il sacrificio è avvenuto. Nel caso di Gesù, la pasqua era la sera del venerdì in cui Gesù morì sulla croce, e corrispondeva, quel particolare anno, al giorno di sabato. Se si volesse veramente onorare la pasqua di Gesù valorizzando il ciclo settimanale, dovremmo allora farlo proprio di sabato e non di domenica. La pasqua attuale sempre di domenica nasce in seguito ad una polemica antigiudaica e per favorire la base dell’osservanza della domenica in opposizione a quella del sabato. Essa sposta l’enfasi dal sacrificio della morte di Gesù che implica un elemento di tristezza, alla sua resurrezione vista come motivo di gioia. Una tale celebrazione corrisponde meglio ai desideri dell’uomo ma non a quelli di Dio.
Se molti cristiani osservano oggi la domenica, non è per motive biblici ma solo per una tradizione stabilita dagli uomini. È nella storia della chiesa posteriore alla morte degli apostoli che troviamo le ragioni dell’osservanza della domenica, non nella Parola di Dio. Se vogliamo onorare la risurrezione, e lo merita certamente, dobbiamo farlo non abolendo arbitrariamente il sabato ma lasciando che Gesù possa aiutarci a vivere una vita di ubbidienza, testimonianza e servizio, elementi che debbono caratterizzare la vita nuova che abbiamo grazie al suo sacrificio.
3) Dopo la morte di Gesù, il primo giorno della settimana non ricevette forse una nuova enfasi?
Questo non è vero. Quello che il Nuovo Testamento insegna è che quando Gesù risorse era il giorno dopo il sabato, quindi il primo giorno della settimana. Se troviamo menzionato questo giorno è solo perché accadde che Gesù risuscitò e apparve ai suoi discepoli in quel giorno. Ma il fatto è menzionato senza nessuna enfasi, senza nessuna sottolineatura. Ciò che viene enfatizzato è che Gesù risorse proprio il terzo giorno dalla sua morte, come aveva profetizzato. È la risurrezione enfatizzata, non il giorno. Quel primo giorno non è mai chiamato «il giorno della risurrezione» o «il giorno santo» o «il giorno della salvezza» ecc. È soltanto il primo giorno della settimana, e questo è tutto.
4) I primi cristiani s’incontravano di domenica. Questo non dovrebbe provare che la domenica aveva occupato il posto del sabato?
Abbiamo solo due occasioni in cui troviamo i discepoli che s’incontrano nel primo giorno della settimana.
Il primo è in Giovanni 20:19: «La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: “Pace a voi!”». Dal testo biblico si evince chiaramente che i discepoli erano riuniti non per motivo di culto, ma «a porte serrate, per paura dei giudei» e pertanto non troviamo cenno alcuno che possa far credere ad una celebrazione liturgica relativa alla risurrezione. Infatti, essi non credevano ancora alla risurrezione del loro Maestro. Al v. 26, otto giorni dopo, troviamo ancora l’indicazione del motivo dell’incontro: “a porte chiuse”, sempre per timore dei giudei e il testo non riporta formulazioni liturgiche. Il motivo per cui Gesù apparve fu per rassicurare i discepoli, la prima volta, e dare prova, della risurrezione a Tommaso, la seconda volta.
1 Corinzi 15.4-8 indica che le apparizioni avvennero a persone, in luoghi e tempi diversi: “…che fu sepolto e risuscitò a il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e poi ai dodici. In seguito apparve in una sola volta a più di cinquecento fratelli, la maggior parte dei quali è ancora in vita, mentre alcuni dormono già. Successivamente apparve a Giacomo e poi a tutti gli apostoli insieme. Infine, ultimo di tutti, apparve anche a me come all’aborto;…”.
Non è possibile dunque ricercare nella periodicità delle apparizioni conferma del cambiamento dal Sabato alla Domenica, perché i testi in se non lo permettono. Al contrario, Gesù durante i quaranta giorni successivi alla risurrezione, non ha rilasciato agli apostoli nessuna dichiarazione a proposito dell’osservanza del primo giorno della settimana in ricordo della sua risurrezione.
Inoltre, da un attento studio delle Sacre Scritture si evince piuttosto che la risurrezione in se stessa presupponga lavoro piuttosto che riposo, almeno per due ragioni. «Primo, perché non segna la conclusione della missione terrena di Cristo, che si concluse il venerdì pomeriggio quando il Salvatore disse: «È compiuto» (Gv 19: 30), e poi si riposò durante il sabato nella tomba, ma è piuttosto l’inaugurazione del nuovo ministero di Cristo. Come il primo giorno della creazione così anche il primo giorno del muovo ministero presuppone lavoro più che riposo. Secondo, le stesse parole dette dal Signore risorto contengono ordini non nel senso di «appartatevi e celebrate la mia risurrezione», ma piuttosto «andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea (Mt 28: 10; cfr. Mc 16: 7). «Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli …» (Mt 28: 19). «Va’ dai miei fratelli» (Gv 20: 17). «Pastura le mie pecorelle» (Gv 21: 17)».[4]
Il secondo incontro è narrato in Atti 20:6-11: «Trascorsi i giorni degli Azzimi, partimmo da Filippi e, dopo cinque giorni, li raggiungemmo a Troas, dove ci trattenemmo sette giorni. Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte. Nella sala di sopra, dov’eravamo riuniti, c’erano molte lampade; un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un sonno profondo, poiché Paolo tirava in lungo il suo dire; egli, sopraffatto dal sonno, precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto morto. Ma Paolo scese, si gettò su di lui, e, abbracciatolo, disse: «Non vi turbate, perché è ancora in vita». Poi risalì, spezzò il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all’alba, partì.»
Già ad un primo sguardo si capisce che non ci si trova di fronte ad una riunione normale: se si incontrarono il primo giorno, questo avvenne perché l’indomani Paolo doveva partire: se si fosse trattato di una riunione abituale non sarebbe stato necessario specificarne il motivo. Ma dobbiamo andare oltre questa osservazione iniziale e notare che quest’incontro, avvenuto nell’arco del primo giorno della settimana, era un incontro serale. Secondo il modo biblico e il costume ebraico, i giorni cominciano al tramonto e finiscono al tramonto successivo (cf. Levitico 23:32; Neemia 13:19). Il Vangelo di Luca e il libro degli Atti sono un’unica opera in due tempi: entrambi hanno lo stesso autore e sono dedicati alla stessa persona (Luca 1:1-3; Atti:1:1). Possiamo aspettarci che Luca usi in entrambi i libri lo stesso metodo per contare i giorni. In Luca 23:44 ci dice che Gesù morì verso l’ora nona del giorno, cioè verso le tre del pomeriggio (Cf. Matteo 24:46; Marco 15:33,34) contando in un giorno dodici ore. Concediamo qualche ora perché Giuseppe potesse andare da Pilato e tornare con il suo permesso a ricevere il corpo di Gesù, un po’ di tempo perché i soldati potessero compiere il loro triste lavoro, e un poco ancora perché gli amici potessero portare la salma nella tomba.
