Studio tratto dal libro LA CONFESSIONE DI FEDE DEGLI AVVENTISTI DEL 7° GIORNO – Le 28 verità bibliche fondamentali – Ed. AdV – Firenze, 2010, cap. 19 “La Legge di Dio”.
I grandi principi della legge di Dio sono contenuti nei dieci comandamenti e sono stati manifestati nella vita di Cristo. Essi sono l’espressione dell’amore di Dio, della sua volontà e dei suoi propositi relativi alla condotta e alle relazioni umane e sono vincolanti per tutti gli uomini di ogni epoca. Questi principi costituiscono la base del patto di Dio con il suo popolo e rappresentano il criterio del giudizio. Grazie all’opera dello Spirito Santo, essi indicano il peccato e risvegliano il desiderio di un Salvatore. La salvezza viene attribuita per grazia e non per opere, ma i suoi frutti si manifestano nell’ubbidienza ai comandamenti. Questa ubbidienza sviluppa un carattere cristiano e produce effetti positivi. È una dimostrazione del nostro amore per il Signore e dell’interesse per i nostri simili. L’ubbidienza della fede dimostra la potenza di Cristo nel trasformare la vita e perciò rafforza la testimonianza cristiana (cfr. Es 20:1-17; Sal 40:7,8; Mt 22:36-40; Dt 28:1-14; Mt 5:17-20; Eb 8:8-10,Gv 16:7-10; Ef 2:8-10; 1 Gv 5:3; Rm 8:3,4; Sal 19:7-14).
Tutti gli occhi erano fissi sulla montagna. La sommità era coperta di una fitta nuvola che, divenendo sempre più oscura, avvolgeva il monte dalla cima alle falde, fino a farlo scomparire misteriosamente. Forti lampi squarciavano l’oscurità e potenti tuoni rimbombavano incessantemente. «Il monte Sinai era tutto fumante, perché il Signore vi era disceso in mezzo al fuoco; il fumo saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte tremava forte. Il suono della tromba si faceva sempre più forte» (Es 19:18,19). Questa maestosa presenza di Dio era così imponente che tutto Israele tremava. Improvvisamente il sordo e prolungato rumore dei tuoni e il suono della tromba tacquero lasciando il posto a un silenzio impressionante. Dalle tenebre che avvolgevano la cima del monte, si udì la voce di Dio. Mosso da un amore profondo per il suo popolo, egli proclamò i dieci comandamenti. Mosè dice: «Il Signore è venuto dal Sinai, è spuntato per loro dal Seir,ha sparso la sua luce dal monte di Paran, è venuto dalle miriadi sante; dalla sua destra usciva il fuoco della legge per loro. Certo, il Signore ama i popoli; tutti i suoi santi sono nella tua mano. Essi si abbassano ai tuoi piedi e raccolgono le tue parole» (Dt 33:2,3).
Quando l’Altissimo promulgò la sua legge al Sinai, non solo si è rivelato come la suprema autorità dell’universo, ma anche come il Salvatore del suo popolo (Es 20:2). E proprio perché egli è un Dio che redime non ha rivolto l’appello a rispettare le dieci parole solo a Israele, ma a tutta l’umanità (Ec 12:15). I suoi precetti concisi, esaurienti e autorevoli racchiudono in sé tutti i doveri degli esseri umani verso Dio e verso i loro simili.
- E Dio disse: «Non avere altri dei oltre a me.
- Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
- Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano; perché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.
- Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.
- Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà.
- Non uccidere.
- Non commettere adulterio.
- Non rubare.
- Non attestare il falso contro il tuo prossimo.
- Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo» (Es 20:3-17).
La natura della legge
In quanto riflesso del carattere di Dio, i dieci comandamenti costituiscono la legge morale e spirituale nella sua completezza, racchiudendo in sé principi universali.
Un riflesso del carattere del Legislatore. Le Scritture fanno trasparire gli attributi di Dio nella sua legge. Come Dio, «la legge è perfetta» e «la testimonianza del Signore è veritiera» (Sal 19:7,8). «La legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono» (Rm 7:12). Il salmista afferma: «Tu sei vicino, Signore, e tutti i tuoi comandamenti son verità. Da lungo tempo conosco le tue testimonianze che hai stabilite in eterno» (Sal 119:151,152). Infatti, «tutti i tuoi comandamenti sono giustizia» (119:172).
Una legge morale. I dieci comandamenti ci fanno conoscere quale deve essere, agli occhi di Dio, la linea di condotta che gli esseri umani devono seguire. Definiscono la natura della relazione con il creatore e redentore e il dovere verso i nostri simili. Le Scritture considerano «peccato» la trasgressione della legge di Dio (1 Gv 3:4). Una legge spirituale.
«La legge è spirituale» (Rm 7:14). Perciò, solo coloro che sono spirituali e hanno il frutto dello Spirito possono rispettarla (Gv 15:4; Gal 5:22,23). È lo Spirito di Dio che ci rende capaci di compiere la sua volontà (At 1:8; Sal 51:10-12). Dimorando in Cristo, riceviamo la potenza necessaria per portare frutti alla sua gloria (Gv 15:5). Le leggi umane si applicano unicamente verso le azioni che si vedono. Ma il salmista afferma: «Il tuo comandamento è senza limiti» (Sal 119:96). I precetti della legge divina penetrano i nostri pensieri più intimi, i nostri desideri più profondi e le emozioni segrete come la gelosia, l’invidia, la sensualità e l’ambizione. Nel Sermone sul monte, Gesù mette in risalto questa dimensione spirituale della legge, sottolineando che il peccato ha origine nel cuore (Mt 5:21,22,27,28; Mc 7:21-23).
