Il valore del sabato è tale che qualcuno affermò che «Quando Israele osserverà un solo sabato secondo le prescrizioni, il Messia verrà» (Esodo Rabba 25:12).
“Le tradizioni e i costumi degli uomini non devono mai prendere il posto della verità rivelata” (E. G. White).[1]
Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare» (Gv 5:9-9).
È difficile da immaginare: 38 anni di malattia debilitante senza che nessuno lo aiutasse a entrare nell’acqua! Il fatto che fosse lasciato indietro, scavalcato dagli altri che volevano arrivare lì per primi, ce la dice lunga sulla condizione di peccato e di egoismo dell’umanità. Se quest’uomo avesse potuto trovare quattro amici come quelli che aiutarono il paralitico di Marco 2, la sua situazione sarebbe stata molto diversa. Pur non potendo contare su nessun altro, l’uomo non fu abbandonato a se stesso: questa volta fu Gesù stesso, il Grande Medico, ad avvicinarsi a lui (Gv 5:2-18).
Dopo avere guarito l’uomo, anche se era di sabato, Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio, e cammina” (v. 8). Quando i capi del popolo lo videro che trasportava il suo lettuccio, lo accusarono di infrangere la legge. “È sabato”, gli dissero, “e non ti è permesso portare il tuo lettuccio” (v. 10).
Invece di stupirsi per la sua guarigione, forse anche felici per quest’uomo che era stato infermo così a lungo, essi si preoccuparono della “legge”. Anche se la Scrittura non lo dice, non sarebbe difficile immaginare questi accusatori come coloro che lo avevano ignorato e abbandonato a giacere per terra, senza cercare di condurlo alla vasca.
In che modo potrebbe accadere anche a noi di agire come le persone che accusarono l’infermo di trasgredire il sabato? Ognuno di noi dovrebbe pensare a se stesso e chiedersi: in che modo sono uno che aiuta, che lavora per aiutare le anime a trovare o a conoscere meglio il Cristo? o in che modo sono come coloro che si fissano sulla legge usandola, in realtà, come un mezzo per impedire alla gente di comprendere il Cristo e quello che lui ha fatto per loro?
Gesù, i Farisei e il sabato
Per gli ebrei il sabato aveva un triplice significato: come memoriale della creazione, perché Dio la suggellò il settimo giorno cessando ogni attività, “istituendo il sabato come giorno festivo e di adorazione”;[2] come segno di liberazione politica, perché l’ebreo, mentre riposa dopo le fatiche del suo lavoro, deve anche ricordare d’essere stato tratto dalla schiavitù d’Egitto al tempo dell’Esodo;[3] infine come strumento pedagogico per una convivenza sociale pacifica, perché il comandamento, nell’invito a riposare, sottrae l’uomo dal rischio di derubare o ingannare il prossimo, o comunque alla tentazione di far prevalere i propri interessi personali.[4]
Durante l’esilio babilonese, lontani dal tempio, il sabato rivestì un’importanza speciale come «luogo d’incontro». Circoli religiosi benintenzionati, mossi dal desiderio di preservare il riposo sabatico da qualsiasi violazione, lo circondarono di un insieme di regole e proibizioni che, paradossalmente, lo sacralizzarono fino a idolatrarlo. Questi ambienti separarono l’esigenza del rispetto per questo giorno dal suo contenuto di grazia; invece di insegnare a utilizzare al massimo il privilegio del sabato, s’impelagarono in un’interminabile serie di questioni relative alla sua trasgressione: quanto peso si poteva trasportare, che distanza si poteva percorrere, ecc. Insomma, il tutto si riduceva nello stabilire che cosa era «peccato» di sabato e cosa non lo era.