Tutto questo permette a Luca di dire, al v. 54, che «stava per cominciare il sabato»: siamo alla fine del giorno, verso il tramonto, e un nuovo giorno sta per cominciare. Secondo questo modo di calcolare la fine e l’inizio del giorno, l’incontro serale di Troas può, deve essere avvenuto nella prima parte del primo giorno, cioè quella che comincia al tramonto del sabato. Quello che deve essere accaduto è che Paolo aveva trascorso tutta la settimana precedente a Troas insieme ai fratelli (v. 6) aspettando il sabato per l’incontro collettivo di tutta la comunità, un incontro che avrebbe permesso di parlare con tutti con un certo agio senza la preoccupazione delle tante cose da fare per vivere. Poiché l’apostolo deve partire il giorno dopo, i fratelli decidono di prolungare l’incontro sabbatico oltre il tramonto ed entrano così nel primo giorno della settimana. Tante cose accadono durante questa riunione notturna che si prolunga fino all’alba quando l’apostolo finalmente parte. Si tratta quindi di un incontro che straordinariamente prolunga l’incontro normale del sabato. Lo schema seguente chiarisce la situazione: ogni giorno comincia con la parte notturna alla quale segue la parte diurna:
Riunione comunitaria | Paolo parte | ||||
Venerdì – Sesto giorno | Sabato – Settimo giorno | Domenica – Primo giorno |
Al riguardo scrive A. Vaucher: “Se, come pensa Bonnet, Luca aveva adottato la computazione romana, la riunione avrebbe avuto luogo nella notte dalla domenica al lunedì. Eccellenti commentatori (Conybeare e Howson, per esempio) credono piuttosto che il redattore degli Atti ha seguito l’uso giudaico e che, di conseguenza, la riunione ha avuto luogo nella notte dal sabato alla domenica. In qualsiasi caso occorre ricordare che i primi cristiani rompevano il pane tutti i giorni della settimana indifferentemente (At 2: 46) e che la riunione menzionata negli Atti è stata occasionale”.[5] “Luca, probabilmente, ha fissato questa data alla maniera giudaica: il primo giorno della settimana cominciò la sera, e nella notte che seguì il sabato, tra la notte del sabato e il mattino della domenica, ebbe luogo l’avvenimento che racconta”.[6]
Che Luca abbia utilizzato il calendario giudaico è dimostrato nel suo evangelo quando riporta la sepoltura di Cristo (Lc 23: 54), così anche negli atti degli apostoli. Egli precisa per esempio che Erode arresta Pietro «il giorno degli azzimi» e che Egli ha l’intenzione di «farlo comparire davanti al popolo dopo la festa della Pasqua» (At 12: 3) Il rapporto che lui stesso fa nel lasciare i filippesi con Paolo sottolinea che ciò è avvenuto dopo l’ultimo giorno della festa degli azzimi (At 20: 6; cf Lc 22: 1-7). Egli non esista ad evidenziare spesso fino a che punto Paolo rispettava i costumi giudei (At 16, 1-3; 18,18; 29, 16; 21,24). Egli dice, per esempio, che Paolo «egli si affrettava per trovarsi a Gerusalemme, se gli fosse stato possibile, il giorno della Pentecoste» (At 20; 16). Possiamo aggiungere le frequenti riunioni dell’apostolo Paolo con i giudei in giorno di Sabato (At 18, 4; 17; 2; 16; 13; 15, 21, 13, 14-44). Ciò indica che Luca si serviva del calendario giudaico utilizzandolo frequentemente.
Ammettendo che Luca avesse adottato il calendario romano, ciò significa che i credenti si sono riuniti la domenica sera, e che «la frazione del pane», parte essenziale del culto domenicale, ha avuto luogo dopo mezzanotte, dunque il lunedì (At 20: 7, 11). Pertanto la celebrazione della «cena del Signore» non apporta nessun argomento a favore della domenica come giorno di riposo.
Il terzo e che il Nuovo Testamento non offre alcuna indicazione su un giorno preciso per celebrare la cena del Signore. At 2, 42-46, per esempio, descrive che la frazione del pane avveniva tutti i giorni.
L’insieme di tutti i dati raccolti indicano che si tratta di una assemblea particolare e non di un abitudinario culto domenicale. Il modo migliore per capire il testo è che Luca precisa il giorno, non perché è domenica, ma perché Paolo «doveva partire» (At 20, 7), a causa dell’incidente straordinario di Eutico e del miracolo ed infine, perché ciò fornisce particolari aggiuntivi dei viaggi di Paolo, dove Luca inserisce i fatti più salienti.
Infatti la sessione 20, 5- 21-18, è ricchissima di dettagli (sbarchi, imbarchi, tappe con indicazione dei giorni, incontri con comunità, ecc.), ci fa seguire Paolo da Filippi a triade (20, 5s.), da Triade a Mileto (vv 13ss.), da Mileto a Tiro (21, 1ss.), da Tiro a Gerusalemme (vv. 7-16.) per Tolemaide (v.7) e Cesarea, dove la comitiva è ospite del diacono Filippo (v. 8 s.).
5) Visto che nella chiesa di Corinto c’era l’abitudine di raccogliere le offerte nel primo giorno della settimana, non dobbiamo dedurne che la domenica era diventata il giorno d’incontro dei cristiani?
Il testo usato per giungere a questa conclusione è 1 Corinzi 16:1-4: «Quanto poi alla colletta per i santi, come ho ordinato alle chiese di Galazia, così fate anche voi. Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà secondo la prosperità concessagli, affinché, quando verrò, non ci siano più collette da fare. E le persone che avrete scelte, quando sarò giunto, io le manderò con delle lettere a portare la vostra liberalità a Gerusalemme; e se converrà che ci vada anch’io, essi verranno con me.»
Come si vede facilmente, il testo non parla di alcuna riunione di chiesa. La stessa colletta delle offerte di cui si parla non è una colletta abituale della chiesa e non avviene in chiesa. Quello che i fratelli sono invitati a fare nel primo giorno della settimana è di mettere da parte, ciascuno a casa propria, quello che hanno pensato di destinare ai fratelli poveri di Gerusalemme. Alla fine di un certo periodo, qualcuno avrebbe raccolto le somme messe da parte e le avrebbe portate a Gerusalemme.