Una legge positiva. Il decalogo è più che una breve lista di proibizioni; contiene principi applicabili a campi diversi. Non si riferisce solo alle cose che non dovremmo fare, ma anche a quelle che dovremmo conseguire. Non dobbiamo solo trattenerci dal pensare e fare il male, dobbiamo anche imparare a usare i talenti che ci sono stati elargiti da Dio per fare il bene. Così, dunque, ogni ingiunzione negativa ha altresì una dimensione positiva. Per esempio, il sesto comandamento: «Non uccidere», ha un suo equivalente positivo: «Promuovi la vita». «Dio vuole che i suoi fedeli cerchino di promuovere il benessere e la felicità di tutti quelli che vivono nella loro sfera di influenza. Il mandato evangelico, l’annuncio del messaggio del Vangelo e della vita eterna in Cristo Gesù, è basato sul principio positivo incluso nel sesto comandamento».1 I dieci comandamenti dovrebbero essere visti non «tanto dall’aspetto della proibizione, quanto dal lato dell’amore. Le sue limitazioni sono la garanzia della felicità nell’ubbidienza. Ricevuta da Cristo, la legge produce in noi purezza di carattere che sarà fonte di gioia per l’eternità. In essa possiamo contemplare la bontà di Dio che, nel rivelare all’umanità i princìpi immutabili della giustizia, cerca di proteggerci dai mali che derivano dalla trasgressione».2
Una legge semplice. I dieci comandamenti sono semplici, completi e profondi. Sono così brevi che persino un bambino può memorizzarli facilmente, ma sono così profondi perché trattano ogni tipo di peccato possibile. «Non c’è mistero nella legge di Dio. Tutti possono comprendere le grandi verità che contiene. Anche l’intelletto più debole può afferrare queste norme, anche il più semplice può regolare la sua vita e formare il suo carattere seguendo la regola divina».3
Una legge che contiene principi. I dieci comandamenti sono un compendio di tutti i princìpi di giustizia che si applicano a tutta l’umanità e in ogni tempo. Le Scritture esortano: «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo» (Ec 12:15). «Il decalogo – le dieci parole, o i dieci comandamenti (Es 34:28) – consiste di due parti, indicate dalle due tavole di pietra sulle quali Dio ha scritto (Dt 4:13). I primi quattro comandamenti riguardano il nostro dovere nei confronti del Creatore e Redentore; gli ultimi sei regolano il nostro dovere verso il prossimo.4 Questa duplice divisione deriva dai due grandi principi fondamentali dell’amore sui quali si basa il regno di Dio: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10:27; Dt 6:4,5; Lv 19:18). Coloro che applicano questi principi nella loro vita vivono in piena armonia con i dieci comandamenti, che li riassumono nel dettaglio. Il primo comandamento prescrive il culto esclusivo rivolto all’unico vero Dio. Il secondo proibisce l’idolatria.5 Il terzo ci mette in guardia contro la profanazione e la blasfemia circa il nome di Dio. Il quarto prescrive l’osservanza del sabato e identifica il vero Dio come il Creatore dei cieli e della terra. Il quinto comandamento esorta i figli a rispettare i loro genitori in quanto essi hanno ricevuto da Dio la missione di trasmettere la sua volontà alle generazioni future (Dt 4:6-9; 6:1-7). Il sesto proclama il rispetto della vita, che è sacra. Il settimo richiede la purezza e cerca di salvaguardare le relazioni matrimoniali. L’ottavo protegge i beni dei nostri simili. Il nono preserva la verità e proibisce la menzogna. Il decimo, infine, va alla radice di tutte le relazioni umane, chiedendoci di non concupire tutto ciò che appartiene agli altri.6
Una legge unica. I dieci comandamenti hanno una caratteristica senza uguali, perché sono le uniche parole che Dio ha rivolto oralmente e in modo udibile da tutto il popolo (Dt 5:22). Non fidandosi di lasciare questa legge alla fragile memoria umana, Dio incise i dieci comandamenti «con il suo dito» su due tavole di pietra che dovevano essere conservate nell’arca del tabernacolo (Es 31:18; Dt 10:2). Per aiutare gli israeliti a mettere in pratica i comandamenti, Dio dà loro leggi aggiuntive, in modo da specificare nei dettagli la loro relazione con lui e con il prossimo. Alcune di queste leggi riguardavano gli affari pubblici d’Israele (leggi civili), altre regolavano i rituali del santuario (leggi cerimoniali). Dio comunica al popolo queste leggi supplementari tramite un intermediario, Mosè, che le scrive nel «libro della legge», e poi le fa mettere «accanto all’arca del patto» (Dt 31:25,26) – e non dentro l’arca come per la suprema rivelazione di Dio, il decalogo. Queste leggi aggiuntive sono conosciute come il «libro della legge di Mosè» (Gs 8:31; Nm 8:1; 2 Cr 25:4) o semplicemente la «legge di Mosè» (2 Re 23:25; 2 Cr 23:18).7
Una legge meravigliosa. La legge di Dio è capace di suscitare entusiasmo nell’animo umano. Il salmista esclama: «Oh, quanto amo la tua legge! È la mia meditazione di tutto il giorno… io amo i tuoi comandamenti più dell’oro, più dell’oro finissimo… affanno e tribolazione m’hanno colto, ma i tuoi comandamenti sono la mia gioia» (Sal 119:97,127,143). Per coloro che amano Dio, «i suoi comandamenti non sono gravosi» (1 Gv 5:3). I trasgressori sono quelli che considerano la legge di Dio un giogo pesante, poiché il cuore dei peccatori «non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo» (Rm 8:7).
Lo scopo della legge
Dio dona la legge per elargire abbondanti benedizioni al suo popolo e per guidarlo in una relazione salvifica con lui. Essa ha scopi ben precisi. Vediamoli!
Rivela la volontà di Dio per l’umanità. Quale espressione del carattere e dell’amore di Dio, i dieci comandamenti rivelano la sua volontà e il suo desiderio per l’umanità. Essi richiedono un’ubbidienza perfetta: «Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti» (Gc 2:10). L’ubbidienza alla legge come regola di condotta è di vitale importanza per la nostra salvezza. Cristo stesso spiega: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19:17). Questa ubbidienza è possibile solo tramite la potenza che lo Spirito Santo ci fornisce dimorando in noi.
È il fondamento dell’alleanza con Dio. Mosè ricopia i dieci comandamenti, e scrive altre leggi per spiegarli in dettaglio, in un volume chiamato «il libro del patto» (Es 20:1-24:8).8 Più tardi, definisce i dieci comandamenti «le tavole del patto», indicando la loro importanza come base dell’alleanza eterna (Dt 9:9; cfr. 4:13; per maggiore informazione sul patto, cfr. cap. 7, p. 77).