In seguito, «i Farisei accentuarono l’osservanza del sabato «con una valanga di ridicole prescrizioni che fecero di esso un peso insopportabile invece di una benedizione. Tali pesanti prescrizioni più tardi codificate nella Mishnah, costituivano una parte della tradizione alla quale Gesù si oppose vigorosamente (Mt 23:4; Mc 7:1‑13). La Mishnah elenca 39 specie di lavori vietati di sabato. Due parti di essa («Shabbath» e «Erubim») sono dedicate alle varie prescrizioni sul modo di osservare il sabato.[5] Proibito accendere un fuoco, scrivere più di due lettere dell’alfabeto, fare a piedi più di un chilometro circa (il cammin di sabato), guardarsi allo specchio appeso al muro. Un uovo scodellato da una gallina di sabato non poteva essere mangiato e doveva essere venduto ad un Gentile, così come pure a un Gentile era permesso accendere una candela o un fuoco di sabato. Non era permesso di sabato portare un fazzoletto a meno che un lembo di esso non fosse cucito al vestito nel qual caso era considerato parte del vestito».[6]
«I rabbini sottolineando così l’aspetto negativo dell’osservanza del sabato, magnificavano l’importanza della forma della religione a scapito della sostanza di essa. Nel rendere il sabato fine a se stesso essi facevano dell’uomo uno schiavo dell’istituzione. Queste cavillose prescrizioni servirono purtroppo ad oscurare il vero scopo del sabato. Questa insistenza rabbinica sulla rigida osservanza del sabato aveva raggiunto livelli di guardia durante il ministero terreno del Signore e su nessun altro punto Gesù entrò in così aspro conflitto con i principali della nazione come su quello dell’osservanza del sabato. Egli insegnò che il sabato fu fatto per il bene dell’uomo (Mc 2:27,28) sottolineando l’aspetto positivo dell’osservanza del sabato attraverso il tipo di attività da realizzarsi in quel giorno. Nulla disse, o fece, che fosse in contrasto al sabato come stabilito dai Dieci Comandamenti o dalla legge levitica. La sua protesta era esclusivamente diretta contro gli abusi patiti dal sabato nelle mani dei rabbini ed era suo scopo liberarlo dalle pesanti prescrizioni in cui lo avevano imprigionato (Mt 23:13). Era sua consuetudine consacrare il sabato frequentando i servizi religiosi, collaborando all’istruzione religiosa (Mc 1:21; 3:1; Lc 4:16‑27; 13:10), dandosi alle opere sociali (Mc 1:2931; 2:23; Lc 14:1‑3) e di misericordia. Sette delle sue guarigioni furono compiute di sabato (Mc 1:21‑31; 3:1‑5; Lc 13:10‑17; 14:1‑4; Gv 5:1‑15; 9:1‑7)».[7]
Il sabato e la grazia
Quando parliamo della grazia, è solito pensare alla salvezza offertaci da Dio nella persona di Gesù Cristo. Giustamente, Paolo evidenzia che «è per grazia che siamo stati salvati» (Ef 2:4-10), ma questo è uno dei molteplici aspetti della grazia, perché lo stesso apostolo parla delle «ricchezze della sua grazia» (Ef 1: 7). Come se questo non bastasse a descrivere l’eccellente bontà di Dio, Paolo rafforza la sua affermazione precedente parlando dell’«immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi» (Ef 2:7).
La grazia, secondo la Parola di Dio, ha anche un aspetto pratico: Dio aiuta il povero, l’oppresso, il malato terminale e tutti quelli che soffrono. Si rivolge a chi ha bisogno e risponde a quelle necessità che nessun altro può soddisfare. I suoi interventi implicano la liberazione e la protezione, il soccorso e la fortificazione. Pertanto, la grazia di Dio non si limita alla nostra salvezza.
Nel capitolo 3 Paolo parla della grazia di Dio che gli ha affidato un compito e un ministero particolari (vv. 2,7). Egli aggiunge: «A me, dico, che sono il minimo di tutti i santi, è stata data questa grazia di annunziare agli stranieri le insondabili ricchezze di Cristo» (v. 8).
Non solo Paolo è stato chiamato a un ministero specifico, ma anche ciascuno di noi. «A ciascuno di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono di Cristo» aggiunge l’apostolo in Efesi 4:7, elencando tutta una serie di doni spirituali (4:8-13). Per la grazia di Dio ogni singolo credente ha ricevuto almeno un dono spirituale, senza merito e senza alcuna possibilità di vanto. Questi doni sono stati dati per l’edificazione del corpo di Cristo, la chiesa, per aiutarla a crescere spiritualmente e numericamente e per favorire la sua unità (vv. 12-16).