Quello che ci dobbiamo chiedere è perché Paolo chiede ai fratelli di mettere da parte la loro offerta, a casa propria, proprio il primo giorno della settimana. Perché non chiede di portarle subito in chiesa? Le risposte possono essere diverse. La più convincente mi sembra che sia quella che tiene conto dell’antico modo giudaico di osservare il sabato. I primi cristiani, di origine giudaica, tendevano ad osservare il sabato secondo la tradizione paterna che proibiva di usare denaro durante il sabato, quindi anche nelle riunioni di chiesa. È quindi lecito pensare che durante l’incontro comunitario sabbatico, quando ci si ricordava delle benedizioni ricevute da Dio, i credenti fossero anche invitati a pensare alle necessità dei fratelli più poveri. Ma era dopo il sabato, quando rientravano a casa, nel primo giorno della settimana che attuavano i loro propositi mettendo da parte per loro quello che avevano già deciso nel loro cuore. In questa prospettiva, la richiesta dell’Apostolo presuppone non l’abitudine di osservare la domenica ma quella opposta di osservare il sabato.
Possiamo evidenziare quattro aspetti fondamentali: l’offerta doveva esser fatta periodicamente («il primo giorno di ogni settimana»), personalmente («ciascuno di voi»), in privato («a casa») e proporzionalmente («secondo la prosperità concessagli»). Alla stessa comunità e in un’altra occasione l’apostolo, Paolo ribadisce i medesimi insegnamenti con le seguenti parole: «Perciò ho ritenuto necessario esortare i fratelli a venire da voi prima di me e preparare la vostra già promessa offerta, affinché essa sia pronta come offerta di generosità e non d’avarizia» (2Corinzi 9: 5). Con queste parole Paolo desidera evitare l’imbarazzo di coloro che ricevevano l’offerta come anche quella dei donatori. Quest’ultimi dovevano essere pronti (2 Corinzi 9: 4).
Pertanto, il primo giorno della settimana per Paolo aveva un significato pratico e non teologico. Aspettare la fine della settimana o del mese per mettere da parte la propria offerta non è conforme al principio della generosità sistematica, poiché si rischia di trovarsi con le tasche vuote. Diversamente, se ogni primo giorno della settimana si mette da parte quello che si vuole donare, il rimanente sarà diviso in funzione delle proprie necessità. Paolo raccomanda ai credenti di stabilire l’offerta il primo giorno della settimana, giusto dopo il sabato, prima delle priorità personali, che il qualche modo avrebbero intaccato l’offerta per i poveri di Gerusalemme. Pertanto il testo propone un modo di fare efficace affinché i bisogni dei poveri e/o della comunità siano soddisfatti.
Olshausen, nel suo commentario sul Nuovo Testamento, citato da Gerber[7] scrive: “Non si può assolutamente concludere da questo passo che la domenica si facessero delle collette nelle assemblee della chiesa, perché l’idea è che ciascuno metta da parte a casa sua il denaro in questione”.
6) Paolo rimproverò i Galati di osservare «giorni, mesi, stagioni e anni». Non significa che li rimproverava anche di osservare il sabato?
Se questa obiezione fosse giusta per il sabato, lo sarebbe anche per la domenica o per qualsiasi altro giorno. Il testo completo è il seguente: «Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni! Io temo di essermi affaticato invano per voi» (Galati 4:10,11). È chiaro che Paolo vede con preoccupazione l’osservanza di queste ricorrenze, quasi un rifiuto della fede cristiana. Perché? Una cosa è certa: non si trattava di feste giudaiche o derivanti dall’Antico Testamento. Possiamo affermarlo sulla base di almeno due motivi: 1) La lista delle ricorrenze non corrisponde alle festività dell’Antico Testamento. Nella Scrittura troviamo il sabato del settimo giorno, la ricorrenza mensile del novilunio, le feste annuali come la pasqua o la pentecoste, e gli anni sabbatici. Ma non c’è nulla che possa corrispondere a ricorrenze stagionali. 2) Il secondo motivo è ancora più importante. Paolo dice che, con queste loro osservanze, i Galati stavano ritornando a delle loro vecchie abitudini (v. 9: «come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete rendervi schiavi di nuovo?»). Dobbiamo ora notare che i Galati ai quali l’apostolo Scrive non sono Giudei. Sono invece degli ex pagani (v. 8: «In quel tempo, è vero, non avendo conoscenza di Dio, avete servito quelli che per natura non sono dèi») e non possono ritornare a festività ebraiche che non fanno parte della loro storia. Osservando ad osservare «giorni, mesi, stagioni ed anni» stanno quindi tornando a qualcosa relativa alla loro vecchia religione pagana, a qualcosa relativo ai loro antichi falsi dèi.
Che relazione può esserci tra questi «giorni, mesi, stagioni ed anni» e gli dèi pagani? La sola possibile risposta crediamo che possa essere trovata nelle superstizioni astrologiche secondo le quali il sole, la luna, i pianeti e le stelle erano divinità che influenzavano la vita degli uomini con i loro movimenti e cicli giornalieri, mensili, stagionali e annuali. Come molti moderni cristiani, anche i Galati dicevano di credere in Dio ma accettavano anche la superstizione astrologica: così facendo stavano però abbandonando l’assoluta signoria di Gesù onorando falsi dèi e sottomettendo loro la loro vita. Di questo sta parlando Paolo, non del sabato o della domenica.
7) Non dice Paolo che la scelta di un giorno di culto deve essere lasciato alla scelta personale? Di conseguenza non siamo più obbligati ad osservare tutti il sabato e possiamo scegliere la domenica o qualsiasi altro giorno, se così ci pare.
Il testo cui questa obiezione si riferisce è quello di Romani 14:5-13: «Uno stima un giorno più di un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio. Nessuno di noi infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; … Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un’occasione di caduta.»
Notiamo innanzitutto che Paolo non specifica di che tipo di giorni sta parlando. Dire che si riferisce al giorno di incontro comunitario è una supposizione che non può essere provata in nessun modo. Abbiamo invece qualche buon motivo per negarla.