È un criterio di giudizio. Come Dio, anche i suoi «comandamenti sono giusti» (Sal 119:172, ND). La legge, perciò, stabilisce i criteri della giustizia. Ciascuno di noi sarà giudicato da questi giusti princìpi e non dalla propria coscienza. «Temi Dio e osserva i suoi comandamenti» affermano le Scritture, «Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male» (Ec 12:15,16; Gc 2:12). In effetti, la coscienza umana può variare da individuo a individuo. Alcune coscienze sono «deboli», mentre altre sono «contaminate», «impure», «cattive», «segnate da un marchio» (1 Cor 8:7,12; Tt 1:15; Eb 10:22; 1 Tm 4:2). Come un orologio, per quanto bene possa funzionare, la coscienza deve essere «regolata» da alcuni accurati criteri perché possa essere di valore. La nostra coscienza ci dice che dobbiamo fare il bene, ma non specifica ciò che è giusto. Solo una coscienza regolata dalle grandi norme di Dio, cioè dalla sua legge, può trattenerci dal cadere nel peccato.9
Smaschera il peccato. Senza i dieci comandamenti le persone non possono comprendere appieno la santità di Dio, il sentimento della propria colpa né possono provare l’esigenza del ravvedimento. Se non fossero consapevoli della violazione della legge di Dio, essi non potrebbero comprendere la loro condizione di perduti, né il loro bisogno del sangue espiatorio di Cristo. Per aiutare il peccatore a capire la sua vera condizione, la legge opera come uno specchio (Gc 1:23-25). Quelli che si «specchiano» in essa vedono i difetti del proprio carattere in contrasto con il carattere giusto di Dio. Così, la legge morale dimostra che tutto il mondo è colpevole davanti a Dio (Rm 3:19), e che ciascun individuo è responsabile nei suoi confronti. «La legge dà soltanto la conoscenza del peccato» (Rm 3:20) perché «il peccato è la violazione della legge» (1 Gv 3:4). Infatti, Paolo dice: «Io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge» (Rm 7:7). Convincendo i peccatori dei loro peccati, la norma li aiuta a comprendere che sono condannati, che sono sotto il giudizio dell’ira di Dio e che rischiano di essere condannati alla morte eterna. Una simile prospettiva fa nascere in loro il sentimento della loro disperazione e totale impotenza.
Sprona alla conversione. La legge di Dio è lo strumento che lo Spirito Santo utilizza per condurci alla conversione: «La legge del Signore è perfetta, essa ristora l’anima» (Sal 19:7). Quando contempliamo il nostro vero carattere nello specchio della legge, ci rendiamo conto di essere dei peccatori, di essere stretti nel braccio della morte e di non avere speranza, sentiamo forte il bisogno di un Salvatore. È solo allora che la buona notizia del Vangelo diventa per noi veramente densa di significato. La legge, dunque, ci indica Cristo come il solo che può trarci fuori dalla nostra disperata situazione.10 Con questa prospettiva Paolo si riferisce all’insieme della legge morale e della legge cerimoniale come a «un precettore [“un tutore”]» che serve «per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede» (Gal 3:24).11 Se la legge rivela il nostro peccato, essa però non potrà mai salvarci. Proprio come l’acqua è il mezzo per pulire un viso sporco, così, dopo aver scoperto il nostro stato nello specchio della legge morale di Dio, andiamo alla «fonte aperta… per il peccato e per l’impurità» (Zc 13:1) e là veniamo lavati dal «sangue dell’Agnello» (Ap 7:14). Il peccatore deve riguardare a Gesù: «Dal momento che Cristo gli si è rivelato morente sulla croce del Calvario, sotto il peso dei peccati dell’intera umanità, lo Spirito Santo gli mostra… l’attitudine di Dio verso tutti coloro che si pentono delle loro trasgressioni».12 Allora, la speranza riempie la nostra vita e per fede ci rivolgiamo al nostro Salvatore, che mette a nostra disposizione il dono della vita eterna (Gv 3:16).
Provvede la vera libertà. Cristo afferma che «chi commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8:34). Quando trasgrediamo la legge di Dio, non abbiamo alcuna libertà; solo l’ubbidienza ai dieci comandamenti ci assicura la vera libertà. Vivere entro i confini della legge di Dio significa essere liberi dal peccato, significa, cioè, essere liberi da tutto ciò che accompagna il peccato: ansie continue, disturbi di coscienza, rimorsi, sensi di colpa, tutti sentimenti che bruciano le nostre forze vitali. Il salmista dice: «Sicuro proseguirò nella mia strada, perché ricerco i tuoi precetti» (Sal 119:45). Giacomo definisce il decalogo una «legge perfetta», una «legge di libertà» (Gc 1:25; 2:8). Per ricevere questa libertà, Gesù ci invita ad andare a lui con il peso di tutti i nostri peccati. Egli ci offre di prendere il suo giogo, che è dolce (Mt 11:29,30). Il giogo è uno strumento di servizio. Dividendo il peso, il carico diventa più leggero e il compito da svolgere diventa più facile. Cristo si offre per condividere il giogo insieme con noi. Il giogo stesso è la legge: «La grande legge di amore, rivelata in Eden, proclamata sul Sinai, scritta nei cuori al nuovo patto, lega il lavoratore umano alla volontà di Dio».13 Quando siamo sotto il giogo con Cristo, si offre di portare il pesante carico e la nostra ubbidienza diventa una gioia. Egli ci rende capaci di riuscire in ciò che prima ci era impossibile. In questo modo la legge, scritta nei nostri cuori, diventa una delizia e una gioia. Siamo finalmente liberi perché vogliamo fare quello che il Signore ci ordina. Se la legge è presentata senza la potenza salvifica di Cristo non c’è libertà dal peccato. Solo la grazia redentrice di Cristo, che non annulla la legge, conferisce la potenza che libera dal peccato, poiché «dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà» (2 Cor 3:17).