Molti secoli prima di Paolo, il profeta Isaia, riferendosi all’opera del Messia, annunciava «l’anno di grazia del Signore»[8] con le seguenti parole: «Lo spirito del Signore, di DIO, è su di me, perché il SIGNORE mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, per proclamare l’anno di grazia del SIGNORE, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti; per mettere, per dare agli afflitti di Sion un diadema invece di cenere, olio di gioia invece di dolore, il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto, affinché siano chiamati terebinti di giustizia, la piantagione del SIGNORE per mostrare la sua gloria» (Is 61:1-3).
Questo annuncio profetico ci aiuta a capire che tutta l’attività di Gesù è espressione della grazia di Dio e che nulla di tutto quello che faceva era lasciato al caso o a coincidenze fortuite.
Ad esempio, i miracoli di Gesù «sono come le parole: esprimono sempre un’idea e un significato; oppure sono come i gesti , nei quali si incarna sempre un’intenzione e una volontà… esprimono la presenza di Dio che si rivela e agisce nella vita e nella storia degli uomini per la loro integrale liberazione. In essi si manifestano l’amore, la tenerezza, la fedeltà, la forza e la potenza di Dio. Sono i segni concreti del regno di Dio presente e futuro».[9]
Fra le tante guarigioni compiute da Gesù, come rivelazione della presenza del regno di Dio, manifestazione della sua grazia, sette di queste furono compiute di sabato. Ciò non dovrebbe essere considerato un fatto casuale, ma intenzionale.[10] Non solo per l’adempimento della profezia, ma soprattutto per la valenza teologica, sociale, esistenziale ed escatologica del settimo giorno (Gn 2:1-3; Es 20:8-11; Eb 4: 4-10, ecc.), per il significato simbolico del numero sette[11] e per i singoli eventi che analizzeremo in questo breve excursus.[12]
A. Capernaum (Mc 1: 21-28 ) – l’indemoniato
Le due guarigioni compiute in questo piccolo villaggio a ridosso del lago di Galilea, sono precedute dall’annuncio del Regno di Dio: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Mc 1.15), che costituisce la chiave interpretativa della chiamata dei primi discepoli (Mc 1: 16-20),[13] dei miracoli compiuti in giorno di sabato, del suo valore esistenziale e redentivo.
Subito dopo l’invito alla sequela, Marco ci presenta Gesù che insegna e che opera in un contesto religioso: la sinagoga; un ambiente ecclesiale, luogo d’incontro della comunità, di uomini (e donne) che pregano, che ascoltano la parola e lodano il Signore. Una sfera religiosa sacra come lo è il sabato dove si presume che Satana non possa agire o avere a che fare, ma non è così. Infatti, lo stesso spirito malvagio che tentò il Cristo nel deserto, ora possedeva l’indemoniato di Capernaum[14] e dominava gli ebrei increduli a loro insaputa. Gesù ingaggia una lotta contro il male liberando l’uomo dalla schiavitù di satana, offrendogli il diritto di esistere e di interagire con la comunità con serenità, libero da ogni forma di asservimento.
In questa miracolosa esperienza Gesù manifesta l’intenzione di Dio nel porre fine all’opera funesta di Satana nel mondo e nella chiesa, purificando il suo popolo da tutto ciò che è impuro e asfissiante, liberandolo da ogni forma di servilismo, di alienazione e di illusioni: «il Regno di Dio è il regno della giustizia, della libertà, della pace, dell’abbondanza, della verità, della fedeltà e dell’amore: il cambiamento radicale del regno dell’uomo»[15], di cui Satana ne è il sovrano (Gv 12:31; 14:30; 16:11), dal giorno in cui l’uomo si lasciò sedurre (Gn 3).[16]
Questo regno irrompe ovunque nel mondo e in primis nella comunità e non può essere ostacolato da nessuno, neppure da Satana o dai demoni: «Sta’ zitto ed esci da costui!» E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui (Mc 1:26).