A) Se il problema fosse stato quello del giorno d’incontro comunitario, e se ognuno avesse avuto la possibilità di decidere per conto proprio in quale giorno incontrarsi, la comunità sarebbe stata ridotta a pezzi: avremmo avuto la chiesa del sabato, quella della domenica, del lunedì … Questa interpretazione distruggerebbe non solo il sabato ma anche l’idea di dedicare un qualsiasi altro giorno all’incontro della comunità. Nessuna comunità avrebbe l’autorità di fissare un giorno di incontro comune. Possiamo pensare che fosse questo l’obiettivo di Paolo, proprio di lui che così tanto teneva all’unità dei fratelli? Cosa ne sarebbe stato dell’esortazione a «non abbandonare la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare» (Ebrei 10:25). Dobbiamo evidentemente trovare qualche altra spiegazione.
B) Leggendo il nostro testo notiamo che il problema dei giorni si accompagna al problema del mangiare o meno certi cibi. Non è detto che i due problemi siano necessariamente correlati, anzi non lo sono certamente in modo diretto perché uno può mangiare o non mangiare qualche cibo indipendentemente dai giorni. Potrebbe però accadere che i due problemi nascano da uno stesso tipo di preoccupazioni, di sensibilità, e che Paolo ne discuta insieme perché l’idea dell’uno richiama in qualche modo quella dell’altro.
Come collegare l’aspetto del mangiare a quello dei giorni? Nella cultura cattolica, per fare un esempio, c’è la tradizione di non mangiare carne il venerdì, ma una tale tradizione non esiste nella cultura ebraica o biblica. Esiste però la tradizione di dedicare alcuni giorni specifici al digiuno. Il profeta Zaccaria menziona il digiuno del 4°, 5°, 7° e 10° mese (Zaccaria 7:1-5; 8:19). Nello stesso Nuovo Testamento ascoltiamo il fariseo che orgogliosamente si vantava: «Io digiuno due volte la settimana» (Luca 18:12). La tradizione imponeva che si digiunasse il lunedì e il giovedì, ma si trattava di un’esperienza privata, non comunitaria. Come abbiamo già sottolineato più volte, nelle prime comunità cristiane c’era una forte componente giudaica e possiamo immaginare, dato l’atteggiamento di molti di loro, che qualcuno volesse imporre anche ai credenti di origine gentilizia questa loro tradizione. Non trattandosi di una questione sorta sulla base di un comandamento, e trattandosi di una realtà da vivere privatamente, senza che influenzasse direttamente l’esperienza comunitaria, l’apostolo può ragionevolmente invitare alla tolleranza e alla reciproca accettazione: ognuno digiuni quando vuole e mangi quando vuole purché in ogni cosa renda grazie a Dio. Il giorno del riposo e dell’incontro comunitario non rientra nell’ambito della discussione.
In breve, Paolo non vuole farci intendere che il sabato, in fondo, è un giorno uguale a qualsiasi altro e che l’osservanza di un giorno di riposo è facoltativo; oppure arrivare “alla conclusione di ritenere l’osservanza della domenica, come giorno divinamente istituito, ma tale risultato non è compatibile con la spiritualità cristiana così come la comprendeva Paolo. Il contesto non permette una tale conclusione… Il credente divenendo uomo spirituale, non sfugge alle sue condizioni dell’esistenza terrena; egli resta uomo, e dato che un giorno di riposo su sette è stato istituito al momento della creazione in favore dell’umanità, non si vede perché il fedele non dovrebbe usare questo riposo periodico… «Il sabato è stato fatto per l’uomo», questa parola di Gesù non finirà di applicarsi al credente fino a quando egli non smetterà di vivere…”.[8]
8) Paolo insegna che nessuno ha il diritto di giudicare altri «rispetto a feste, a noviluni, a sabati». Essi sono solo un’ombra di Cristo e non hanno più significato per i cristiani. Non elimina questo il dovere di osservare il sabato?
Paolo non dice che queste feste non servono più a niente per i cristiani. Leggiamo il testo intero che si trova in 2:16,17: «Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo.»
Notiamo che questo è il solo testo biblico usato contro l’osservanza che almeno contiene un riferimento esplicito a tale giorno. Ma anche se il testo menziona il sabato, se lo consideriamo senza pregiudizi vedremo che non dice niente contro di esso.
Cosa significa, «Nessuno dunque vi giudichi» riguardo alla nostra discussione sul sabato? Per amore di dialogo avanziamo tre ipotesi:
A) Nessuno vi giudici se osservate o non osservate il sabato.
B) Nessuno vi giudichi sulle ragioni per cui osservate il sabato.
C) Nessuno vi giudici su come osservate il sabato.
A) La prima ipotesi mi sembra che debba essere esclusa per i motivi considerati al paragrafo precedente. L’abbandono eventuale del sabato senza sostituirlo con un altro giorno condiviso da tutti – cosa che Paolo non sta facendo – creerebbe le basi per la disgregazione della comunità.[2] Ci troveremmo inoltre di fronte all’abbandono di un comandamento di Dio, cosa che contraddirebbe il rispetto profondo che Paolo mostra di avere verso la legge di Dio come abbiamo visto precedentemente. La componente giudaica, non accetterebbe comunque una tale eventualità senza discuterne.
Coloro che pensano che Paolo stia sostenendo l’abolizione del comandamento del sabato sono generalmente influenzati da una comprensione errata del v. 14 in cui si dice che Gesù, con la sua morte, «ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce». Essi pensano che se, per Paolo, Gesù ha tolto di mezzo la legge inchiodandola alla croce, allora anche il quarto comandamento sul sabato è stato abolito.
In realtà, Paolo non sta affatto dicendo quello che gli si fa dire. Non era la legge di Dio ad esserci «ostile». Altrove, addirittura, Paolo dice che «la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono» (Romani 7:12). Il «documento» inchiodato alla croce non è la legge di Dio, ma la condanna che deriva dalla sua trasgressione. La parola greca usata per «documento» è cheirografon che, ora si sa, indica un documento indicante un debito contratto e da restituire. I nostri peccati sono come dei debiti (Matteo 6:12: «rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori») che ci troviamo nell’impossibilità di pagare. Gesù lo ha fatto morendo per noi e così con lui, sulla croce, è stato inchiodato e distrutto il nostro debito, la prova della nostra colpevolezza. Comprendendo questo, non c’è alcun motivo per pensare che Paolo incoraggi a disubbidire alla legge di Dio o a mettere da parte il sabato.