Trattiene dal male e procura il bene. La moltiplicazione dei crimini, degli atti di violenza e d’immoralità, la dilagante malvagità, diffusi nel mondo d’oggi, sono il risultato del mancato rispetto del decalogo. Quando la legge è accettata, pone un freno al peccato, promuove azioni giuste, diventa un mezzo per stabilire la giustizia. Le nazioni che hanno incluso i suoi principi nelle loro legislazioni hanno sperimentato grandi benedizioni. D’altra parte, l’abbandono di questi principi produce un continuo declino. Nell’Antico Testamento, Dio ha spesso benedetto le nazioni e gli individui in proporzione alla loro ubbidienza alla sua legge. «La giustizia innalza una nazione» affermano le Scritture, e il «trono è reso stabile con la giustizia» (Prv 14:34; 16:12). Coloro che hanno rifiutato di ubbidire ai comandamenti di Dio si sono imbattuti in diverse calamità (Sal 89:31,32). «La maledizione del Signore è nella casa dell’empio, ma egli benedice l’abitazione dei giusti» (Prv 3:33; Lv 26; Dt 28). Lo stesso principio generale è valido anche ai nostri giorni.14
La legge perenne
Poiché la legge morale contenuta nei dieci comandamenti è il riflesso del carattere di Dio, i suoi principi non sono subordinati al tempo e al luogo, ma assoluti, immutabili e perenni per tutta l’umanità. Nel corso dei secoli, i cristiani hanno fermamente sostenuto la perennità della legge di Dio, affermando con forza il suo valore permanente.15 La legge prima del Sinai. La legge è esistita molto prima che Dio desse il decalogo a Israele. Se non fosse così, non ci sarebbe stato alcun peccato prima del Sinai perché «il peccato è la violazione della legge» (1 Gv 3:4). Il fatto che Lucifero e i suoi angeli abbiano commesso il peccato rende evidente che la legge era preesistente alla creazione (2 Pt 2:4). Quando Dio crea Adamo ed Eva a sua immagine, comunica i principi morali della sua legge nelle loro menti, in modo che sia naturale per loro fare la sua volontà. La loro trasgressione introduce il peccato nella razza umana (Rm 5:12). Più tardi, Dio dice: «Abraamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi» (Gn 26:5). Mosè insegna gli statuti di Dio e le sue leggi anche prima del Sinai (Es 16; 18:16). Uno studio della Genesi mostra che i dieci comandamenti sono ben conosciuti prima del Sinai. In questo libro è chiaro che le persone già sanno, ancora prima che Dio dà il decalogo, che gli atti immorali proibiti sono errati.16 Questi esempi sulla legge morale mostrano che Dio ha da sempre presentato all’umanità i princìpi dei dieci comandamenti.
La legge al Sinai. Durante il lungo periodo di schiavitù in Egitto, cioè in una nazione che non riconosce il vero Dio (Es 5:2),gli israeliti vivono in mezzo all’idolatria e alla corruzione. Come conseguenza, essi perdono molto della loro comprensione sulla santità di Dio, sulla sua purezza e sui suoi principi morali. La loro condizione di schiavi rende difficile l’adorazione. Rispondendo al loro disperato grido d’aiuto, Dio si ricorda del patto fatto con Abraamo e decide di far uscire il suo popolo da quella «fornace di ferro» (Dt 4:20), portandolo in un nuovo paese, affinché tutti «osservassero i suoi statuti e ubbidissero alle sue leggi» (Sal 105:43-45). Dopo la loro liberazione, egli li guida al monte Sinai per consegnare loro la legge morale, che è la regola del suo governo, e le leggi cerimoniali, che sono volte a insegnare che la salvezza è possibile solo tramite il sacrificio espiatorio del Salvatore. Sul Sinai, poi, Dio dà loro la legge in termini chiari e semplici, «a causa delle trasgressioni» (Gal 3:19), «affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante» (Rm 7:13) agli occhi loro. Solo dopo che la legge morale è stata messa in piena luce, gli israeliti possono prendere coscienza delle loro trasgressioni, scoprire la loro impotenza e comprendere la loro necessità di salvezza.
La legge prima del ritorno di Cristo. La Bibbia rivela che la legge di Dio è l’oggetto degli attacchi di Satana e che il conflitto raggiungerà il suo culmine poco prima del secondo avvento. La profezia indica che Satana guiderà la stragrande maggioranza della gente a disubbidire a Dio (Ap 12:9). Operando tramite il potere della «bestia», egli cercherà di dirigere l’attenzione del mondo verso la bestia invece che verso Dio (13:3; per altre informazioni circa queste profezie, cfr. cap. 13, p. 161).
- La legge sotto attacco. Daniele 7 descrive lo stesso potere tramite la figura di un «piccolo corno». Questo capitolo menziona «quattro grandi bestie» che, dopo i tempi di Cristo, i commentatori biblici hanno identificato nelle potenze mondiali di Babilonia, Medo-Persia, Grecia e Roma. Le dieci corna della quarta bestia rappresentano le divisioni dell’impero romano al tempo della sua caduta (476).17 La visione di Daniele si concentra sul piccolo corno, una potenza terribile e blasfema che si fa spazio tra le dieci corna; esso rappresenta un imponente potere che sorge dopo la caduta dell’impero romano. Tale potenza avrebbe cercato di modificare la legge di Dio (Dn 7:25) e proseguire in questa via fino al tempo del ritorno di Cristo (cfr. cap. 20, p. 250). Questi instancabili attacchi mettono in rilievo ancora una volta il valore permanente della legge nel piano della salvezza. La visione termina con una rassicurazione per il popolo di Dio: questa potenza non riuscirà a eliminare la legge perché il giudizio di Dio distruggerà il piccolo corno (vv. 11,26-28).
- I santi difendono la legge. L’ubbidienza caratterizza i santi che attendono il secondo avvento. Nel conflitto finale si schiereranno a sostegno della legge di Dio. Le Scritture descrivono costoro come quelli che «osservano i comandamenti di Dio e custodiscono testimonianza di Gesù» (Ap 12:17; 14:12) e che sono in paziente attesa del ritorno di Cristo. Preparandosi al secondo avvento, queste persone proclameranno il Vangelo, chiamando anche altri all’adorazione del Signore come loro Creatore (vv. 6,7). Coloro che adorano Dio per amore, gli ubbidiranno; come dice Giovanni: «Questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1 Gv 5:3).