La grazia di Dio squarcia le tenebre del male che soggiogava quel povero uomo e la comunità nel settimo giorno, precisamente nel giorno in cui gli ebrei da una parte ricordavano la liberazione dalla schiavitù Egiziana con suoi significati politici e religiosi,[17] dall’altra anelavano a un nuovo Mosè,[18] per liberarsi da quella romana.[19] Ma la vera liberazione non è politica, né istituzionale, ma spirituale e Gesù la offre all’uomo, affrancandolo dal peso del peccato e dalle grinfie di Satana, insegnando che il sabato è una festa di libertà e di redenzione, caratterizzata dallo stupore suscitato dalla grazia di Dio che invade il cuore dell’uomo e della comunità.
Nell’esperienza dell’indemoniato, il sabato acquista un doppio significato: un richiamo nostalgico dell’eden perduto e un invito alla gratitudine per quello che Dio ha fatto per noi, mediante il quale è possibile ritornare a casa, all’eden ritrovato. Nell’osservare questo santo giorno proclamiamo che l’anno di grazia è stato inaugurato e che possiamo sin d’ora vivere nel regno della sua grazia. Gesù recandosi «a Nazaret, dov’era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov’era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare l’anno accettevole del Signore». Poi, chiuso il libro e resolo all’inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite» (Lc 4:16-21).
Nell’osservanza del sabato la chiesa proclama l’anno di grazia del Signore come evento da una parte adempiuto, dall’altra in via di adempimento (Ebr 4: 4-11; cfr 9: 27-28), perché ci sarà un tempo in cui «non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21: 4). Il Sabato è segno di speranza vissuta e della grazia di Dio presente nei nostri cuori.
B. Capernaum (Mc 1: 29-31 ) – un’anziana donna
Mentre la folla che aveva visto la miracolosa liberazione si trovava ancora nella sinagoga, Gesù si ritirò nella casa di Pietro per riposarsi un po’. Ma in questa piccola casa era entrata la tristezza. La suocera di Pietro era afflitta da una febbre violenta. Gesù, con la sua presenza e senza proferire parola, guarisce la suocera di Pietro, la quale si mette a «servirli».[20]
È il miracolo apparentemente più insignificante del vangelo, tuttavia Marco lo pone all’inizio della missione di Gesù e pertanto dovrebbe servire a capire il tipo di sequela che il Signore si aspetta dai suoi seguaci e il modo cui dovremmo considerare il sabato.
Nel primo miracolo Gesù si rivolge all’uomo che fruisce del “potere” religioso, liberandolo dalla schiavitù di Satana, nel secondo si rivolge alla donna che a causa del peccato, nella prospettiva dell’evoluzione culturale, si trova nella condizione di sottomissione rispetto all’uomo (Gn 3.16), liberandola dal domino dell’uomo, invitandola ad orientare la sua vita a Cristo. [21] «Cosi questa donna che, come tale, nella cultura ebraica contava poco[22] … già vecchia e per di più suocera, è colei che per prima incarna e testimonia lo spirito del Signore. «Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono» (1 Cor 1:28)».[23]
La grazia di Dio restituisce alla donna la sua dignità e il diritto alla sequela, di cui il sabato ne è il segno. Il settimo giorno dunque ci ricorda che la grazia ci ha liberati dalla schiavitù del peccato per seguire Gesù «dovunque egli vada» (Ap 14:4); quindi uno strappo dalla realtà. Non un dietro front, ma rottura radicale con ogni forma di egemonia: culturale, spirituale, sociale, ecc. che tende ad impoverire o inibire la persona in tutti i suoi diritti, soprattutto quello di seguire Gesù. Non si deve ricominciare daccapo, ma iniziare a vivere. Un nascere di nuovo! (Gv 3:3-5). Ecco, il Sabato commemora la nuova nascita, il nuovo cammino, anche per la donna.
C. La mano paralizzata (Mc 3:1-5)
Il racconto di questa guarigione costituisce il culmine del contrasto tra Gesù e i Farisei. Nei precedenti brani ogni affermazione solenne di Gesù costituisce per gli avversari un motivo di scandalo “malizioso” e di polemica. Nel primo gli scribi contestano a Gesù «il potere di perdonare i peccati» (2:6-7), nel secondo gli scribi e i Farisei mettono in discussione il fatto che Gesù mangia con i pubblicani (2:16), nel terzo i seguaci di Giovanni e i Farisei polemizzano sul digiuno (2:18), nel quarto i farisei accusano i discepoli di Gesù perché mangiano dei chicchi di grano dopo aver raccolto delle spighe (2:24), ed infine i Farisei e quelli di Erode deliberano il modo in cui farlo fuori, perché Gesù aveva guarito un uomo in giorno di sabato (3:6).