B) Dobbiamo escludere la seconda ipotesi perché, nella prospettiva cristiana, è importante conoscere le giuste motivazioni per cui qualcosa va fatta o no. Paolo rifiuterebbe con decisione, come un tradimento delle fede cristiana, il fatto di osservare il sabato come strumento di autosalvezza, per conquistare dei meriti davanti a Dio. Questo sarebbe legalismo e ci allontanerebbe dalla grazia di Gesù. La nostra fede, la nostra speranza è solo in Cristo e niente può prendere il suo posto, neppure una qualsiasi osservanza religiosa, qualunque essa sia. Se osservassimo il sabato o la domenica in sostituzione della grazia di Gesù, allora staremmo rifiutando la salvezza di Cristo: Paolo sarebbe del tutto contrario a una tale prospettiva e non esprimerebbe nessuna tolleranza. Allo stesso modo, crediamo che rifiuterebbe qualsiasi visione superficiale della legge di Dio perché anch’essa sarebbe, alla fin fine, un andare ad una visione della vita cristiana centrata su noi stessi e non su Cristo.
C) Ci rimane da considerare la terza ipotesi, quella che verte sul modo di osservare il sabato. Come abbiamo già visto ripetutamente, le prime comunità cristiane erano realtà composite dove si ritrovavano una componente ebraica ed una pagana. Questi ultimi avevano certamente accettato la legge biblica ma la tradizione giudaica era tutt’altra cosa. Non abituati a tutte le tradizioni ebraiche connesse con l’osservanza del sabato, non ne potevano capire il senso e avranno resistito alla pressione dei fratelli di origine giudaica che cercava di imporre anche su di loro l’osservanza tradizionale ebraica del sabato. Sulla base della nostra propria esperienza di Avventisti provenienti da diversi contesti culturale, possiamo ben immaginare le discussioni che potevano sorgere. Mentre gli uni accusavano gli altri di infedeltà, questi ricambiavano i primi con l’accusa di fanatismo e legalismo. Un contesto di questo tipo spiega molto bene il motivo per cui Paolo invita i credenti di Colosse a non giudicarsi gli uni gli altri e a considerare invece la sostanza della loro fede, anche in rapporto al sabato, che è Cristo e la nostra vita in Lui.
Di fronte a Gesù tutto il resto diventa ombra il cui unico significato è di attirare la nostra vita su di lui, di condurci a lui. In Cristo possiamo trovare la via per una reciproca comprensione, per una vita comunitaria armoniosa e amorevole, anche se le nostre tradizioni e la nostra sensibilità sono diverse. Anche quando osserviamo il sabato dobbiamo vedere Gesù in esso, altrimenti ci legheremmo soltanto s un’ombra inconsistente che non potrà darci nulla. Questo testo è in totale armonia con quello che Paolo insegna sul rapporto tra la legge e la grazia. Siamo salvati solo per grazia senza le opere della legge, ma, nella grazia di Cristo, scopriamo il vero significato della legge e le ragioni vere e buone per ubbidire ai suoi comandamenti.
9) Apocalisse 1:10 dice che la domenica è il giorno del Signore. Non prova questo che la domenica era diventata il giorno osservato dalla chiesa cristiana?
Apocalisse 1:9-11 dice: «Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito [il testo originale, più letteralmente, dice però, «mi trovai in spirito»]nel giorno del Signore, e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e …”».
Scrive P. Raniero Cantalamessa: «La designazione “primo giorno della settimana” viene ben presto sostituita da “giorno del Signore” (kuriaké, sottinteso hemera) (Ap 1, 10). L’esatto equivalente latino è dies dominica; dominica, da aggettivo, passa ad essere ben presto sostantivo e si ha così la nostra attuale Domenica. Il legame della Domenica con la risurrezione di Cristo è insito nel nome stesso; è grazie alla risurrezione infatti che Cristo è stato costituito Dominus, Kurios, Signore (cfr. Rm 1, 3; At 2, 36).[9]
Ė vero che a un certo momento l’espressione “giorno del Signore” (in latino “domenica”) cominciò a essere riferita al primo giorno della settimana, ma niente può farci pensare che questo fosse il significato che aveva nell’Apocalisse.[10]
Il testo greco ha «kuriakē (un aggettivo dal sostantivo kurios = signore) hēmēra (giorno)»: cioè, «giorno signoriale» o, come traducono le moderne versioni «giorno del Signore». La vulgata latina uso per questo verso l’equivalente «dominica dies» da cui viene la nostra domenica. Bisogna però stare attenti a non pensare che per il fatto che sia stata chiamata in questo modo, la domenica sia automaticamente il Giorno del Signore. In realtà, solo dopo molti anni da quando fu scritta l’Apocalisse alcuni cominciarono (vangelo apocrifo di Pietro 9:12, scritto alla fine del II secolo) ad usare questa espressione in riferimento al primo giorno della settimana. Quando Giovanni scrisse l’Apocalisse, però, il significato era diverso e noi dobbiamo stare bene attenti a non interpretare un testo antico sulla base del modo moderno di capire e di esprimerci.
A cosa si riferiva Giovanni sulla base del suo contesto culturale e spirituale? Ci sono diverse possibilità:
1) Nell’Impero romano, il «giorno del signore» era il giorno del compleanno dell’imperatore, ma Giovanni non si riferiva certamente a questo giorno perché per i Cristiani il solo Signore riconosciuto era Gesù (1 Corinzi 8:6).
2) Alcuni pensano che si tratti di una espressione equivalente al «giorno del Signore» di cui parlano i profeti dell’Antico Testamento, il giorno, cioè in cui Dio giudica o giudicherà il suo popolo e il mondo. In questa prospettiva essi pensano che Giovanni sia stato rapito dallo Spirito che gli ha fatto vedere il giorno del giudizio finale. A quest’interpretazione sembra riferirsi la traduzione della Nuova Riveduta citata sopra. Ci sono però due obiezioni: A) Poiché Giovanni si premura di indicare il luogo della rivelazione ricevuta (Patmos), ci aspetteremmo che ci dicesse anche il momento in cui essa fu data (nel «giorno del signore», appunto), non direttamente l’argomento della visione. B) Nell’Antico Testamento (nella traduzione greca dei LXX usata dalle chiese cristiane), il «giorno del Signore» annunciato dai profeti è sempre detto hēmēra (giorno) tou (del) kurìou (Signore)» o nella forma abbreviata hēmēra kurìou (senza l’articolo). Non è mai chiamato kuriakē hēmēra come troviamo nell’Apocalisse. Se Giovanni, pensiamo, avesse voluto farci capire che si riferiva al giorno del giudizio preannunciato dai profeti avrebbe usato il loro modo di dire senza cambiarlo.
3) Rimane da vedere se c’è un giorno letterale che, secondo la Bibbia, possa essere chiamato «giorno del Signore»? Visto che Gesù ha dichiarato di essere il «Signore del sabato» (Matteo 12:8), perché non pensare Giovanni possa considerare il sabato il «giorno del Signore»?