- I giudizi di Dio e la legge. Il giudizio di Dio delle ultime sette piaghe che si abbatte sull’umanità ribelle, ha origine nel tempio del «tabernacolo della testimonianza in cielo» (Ap 15:5). Questa espressione, il «tabernacolo della testimonianza» è ben nota in Israele: indica il tabernacolo eretto da Mosè (Nm 1:50,53; 17:8; 18:2). È chiamato così perché all’interno del tabernacolo c’è «l’arca della testimonianza» (Es 26:34), che contiene le «due tavole della testimonianza… scritte con il dito di Dio» (31:18). Dunque, i dieci comandamenti sono i «testimoni» della legge divina per l’umanità (vv. 28, 29). Ma Apocalisse 15:5 si riferisce al «tempio del tabernacolo della testimonianza in cielo». Il tabernacolo costruito da Mosè è semplicemente una copia del santuario del cielo (25:8, 40; Eb 8:1-5); i dieci comandamenti originali sono conservati lassù. Il fatto che il giudizio finale sia intimamente legato alla trasgressione della legge di Dio rafforza l’evidenza della continua validità della legge. Il libro dell’Apocalisse descrive anche l’apertura del santuario del cielo,che rende visibile «l’arca dell’alleanza» (Ap 11:19). La frase «arca dell’alleanza» indica l’arredo del tabernacolo del deserto, al cui interno c’erano le tavole contenenti «le parole del patto, i dieci comandamenti» (Es 34:27; Nm 10:33; Dt 9:9). L’arca del patto nel santuario del cielo è l’arca originale che contiene le parole del patto eterno, il decalogo originale. È dunque chiaro che il tempo in cui il giudizio finale del mondo avrà luogo (Ap 11:18), è legato all’apertura del santuario del cielo, il cui fulcro è costituito dall’arca con i dieci comandamenti: ciò dimostra, di fatto, che la legge di Dio sarà il criterio e la regola su cui si baserà il giudizio universale.
La legge e il Vangelo
La salvezza è un dono che riceviamo per grazia tramite la fede, e non per le opere della legge (Ef 2:8). «Nessun atto della legge, nessuno sforzo per quanto lodevole, nessun sacrificio e nessuna buona azione, poche o tante che siano, possono giustificare in qualche modo il peccatore (Tt 3:5; Rm 3:20)».18 In tutte le Scritture c’è una perfetta armonia tra la legge e la fede; essi si sostengono l’un l’altra.0
La legge e il Vangelo prima del Sinai. Quando Adamo ed Eva peccarono, impararono cosa fossero il senso di colpa, la paura e la necessità (Gn 3:10). Dio rispose alle loro esigenze, non annullando la legge che aveva comandato loro, ma offrendo loro il Vangelo che avrebbe restaurato la loro relazione con Dio nella comunione e nell’ubbidienza. Questo Vangelo consisteva nella promessa di redenzione tramite un Salvatore, il seme della donna, che un giorno sarebbe venuto e avrebbe trionfato sul male (v. 15). Il sistema dei sacrifici che Dio ordinò loro aveva un fine pedagogico: insegnava un’importante verità sull’espiazione e cioè che il perdono poteva essere ottenuto solo tramite lo spargimento di sangue, solo mediante la morte del loro Salvatore. Credendo che il sacrificio animale raffigurasse la morte espiatoria del Salvatore per la loro salvezza, essi ottenevano il perdono dei loro peccati.19 Essi sono salvati per grazia. Questa promessa del Vangelo è il fulcro del patto eterno della grazia di Dio offerto all’umanità (12:1-3; 15:4,5; 17:1-9). È intimamente legata all’ubbidienza della legge di Dio (18:18,19; 26:4,5). La garanzia del patto di Dio è il suo Figlio stesso, il punto centrale del Vangelo, l’«Agnello, che è stato ucciso fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13:8 ND). La grazia di Dio, dunque, comincia a operare nel momento in cui Adamo ed Eva commisero il peccato. Davide proclama: «La bontà del Signore è senza fine per quelli che lo temono… per quelli che custodiscono il suo patto e si ricordano di mettere in pratica i suoi comandamenti» (Sal 103:17,18).
La legge e il Vangelo al Sinai. C’è una stretta relazione tra il decalogo e il Vangelo. Il preambolo della legge, per esempio, si riferisce a Dio quale nostro Redentore (Es 20:1). E, dopo la proclamazione dei dieci comandamenti, Dio istruisce gli israeliti a erigere un altare e a cominciare a offrire sacrifici ricordando la sua grazia salvifica. Sul monte Sinai Dio dà a Mosè una grande porzione della legge cerimoniale per la costruzione del santuario in cui Dio avrebbe dimorato con il suo popolo e dove si sarebbe incontrato con esso per elargire le sue benedizioni e perdonare i loro peccati (24:9-31:18). Questa espansione del semplice sistema di sacrifici esistente prima del Sinai, prefigurava la mediazione di Cristo per la redenzione dei peccatori e per la riabilitazione dell’autorità e della santità della legge di Dio. La presenza dell’Altissimo si manifesta nel luogo santissimo del santuario terreno, sul propiziatorio dell’arca nella quale erano conservati le due tavole dei dieci comandamenti. Ogni aspetto del servizio del santuario prefigurava, o simboleggiava, il Salvatore. I sacrifici cruenti prefiguravano la sua morte espiatoria tramite la quale l’umanità sarebbe stata salvata dalla condanna della legge (cfr. capp. 4 e 9, pp. 35 e 104). Mentre il decalogo fu riposto all’interno dell’arca, le leggi cerimoniali, insieme alle leggi civili date dal Signore e scritte nel «libro della legge», furono poste a lato dell’arca dell’alleanza come «una testimonianza contro» il popolo (Dt 31:26). Ogni qualvolta che gli israeliti commettevano una trasgressione, questa «testimonianza» condannava le loro azioni e indicava a quali condizioni poteva essere riconciliato con Dio. Dal Sinai fino alla morte di Cristo, coloro che trasgredivano la legge del decalogo potevano trovare speranza, ottenere il perdono ed essere purificati per la fede nel «Vangelo» annunciato tramite la parabola del servizio nel santuario prescritto dalla legge cerimoniale.