Se nel primo miracolo la gente stupiva «del suo insegnamento, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (1:22) e rimanevano «sbalorditi per il modo in cui guarisce l’indemoniato» (1:27); in questo episodio la gente tace per paura dei Farisei, i quali «avevano già stabilito che se uno riconoscesse Gesù come Cristo, fosse espulso dalla sinagoga» (Gv 9: 22).
I Farisei cercavano in qualsiasi modo di precludere ogni possibilità alla sequela, ad essere diverso o a migliorare la qualità della vita identificandosi col nuovo che avanzava; per i farisei il «vino vecchio» che stava dissolvendosi era migliore e se il nuovo che progrediva e che inevitabilmente aveva bisogno di otri nuovi, non poteva essere accolto in otri vecchi, lo si rifiutava «a priori» (Mc 2:22).[24] E così che la religione si fa idolatria, perché si muove nell’ambito, delle tradizioni, delle lobby e del desiderio di onnipotenza dell’uomo. Ma il vino nuovo[25] ormai è già pronto, il regno di Dio irrompe e sostituisce il vecchio: vecchio è nuovo non possono stare insieme.
Gesù indignato e rattristato per la durezza dei loro cuori, che a causa del loro attaccamento alla legge e alla loro griglia interpretativa, erano diventati insensibili ai più fondamentali valori della Parola dei profeti, disse all’uomo che aveva la mano paralizzata e che era incapace di afferrare il nuovo e aprirsi all’evangelo: «Stendi la mano!» Egli la stese, e la sua mano tornò sana (3:3-5).
In questo miracolo, come pure in tutti gli altri, non si tratta di una semplice guarigione e ciò è ben evidenziato dalla domanda che Gesù pone ai presenti: «è permesso in giorno di sabato salvare la vita? (v.4)», pertanto «la guarigione in giorno di sabato è segno del dono della vita e della risurrezione dei morti, come in Gv 5:17-25».[26]
Gesù dunque restituisce il sabato di Dio all’uomo, affinché nel Figlio dell’uomo che è «la via, la verità e la vita»[27] e la risurrezione,[28] celebri la “vita”, ovvero se stesso quale fruitore della vita dono di Dio.
Il comandamento invita l’uomo a lavorare sei giorni, impegnando tutte le sue energie (Es 20:9) per guadagnarsi il pane con sudore, muovendosi fra «le spine e i rovi», simboli del decadimento, della morte e della non esistenza (Gn 3:18-19). A causa di questa debilitante ma fondamentale attività lavorativa, l’uomo allenta il contatto con Dio rischiando di staccarsene. In quanto essere vivente creato ad immagine di Dio ha bisogno del riposo sabatico che lo aiuta a recuperare se stesso nel Creatore.
Il sabato dunque è il giorno in cui celebriamo la vita con sano orgoglio, in quanto riscopriamo e riconosciamo di essere beneficiari di questo dono e, grazie alla gioia della salvezza, del suo divenire escatologico.
Il sabato dovrebbe essere per la famiglia un momento di pace, di serenità e di gioia, perché è la festa per eccellenza in cui si decanta alla vita. I genitori dovrebbero approfittare del giorno di sabato per favorire l’educazione religiosa dei propri figli, per far scoprire la gioia di vivere l’oggi nella prospettiva del trionfo della vita sul male. Ecco quanto scrisse la White a questo proposito: «I genitori possono rendere il Sabato, come dovrebbe essere, il giorno più felice della settimana. Essi possono guidare i loro figli a considerarlo una gioia, il giorno più bello di tutti, il giorno santo ed onorevole del Signore».[29]
Il sabato è un giorno in cui dovremmo fare attenzione a non trasformare l’adorazione in un rito angoscioso, umiliante, con richiami avvilenti e/o moralizzanti o in una serie di riunioni lunghe, debilitanti e noiose che umiliano la vita e la persona. Il sabato è un giorno di festa, eutrofico: un riposo divino di gioia pura e di esultanza per l’inquietudine umana: un sorridere alla vita dono di Dio. «Non è tempo di ansia o preoccupazione personale, di qualunque attività che possa smorzare lo spirito della gioia… Il sabato non è tempo per ricordare i peccati, per confessare o pentirsi e nemmeno per invocare sollievo o chiedere qualunque cosa di cui possiamo avere bisogno; è un giorno fatto per la lode, non per le suppliche. Il digiuno, il lutto, le manifestazioni di dolore sono proibiti… Durante il settimo giorno ci si deve astenere dalla fatica e dallo sforzo, perfino nel servizio di Dio».[30]
Vissuto nell’ottica della grazia il sabato ci aiuta a dare un senso escatologico alla nostra vita: un profumo d’eternità.