Scrive, J. Doukhan, “I cristiani, che leggono questo testo pensano istintivamente alla domenica. Dimenticano, però, che è un ebreo che scrive, nutrito delle Sacre Scritture ebraiche e ben radicato nella religione dei suoi padri. Oltre a ciò, l’espressione «giorno del Signore» riferito alla domenica s’incontra solo a partire dalla fine del Il secolo, ed anche li si presenta eccezionalmente, negli scritti dell’epoca, lasciando spazio a larghe controversie. É assai più ragionevole pensare che il giorno del Signore di cui parla Giovanni, si riferisca al sabato, chiamato, appunto, «giorno del Signore» (o giorno di Adonai) nelle Scritture ebraiche. D’altra parte, il ricorrere costante nell’Apocalisse, del numero 7 rende assolutamente verosimile il riferimento al sabato, settimo giorno, in apertura della profezia, come in una sorta di intonazione. Questa interpretazione si giustifica, infine, per il fatto che il sabato introduce il ciclo delle feste giudaiche che strutturano il libro intero dell’Apocalisse. Troviamo la lista nel Levitico al capitolo 23: «Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è sabato, giorno di completo riposo e di santa convocazione. Non farete in esso nessun lavoro, è un riposo consacrato al SIGNORE in tutti i luoghi dove abiterete» (v. 3). Secondo la tradizione biblica, il sabato è il primo giorno di festa con Dio, celebrata dall’uomo e dalla donna (cfr. Gn 2:1-3) è anche il solo giorno la cui istituzione risale prima della promulgazione della Legge sul Sinai (cfr. Es 16:23,29); è il solo giorno la cui osservanza non dipende né dalle stagioni né dagli astri, neppure, in definitiva, dalla storia umana. Dunque, è naturale che si cominci proprio da lì. Probabilmente, Giovanni si riferisce anche a un altro «giorno del Signore», allo yom Yahweh dei profeti biblici, che designa, nell’Antico Testamento, il giorno del giudizio di Dio e della sua venuta alla fine della storia umana (Sof 1:7, 2:2,3; 3:8; Mal 3:2; 4:1,5; Gioele 1:15; 2:1,2,11). Come nel Nuovo Testamento (1 Tess 5:2; 2 Tess 2:2; 1 Co 1:8; 5:5; 2 Co 1:14; Fil 1:6; 2:16) e nella letteratura giudaica (II Bar 48:47; 49:2; 55:6.) a lui contemporanea, l’espressione «giorno del Signore» si applica alla parusia del Cristo o alla venuta del Messia. Il contesto immediato conferma la nostra interpretazione. Anche senza tenere conto che l’associazione tra il sabato e il giorno escatologico della speranza è fortemente attestata sia nella Bibbia sia nella tradizione giudaica, comunque, il sabato è stato spesso compreso come il segno del gran giorno della liberazione e del regno di Dio che viene.[11] In altre parole, Giovanni ebbe la visione del giorno dell’Eterno (giorno del giudizio finale e della parusia), durante il giorno del sabato (altro giorno del Signore)”.[12]
Secondo Vollet, citato da Vaucher,[13] il passaggio in questione “indica bene che, al tempo degli apostoli, i cristiani davano a un giorno della settimana il nome di giorno del Signore; ma questa denominazione poteva applicarsi solo al sabato”. E, il pastore, Louis Victor Mellet scriveva nel 1843: “Il giorno del Signore o il giorno dell’Eterno, indica qui il giorno del Sabato giudeo, che è stato per molto tempo, nella chiesa primitiva, un giorno di assemblea e di culto”.[14]
E. G. White scrive, «Ė nel giorno di sabato che il Signore della gloria apparve all’apostolo mentre era in esilio. Giovanni osservava fedelmente il sabato sull’isola di Patmos…».[15]
10) Chi sa se il nostro sabato corrisponde veramente al sabato biblico? Non ci sono stati dei cambiamenti del calendario che potrebbero vanificare la corrispondenza tra questi due giorni?
Come abbiamo visto, Dio aveva dato al suo popolo ampie prove di quale fosse il giorno della settimana corrispondente al sabato della creazione. Il miracolo della manna lo aveva chiarito per quaranta anni e l’osservanza del sabato da parte di Gesù dovrebbe togliere ogni dubbio. Sin da allora, sia Israele che la Chiesa hanno sempre mantenuto inalterato il ciclo settimanale anche se l’uno continuava ad osservare il sabato e l’altra cominciava a sostituirlo con il primo giorno.
Alcuni si chiedono però se non siano stati introdotti dei cambiamenti di calendario che potrebbero avere alterato la successione settimanale del sabato e della domenica. La risposta è molto semplice: L’unico cambiamento di calendario avvenuto in epoca cristiana è avvenuto nel 1582, a causa della discrepanza che si era create tra il calendario ufficiale e il succedersi delle stagioni. Per rimediare al problema, papa Gregorio XIII decise di riformare il calendario giuliano, promulgato da Giulio Cesare nel 46 a.C., che si usava da allora. Si stabiliva perciò che giovedì 4 ottobre 1582 fosse seguito da venerdì 15 ottobre 1582. Si vede chiaramente il salto dal giorno 4 al giorno 15 ma anche che la successione dei giorni della settimana rimase del tutto inalterata: al giovedì seguì il venerdì in modo del tutto regolare. Il nostro sabato continua quindi a corrispondere al sabato comandato da Dio, e osservato da Gesù. Possiamo quindi osservarlo anche noi con piena fiducia, onorando il comandamento di Dio come fecero i primi cristiani e molti altri in questi ultimi duemila anni di storia.