La legge e il Vangelo dopo la croce. Come numerosi cristiani hanno potuto constatare, la Bibbia indica che se da un lato la morte di Cristo abolisce la legge cerimoniale, dall’altro afferma la continua validità della legge morale.20 Questo duplice aspetto è fondato sui seguenti elementi.
- La legge cerimoniale. La morte di Cristo porta a compimento il simbolismo profetico del sistema sacrificale. Il tipo (il rituale dei sacrifici) incontra l’antitipo (Gesù Cristo, l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo). Per questo motivo la legge cerimoniale è stata resa nulla. Secoli prima, Daniele aveva predetto che la morte del Messia avrebbe fatto «cessare sacrificio e offerta» (Dn 9:27; cfr. cap. 4, p. 35). Quando Gesù morì la cortina del tempio si squarciò in due da cima a fondo (Mt 27:51), per indicare che il rituale del tempio non aveva più alcuna ragion d’essere. Benché la legge cerimoniale avesse svolto un ruolo vitale prima della morte di Cristo, era imperfetta su molti aspetti; infatti non era altro che «ombra dei beni futuri» (Eb 10:1). La sua utilità era temporanea e i suoi precetti erano in vigore solo «fino al tempo di una loro riforma» (Eb 9:10; Gal 3:19),cioè fino al momento in cui Cristo morì quale vero Agnello di Dio. Alla morte di Cristo la giurisdizione della legge cerimoniale è stata abrogata. Il sacrificio espiatorio del Salvatore offre il perdono di tutti i peccati. Questo atto «ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce» (Col 2:14; Dt 31:26). Da quel momento in poi, non è più necessario compiere quelle elaborate cerimonie, incapaci e insufficienti in ogni caso a cancellare i peccati o a purificare le coscienze (Eb 10:4; 9:9,14). Non c’è più bisogno di preoccuparsi di adempiere quei riti cerimoniali, caratterizzati da complessi requisiti che comprendono offerte di cibo o bevande, celebrazioni di varie feste (Pasqua, Pentecoste, ecc.), noviluni e sabati cerimoniali (Col 2:16; Eb 9:10), i quali sono solo «un’ombra dei beni futuri» (10:1).21 Con la morte di Cristo, i credenti non hanno più alcun bisogno di avere a che fare con quelle ombre, pallidi riflessi della realtà splendente di Cristo. Ora possono avvicinarsi al Salvatore direttamente, poiché «la realtà invece è Cristo» (Col 2:17, BG). Per come gli ebrei la interpretavano, la legge cerimoniale era diventata una barriera tra loro e le altre nazioni. Era diventata un enorme impedimento alla missione di illuminare il mondo con la gloria di Dio. La morte di Cristo ha abolito questa «legge fatta di comandamenti in forma di precetti» facendo crollare «il muro di separazione» tra giudei e stranieri convertiti, in modo da creare un’unica famiglia di credenti riconciliati in «un corpo unico mediante la sua croce» (Ef 2:14-16).
- Il decalogo e la croce. Se da una parte la morte di Cristo segna la fine dell’autorità della legge cerimoniale, dall’altra consolida quella dei dieci comandamenti. Cristo toglie via la maledizione della legge, liberando in tal modo i credenti dalla sua condanna. Ciò non significa, tuttavia, l’abolizione della legge e la libertà di violare i suoi principi. L’ampia testimonianza che le Scritture ci offrono sull’eterna validità della legge, ci porta a rifiutare simile concetto. Calvino, in modo molto appropriato, afferma: «Non dobbiamo immaginare che la venuta di Cristo ci ha liberato dall’autorità della legge, poiché essa è la regola eterna per una vita devota e santa, e deve, perciò, essere immutabile quanto lo è la giustizia di Dio».22 Paolo descrive molto bene la relazione tra l’ubbidienza e la grazia salvifica del Vangelo. Volendo invitare i credenti a santificare la loro vita, egli li esorta a presentare loro stessi non «come strumenti d’iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio; infatti il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia» (Rm 6:13,14). Dunque, i cristiani non osservano la legge per ottenere la salvezza; coloro che tentano di salvarsi tramite l’osservanza della legge cadranno in una schiavitù del peccato ancora più grande. «Fino a quando un uomo è sotto la legge, rimane anche sotto il dominio del peccato, poiché la legge non può salvare né dalla condanna né dalla potenza del peccato. Ma coloro che sono sotto la grazia ricevono non solo la liberazione dalla condanna (8:1), ma anche la potenza per vincere (v. 14). Così il peccato non avrà più dominio su loro».23 «Cristo», aggiunge Paolo, «è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono» (10:4). Dunque, chiunque crede in Cristo comprende che egli è il fine della legge essendo l’unica via per ottenere la giustizia. Tutti noi, pur essendo peccatori, siamo giustificati in Cristo Gesù tramite la sua giustizia a noi imputata.24
Tuttavia, l’essere sotto la grazia non dà ai credenti la licenza di rimanere «nel peccato affinché la grazia abbondi» (Rm 6:1). Piuttosto, la grazia ci fornisce quella potenza capace di rendere possibile la nostra ubbidienza e la vittoria sul peccato. «Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» poiché vivono secondo «la legge dello Spirito della vita» (8:1,2). La morte di Cristo esalta la legge, confermando la sua autorità universale. Se il decalogo poteva essere cambiato, la sua morte non sarebbe stata necessaria. Ma, poiché questa legge è assoluta e immutabile, la sua morte è stata necessaria per riscattare la pena che essa imponeva. Questo requisito fu pienamente soddisfatto dalla morte di Cristo sulla croce, rendendo la vita eterna disponibile a tutti coloro che accettano il suo magnifico sacrificio.
L’ubbidienza alla legge
Nessuno può meritarsi la salvezza attraverso le loro buone opere, poiché l’ubbidienza è il frutto della salvezza in Cristo. Tramite la sua stupenda grazia, espressa in modo speciale alla croce, Dio ha liberato il suo popolo dal salario e dalla maledizione del peccato. Benché peccatori, Cristo dà la sua vita per procurare a noi la vita eterna. L’amore sovrabbondante di Dio risveglia nei peccatori pentiti una risposta che si manifesta in un’amorevole ubbidienza, resa possibile tramite la potenza della grazia così abbondantemente elargita. I credenti che comprendono il valore che Cristo dà alla legge, e che capiscono le benedizioni dell’ubbidienza, saranno fortemente motivati a vivere una vita secondo il suo modello.
Cristo e la legge. Come abbiamo appena visto, Cristo ha un grande apprezzamento per i dieci comandamenti. È stato lui stesso che, in quanto onnipotente «IO SONO», ha proclamato la legge morale del Padre dal monte Sinai (Gv 8:58; Es 3:14; cfr. cap. 4, p. 35). La sua missione sulla terra consiste proprio nel «rendere la sua legge grande e magnifica» (Is 42:21). Un brano dei salmi che il Nuovo Testamento applica a Cristo illustra chiaramente la sua attitudine: «Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore» (Sal 40:8; Eb 10:5,7). Il Vangelo di Cristo produce una fede che proclama la validità del decalogo, come ne testimonia questa dichiarazione di Paolo: «Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge» (Rm 3:31). Cristo è venuto sulla terra, dunque, non solo per redimere l’uomo ma anche per rivendicare l’autorità e la santità della legge di Dio, presentandone la magnificenza e la gloria all’umanità e dando un esempio di come relazionarsi con essa. Secondo l’esempio dei suoi discepoli, i cristiani sono chiamati a magnificare la legge di Dio nella loro vita. Avendo vissuto egli stesso una vita di amorevole ubbidienza, Cristo esorta i suoi amici all’osservanza dei comandamenti. Quando viene interrogato sui requisiti per la vita eterna, egli precisa: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19:17).
Inoltre, egli mette in guardia contro la violazione di questi principi: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Ai trasgressori della legge è impedito di entrare (Mt 7:21-23). Cristo stesso adempie la legge, senza eliminarla o distruggerla, ma incarnandola in una vita di ubbidienza. «Ricorda», dice, «finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto» (5:18). Cristo sottolinea più volte quale fosse il centro di tutta la legge di Dio e ci esorta ad averlo sempre bene in mente: ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso (22:37,38). Quando egli parla di amore non si riferisce a esso secondo la concezione del mondo, come qualcosa di egoistico o sentimentale. Per spiegare l’amore di cui parlava, Cristo dà un «nuovo comandamento» (Gv 13:34). Quest’ultimo non sostituisce il decalogo ma fornisce ai credenti «un esempio di ciò che il vero amore altruistico è realmente; un tale amore, infatti, non si era mai visto sulla terra. In questo senso il suo comandamento potrebbe essere descritto come nuovo. Li incaricava di amarsi “gli uni gli altri, come io ho amato voi”(15:12). Parlando in senso stretto, qui ci troviamo semplicemente di fronte a un’altra evidenza di come Cristo magnificò le leggi di suo Padre».25
L’ubbidienza rivela un tale amore. Gesù afferma: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (14:15). «Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore» (15:10). Allo stesso modo, se amiamo i figli di Dio, amiamo Dio e «osserviamo i suoi comandamenti» (1 Gv 2:3). Solo dimorando in Cristo ci è possibile ubbidire con il cuore. «Come il tralcio non può da sé dar frutto», dice Gesù, «se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me… Colui che dimora in me e nel quale io dimoro,porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15:4,5). Per dimorare in Cristo, dobbiamo essere crocifissi con lui e sperimentare ciò di cui parla Paolo quando scrive: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2:20). Per coloro che accettano di vivere e di trovarsi in tale condizione, Cristo può adempiere la promessa del suo nuovo patto: «Io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo» (Eb 8:10).
Le benedizioni dell’ubbidienza. L’ubbidienza sviluppa un carattere cristiano e genera un senso di benessere che permette ai credenti, quali «bambini appena nati», di crescere e di essere trasformati a immagine di Cristo (1 Pt 2:2; 2 Cor 3:18). Questa trasformazione, da peccatore a figlio di Dio, testimonia di fatto la potenza di Cristo. Le Scritture affermano: «Beati quelli… che camminano secondo la legge del Signore» (Sal 119:1); «il cui diletto è nella legge del Signore» e «su quella legge medita giorno e notte» (Sal 1:2). Le benedizioni derivanti dall’ubbidienza sono molteplici: a) la conoscenza e la saggezza (119:98,99); b) la pace (119:165; Is 48:18); c) la giustizia (Dt 6:25; Is 48:18); d) una vita onesta e pura (Prv 7:1-5); e) la conoscenza della verità (Gv 7:17); f) la protezione contro le malattie (Es 15:26); g) la longevità (Prv 3:1,2; 4:10,22); h) la certezza che le proprie preghiere riceveranno una risposta (1 Gv 3:22; cfr. Sal 66:18). Invitandoci all’ubbidienza, Dio promette abbondanti benedizioni (Lv 26:3-10; Dt 28:1-12). Quando rispondiamo positivamente, diventiamo il suo «tesoro particolare», «un regno di sacerdoti, una nazione santa» (Es 19:5,6; 1 Pt 2:5,9), innalzata «al di sopra di tutte le nazioni della terra» (Dt 28:1,13).
NOTE
1 F.B. HOLBROOK, «What God’s Law Means to Me», Adventist Review,15 gennaio,1987,p. 16.
2 Ellen G. WHITE, Selected Messages, libro 1, p. 235.
3 Ibid., p. 218.
4 Cfr. The Westminster Confession of Faith, 1647 , cap. XIX, in P. SCHAFF, The Creed of Christendom, vol. 3, pp. 640-644.