Conclusione
Attualmente, i Cristiani Avventisti del 7° Giorno costituiscono il gruppo cristiano più ampio tra coloro che osservano il sabato (probabilmente superano anche gli osservanti Ebrei). Altre a noi, solo alcune piccole chiese cristiane condividono la nostra posizione sul sabato, lo sappiamo. La stragrande maggioranza non l’accetta per niente. Tra coloro che non accettano di osservare il sabato, la posizione più chiara è certamente quella della Chiesa Cattolica. Riportiamo qui solo due citazioni ma molte altre, antiche e moderne, potrebbero essere offerte:
«I protestanti deridono spesso l’autorità della tradizione della Chiesa, e pretendono di essere guidati solo dalla Bibbia; tuttavia anche loro sono stati guidati da consuetudini della Chiesa antica, che non trovano appoggio nella Bibbia e che si sostengono solo sulla base della tradizione. Un esempio lampante è il seguente: Il primo comandamento del decalogo espresso in termini positivi è quello che ci dice “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo.” … Tuttavia chi tra i Cattolici o i Protestanti, tranne una setta o due come i “Battisti del Settimo Giorno” [oggi avrebbe citato soprattutto gli Avventisti del 7° Giorno], osservano oggi questo comandamento? Nessuno? Perché? La Bibbia, alla quale soltanto i Protestanti pretendono di ubbidire, non dà alcuna autorizzazione per la sostituzione del settimo giorno della settimana con il primo. Su quale autorità, dunque, hanno fatto questo? Evidentemente sull’autorità di quella Chiesa cattolica che hanno abbandonato e le cui tradizioni essi condannano.» (John L. Stoddard, Rebuilding a Lost Faith, New York: P. J. Kennedy and Sons, 1826, p. 80).
Una citazione più recente, pubblicata direttamente in italiano, è la seguente. È alquanto lunga ma vale la pena di riportarla per intero:
D. – Quando i protestanti lavorano il sabato o il settimo giorno della settimana seguono ancora la Scrittura come unica regola di fede?
R. – No, anzi non possono giustificare questo modo di agire che col conforto della Tradizione. Lavorando in giorno di sabato essi violano un comandamento che Iddio non ha mai chiaramente abrogato nella Scrittura: “Ricordati di santificare il sabato”.
D. – La santificazione della domenica, come giorno di riposo è esplicitamente confermata nella Scrittura?
R. – No di certo, eppure tutti i protestanti considerano la santificazione di questo giorno particolare come essenziale alla salute. Dire che si santifica la domenica a ricordo della risurrezione di Cristo è confessare che si agisce senza punto appoggiarsi alla Scrittura e sarebbe come affermare che devesi santificare il giovedì perché in questo giorno ascese al Cielo, e si riposò dopo la grande opera della redenzione umana.
D. – Non servirebbe quel passo dell’Apocalisse in cui si dice che Giovanni fu rapito al cielo nel giorno del Signore (cioè la domenica) a provare dalla Scrittura che la domenica nella Legge nuova è il giorno che si deve santificare?
R. – Che S. Giovanni sia stato rapito al cielo in domenica, nessun dubbio[[3]]; ma che perciò debba considerarsi festiva la domenica è quello che non si può dedurre in alcun modo.
D. – Ma nell’Apocalisse non è chiamata la domenica “il giorno del Signore”?
R. – Non sono tutti i giorni della settimana “il giorno del Signore”?
Questo testo vi dice forse di astenervi dai lavori servili? Vi dice forse che cessa l’obbligazione della santificazione del sabato, o che questo “giorno del Signore” ricordato da Giovanni non sia piuttosto il giorno della Risurrezione o dell’Ascensione del Signore?
D. – Negli Atti è scritto: “nel primo giorno della settimana quando i discepoli si furono radunati per la frazione del pane, Paolo che li doveva abbandonare il giorno dopo parlò a lungo” (Atti 20:7). Questa testimonianza della Scrittura non è sufficiente ad autorizzare la santificazione del primo giorno della settimana?
R. – Con questo testo è abrogata forse la santificazione del settimo giorno od è permesso ai protestanti di fare opere servili in tale giorno? No. Se si servono di questo testo come argomento, devono dunque riconoscere due i giorni festivi. Il testo in questione non dice che l’Apostolo predicava ed il popolo s’adunava nel primo giorno d’ogni settimana, ma parla di un giorno qualunque, ed era il primo della settimana in cui il popolo s’adunò coll’occasione di udire e salutare l’Apostolo. Di più si noti che non può far stupire il fatto che li troviamo radunati il primo giorno della settimana, dal momento che dagli atti risulta che essi si adunavano ogni giorno nel tempio per la frazione del pane.[[4]]
D. – San Paolo non ordinò ai Galati ed ai Corinti di far le questue nel primo giorno della settimana?
R. – Si, è ciò non abolisce la santificazione del sabato. San Paolo non ordina ai fedeli di santificare questo giorno invece del sabato e neppure che la questua dovesse farsi in Chiesa, ma semplicemente di depositare in tal giorno la propria elemosina nel tesoro della chiesa.[[5]]
D. – Quale sarà finalmente la logica conclusione?
R. – I protestanti non possono trovare neppure un testo di Scrittura che fissi il loro giorno di riposo festivo. Se abolirono il sabato colla domenica, come fecero, ciò fu senza alcuna base di Scrittura. Non è chiaro dunque che in ciò si conformarono alla Tradizione?» (Perché siamo cattolici e non protestanti? Paoline, Roma 1956, pp. 67-69)
Trattandosi di scritti polemici, è possibile che i loro autori si siano spinti forse un po’ oltre i limiti entro i quali si sarebbero mantenuti se avessero dovuto difendere la loro fede in una prospettiva più serena. La tesi di fondo è però chiara: la domenica nasce non dalla Bibbia ma da una decisione della chiesa dopo la scomparsa degli Apostoli. Noi non giudichiamo il cuore di nessuno e rispettiamo la coscienza di tutti. Molte persone oneste, e anche molti leader religiosi onesti, non osservano il comandamento sul sabato pensando di onorare così la volontà del Signore. Dobbiamo però ricordare che la chiesa cristiana dovrebbe considerare sua missione quella di insegnare ad ubbidire alla legge di Dio, non quella di cambiarla: l’apostolo Paolo considerava che la chiesa dovesse essere «colonna e sostegno della verità» (1 Timoteo 3:15). Gesù insegna chiaramente che in qualunque situazione fossimo chiamati a scegliere tra l’ubbidienza alla tradizione umana o l’ubbidienza a Dio dovremmo sempre scegliere quest’ultima. Un giorno, infatti, dei farisei gli chiesero: «“perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?”. Ma egli rispose loro: “E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione?… Ipocriti, ben profetizzò Isaia di voi quando disse: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini’» (Matteo 15:3-9).
«La festività della domenica, come tutte le altre festività, fu sempre un comandamento umano e gli apostoli non ebbero mai alcuna intenzione di stabilire un comandamento divino in questo senso; lungi da loro e dalla prima chiesa apostolica ogni intento di trasferire la legge del Sabato alla Domenica».[16]
Se Gesù avesse voluto, che il nuovo popolo di Dio, onorasse la sua resurrezione, nel primo giorno della settimana, rinunciando al sabato, settimo giorno, sicuramente egli non avrebbe esitato di annunciarlo agli Apostoli dopo la sua resurrezione, e quest’ultimi, lo avrebbero chiaramente trasmesso alla chiesa nascente. Nulla di tutto ciò. Colui che «è lo stesso ieri, oggi ed in eterno» (Eb 13, 8), è datore di una legge santa, buona e giusta (Ro 7,12) e di un comandamento altrettanto santo, buono giusto, benedetto e messo da parte per uso sacro, che mai ha abrogato.