5 Cfr. TAYLOR G. BUNCH, The Ten Commandments, Review and Herald, Washington, D.C., 1944, p. 35, 36.
6 Cfr. «The Ten Commandments», in SDA Bible Commentary, ed. riv., p. 1106.
7 La legge di Mosè può anche riferirsi a una sezione dell’Antico Testamento chiamata Pentateuco (Torah), cioè ai primi cinque libri della Bibbia (Lc 24:44; At 28:23).
8 Nel libro del patto erano incluse regole civili e cerimoniali. I precetti civili non erano un’aggiunta a quelli del decalogo ma semplicemente delle applicazioni più specifiche dei suoi principi generali. Le regole cerimoniali prefiguravano il Vangelo, fornendo ai peccatori gli strumenti della grazia. Era dunque il decalogo che dominava il patto (cfr. Ger 7:21-23; F.D. NICOL, Answers to Objections, Review and Herald, Washington, D.C., 1952, pp. 62-68).
9 A. V. WALLENKAMPF,«Is Conscience a Safe Guide?», Review and Herald,11 aprile,1983,p. 6.
10 Alcuni hanno interpretato la dichiarazione di Paolo, «Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono» (Rm 10:4),per sottolineare che la fine, o lo scopo, della legge è quello di condurci al punto in cui ci è possibile vedere la nostra peccaminosità e andare a Cristo per ottenere il perdono e per ricevere, per fede, la sua giustizia (questo uso della parola «fine» [greco, telos] si trova anche in 1 Tm 1:5; Gc 5:11 e 1 Pt 1:9). Cfr. nota 23.
11 Cfr. SDA Bible Commentary, ed. riv., vol. 6, p. 961; Ellen G. WHITE, Selected Messages, book 1,p. 233. La legge cerimoniale era anche un pedagogo che guidava l’individuo a Cristo, in diversi modi. I servizi del santuario, con le offerte sacrificali, indicavano ai peccatori che il perdono dei peccati sarebbe stato possibile solo mediante il sangue dell’Agnello di Dio che doveva venire, prefigurando così la grazia del Vangelo. Essa era stata pensata per far nascere l’amore per la legge di Dio, mentre le offerte del sacrificio erano una drammatica rappresentazione dell’amore di Dio in Cristo.
12 Ibid., p. 213.
13 Ellen G. WHITE, La speranza dell’uomo, p. 243.
14 Cfr. Ellen G. WHITE, Principi di educazione cristiana, pp. 103-108.
15 Le confessioni di fede che sostengono la sua validità sono: Il Catechismo Valdese,c. 1500; Il Piccolo Catechismo di Lutero, 1529 d.C.; Il Catechismo Anglicano, 1549 e 1662 d.C.; La Confessione di Fede Scozzese, 1560 d.C. (riformato); Il Catechismo di Heidelberg, 1563 d.C. (Riformato); La Seconda Confessione Elvetica, 1566 d.C. (Riformata); I Trentanove Articoli della Religione, 1571 d. C., (La Chiesa d’Inghilterra); La Formula della Concordia, 1576 d. C.,(Luterana); Gli Articoli Irlandesi della Fede,1615 d.C.,(Chiesa Episcopale d’Irlanda); La Confessione di Fede di Westminster, 1647 d.C.; Il Catechismo Breve di Westminster, 1647 d.C.; La Confessione dei Valdesi, 1655 d.C.; La Dichiarazione di Savoia, 1658 d.C. (Congregazionalista), La Confessione della Società degli Amici, 1675 d.C., (Quaccheri); La Confessione di Filadelfia, 1688 d.C., (Battista); I Venticinque Articoli della Religione, 1784 d.C., (Metodista); La Conferenza del New Hampshire, 1833 d.C., (Battista); Il Catechismo ampliato della chiesa Cattolica Ortodossa Orientale,1839 d.C.,(Chiesa Greca-Russa),come citati nel The Creeds of Christendom, ed. Philp Schaff, ed. riv., di D. S. Schaff, Baker Book House, Grand Rapids, 1983, vol. 1-3.
16 Per i riferimenti al primo e al secondo comandamento Gn 35:1-4; al quarto Gn 2:1-3; al quinto Gn 18:19; al sesto Gn 4:8-11; al settimo Gn 39:7-9; 19:1-10; all’ottavo Gn 44:8; al nono Gn 12:11-20; 20:1-10; al decimo Gn 27.
17 L. E. FROOM, Prophetic Faith of our Fathers, vol. 1, pp. 456, 894; vol. 2, pp. 528, 784; vol. 3, pp. 252, 744; vol. 4, pp. 392, 846.
18 Questions on Doctrine, p. 142.
19 Caino e Abele erano familiari con il sistema sacrificale (Gn 4:3-5; Eb 11:4). È molto probabile che Adamo ed Eva abbiano ricevuto i loro primi abiti (Gn 3:21) dalle pelli degli animali sacrificati per l’espiazione dei loro peccati.
20 Cfr. le seguenti confessioni di fede storiche: La Confessione della Fede di Westminster, Gli Articoli Irlandesi della Religione; La Dichiarazione di Savoia; La Confessione di Filadelfia e Gli Articoli Metodisti della Religione.
21 Cfr. The SDA Bible Commentary, ed. riv., vol. 6, pp. 541, 542.
22 G. CALVINO, Commenting on a Harmony of the Evangelists,trad. Di William Pringle,Wm. B. Eerdmans, Grand Rapids, 1949, vol 1, p. 277.
23 The SDA Bible Commentary, ed. riv., vol. 6, pp. 541, 542.
24 Altri hanno interpretato l’espressione «Cristo quale termine della legge» come se indicasse Cristo quale fine, traguardo (Gal 3:4) o adempimento della legge (Mt 5:17). In ogni caso, l’interpretazione che vede Cristo come l’unico mezzo di salvezza (Rm 6:14) sembra meglio adattarsi al contesto di Romani 10:4. «Paolo contrasta la via della giustificazione per fede con il tentativo umano della giustificazione per le opere della legge. Il messaggio del Vangelo è che Cristo è il termine della legge come via di giustificazione per chiunque abbia fede» (SDA Bible Commentary, ed. riv., vol. 6, p. 595). Cfr. Ellen G. WHITE, Selected Messages, libro 1, p. 394.
25 F.D. NICHOL, Answers to Objections, pp. 100,101.