Il sabato è sia una dottrina che una esperienza, e anche questo fatto richiede un esame molto attento. Il sabato è in stretta relazione con ciò che commemora (creazione – redenzione – santificazione), pertanto apre nuove dimensioni della nostra esperienza personale con Dio, che altrimenti non ci sarebbe stato possibile vivere. Nell’osservanza di questo santo giorno, più che altrove, cogliamo la correlazione tra fede e pratica (Giac 2). Pertanto una comprensione più profonda del significato del sabato può arricchire la nostra esperienza con il Signore e una appropriata celebrazione del sabato può aiutarci ad afferrarne più pienamente il suo significato.[17]
Quando Dio istituì il sabato, lo benedisse. Questa benedizione è ancora lì per noi, se decidiamo di ubbidire alla legge di Dio invece che alla tradizione umana.
Note
[1] Per quel che riguarda il trasportare il suo lettuccio in giorno di sabato, i Farisei avevano dei problemi, ma Gesù non se ne cura. Sarebbe stato proprio strano che Gesù chiedesse al paralitico di andarsene dai suoi abbandonando il suo lettuccio o che, per non perderlo, dovesse aspettasse che finisse il sabato!
[2] Una esperienza del genere stata vissuta da una chiesa cristiana moderna che aveva accettato di osservare il sabato. Alla morte del suo fondatore, il figlio penso di sostenere una visione più liberale lasciando ad ognuno la libertà di osservare il sabato o la domenica secondo la sua convinzione. Questa chiesa si frantumò in tanti pezzi ed è oggi ridotta ai minimi termini.
[3] Noi ne abbiamo invece molti, come abbiamo visto.
[4] Si veda Atti 2:46, con la sola differenza che, come dice il testo, il pane veniva spezzato nelle case, non nel tempio.
[5] L’autore non comprende che Paolo sta chiedendo di depositare le somme destinate ai poveri da parte ma a casa propria, non in chiesa.
[1] Convegno ecumenico su “Il giorno del Risorto: vita per le Chiese e pace per il mondo” Bari, 26-29 Settembre 2004, relazione, di P. Giuseppe Piccino, Docente di Liturgia e Direttore di “Temi di predicazione”: «La celebrazione settimanale della Pasqua, punto di vista cattolico», p. 52, 54.
[2] Convegno ecumenico su “Il giorno del Risorto: vita per le Chiese e pace per il mondo” Bari, 26-29 Settembre 2004, relazione di P. Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia: “Il giorno del Signore: I discepoli gioirono al vedere il Signore”, p. 13.
[3] From sabbath to Lord’s day: a biblical, historical and theological investigation, Grand Rapids, Mich., 1982, p. 85. (D. A. Carson, studioso cristiano che non condivide la posizione avventista sul sabato).
[4] Samuele Bacchiocchi, Riposo divino per l’inquietudine umana, p. 211, ed. Adv, Impruneta (Fi) 1983.
[5] Alfred Vaucher, “L’histoire du salut”, Ed. S.D.T., Dammarie-les-Lys, 1951, p. 307.
[6] Abbate, Jacquier, Comments sur Actes des Apotres, Parigi 1026, p. 598.
[7] Charles Gerber, Dal Tempo all’eternità, ed. AdV. p. 304, Impruneta (Fi).
[8] Frédéric Godet, Commentare sur l’epître aux Romains, p. 512, ed. Labor ed Fides – Geneve, 1968
[9] Op. cit., p. 13
[10] Il Seventh-day Adventist Bible Commentary affronta questo argomento discutendo di Apocalisse 1: 10: “Sebbene questa espressione [‘giorno del Signore’] si ritrovi frequentemente nei Padri della chiesa in relazione alla domenica, la prima volta che ciò accade con certezza è nell’ultima parte del secondo secolo nel vangelo apocrifo di Pietro. (9: 12; ANF, vol. 9, p. 8), dove il giorno della risurrezione di Cristo è chiamato ‘giorno del Signore’. Poiché questo documento fu scritto almeno tre quarti di secolo dopo che Giovanni scrisse l’Apocalisse, non lo si può presentare come una prova che la frase ‘giorno del Signore’ si riferisse alla domenica ai giorni di Giovanni” (Washington, D.C.: Review and Herald Publishing Association, 1957, 7:735). Per una discussione dotta dell’espressione “giorno del Signore” nella letteratura cristiana antica, vedi Samuele Bacchiocchi, From Sabbath to Sunday: A Historical Investigation of the Rise of Sunday Observance in Early Christianity (Rome: The Pontificial Gregorian University Press, 1977); Fritz Guy, “‘The Lord’s Day’ in the Letter of Ignatius to the Magnesians”, Andrews University Seminary Studies 6 (1968): 46-59; William H. Shea, “The Sabbath in the Epistle of Barnabas”, Andrews University Seminary Studies 4 (1966): 149-175.
[11] La Lettera agli Ebrei riflette questa identificazione del sabato con il giorno escatologico (Ebrei 3,4); nello stesso modo, la tradizione ebraica percepisce il sabato come il segno del giorno escatologico di Dio (Talmud di Babilonia, Sanhérin 98a; cfr. A. Heschel, Les batisseurs du temps, Paris, 1957, p. 176).
[12] Jacques Doukhan, Il grido del cielo, p. 27,28, ed. AdV, 2001, Impruneta (Fi).
[13] Cit. da A. Vaucher, L’histoire du Salut, Ed. SdT, Dammarie les Lys 1951, p. 308.
[14] Past. Louis Victor Mellet, cit. in Alain Georges Martin, Repos, “Les cahiers de révail”, Imprimerie Sant Paul, Issy-Moulineux, France 1970, p. 45. (Cit anche in Jean Vuilleumier, Le jour du repos, à travers les âges, Ed. Les signes des temps, Dammarie-les-Lys, 1936, p. 193).
[15] E.G.White, Conquérants Pacifiques, Ed. S.D.T. Dammarie.les-Lys – France, p-518
[16] The History of the Christian Religion and Church, del Dr. A. Neander, p. 186.
[17] R. Rice, The Rein of God , cap XIV, “The doctrine of Sabbath”.