D. La donna paralitica (Lc 13:10-17)
Dopo la guarigione della suocera di Pietro, al termine del sabato, Gesù poté operare numerose guarigioni così come ci racconta il Vangelo: «fattosi sera, quando il sole fu tramontato, gli condussero tutti i malati e gli indemoniati […] Egli ne guarì molti che soffrivano di diverse malattie, e scacciò molti demoni e non permetteva loro di parlare, perché lo conoscevano» (Mc 1:32-33). Nell’episodio del recupero della salute della paralitica, invece, fra Gesù e i sofferenti si frappone un ostacolo: il capo della sinagoga. Egli, illecitamente indignato, perché Gesù aveva «fatto una guarigione di sabato» invita gli ammalati a non lasciarsi guarire tale giorno (Lc 13:14).
Questo episodio ci aiuta a cogliere una nuova dimensione del sabato: il suo valore umanitario. I Farisei volevano utilizzare la legge e l’osservanza del sabato per ricacciare Dio fuori dell’umanità, impedendo l’opera di Cristo. Non erano disposti a riconoscere Dio nel povero, nel malato, nel bisognoso. Avevano decretato che in giorno di sabato non ci si doveva prendere cura di un infermo, offrendo così un’immagine distorta di Dio.
Avevano separato l’esigenza del rispetto per questo giorno dal suo contenuto di grazia; invece di insegnare a utilizzare al massimo il privilegio del sabato, s’impegolarono in un’interminabile serie di questioni relative alla sua trasgressione tali da cadere nell’ipocrisia che bene evidenziava Gesù «ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? E questa, che è figlia di Abraamo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?» (Lc 13: 15-16)
Percorrendo il sinuoso tracciato del legalismo avevano dimenticato che sin dall’Antico Testamento, molti precetti trascendono l’ambito della giustizia e sono veri principi umanitari. «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19:18) è un ideale che riassume, in realtà, unitamente all’amore di Dio, il fine ultimo di tutta la legge biblica, compreso il sabato. «Se ci sarà in mezzo a voi in una delle città del paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà, un fratello bisognoso non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso» (Dt 15:7). «Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te» (Lv 25:35-36; cfr Is 58).[31]
Pertanto, Gesù con questo miracolo testimoniò «che l’opera in favore degli afflitti era in armonia sia con la legge del sabato sia con l’opera degli angeli di Dio che, per soccorrere l’umanità sofferente, vanno e vengono continuamente dal cielo sulla terra. Gesù dichiarò: «Il Padre mio opera fino ad ora, ed anche io opero» (Giovanni 5:17). Tutti i giorni appartengono a Dio, e in essi egli attua il suo piano in favore dell’umanità. Se l’interpretazione che gli ebrei davano alla legge fosse stata corretta, Dio avrebbe sbagliato conferendo la vita e sostenendola in ogni cosa vivente, fin dalla fondazione della terra. E colui che aveva definito ogni sua opera buona e aveva istituito il sabato per commemorarla, avrebbe dovuto sospendere il suo lavoro e arrestare il moto infinito dell’universo. Il Signore dovrebbe forse ordinare al sole d’interrompere la sua funzione in giorno di sabato, impedendo ai suoi raggi benefici di riscaldare la terra e nutrire la vegetazione? Gli astri devono fermarsi in quel giorno santo? Dovrebbe ordinare ai ruscelli di cessare di scorrere nei campi e nelle foreste; alle onde del mare di calmarsi dal loro continuo flusso e riflusso? Dovrebbe il grano interrompere di crescere e il grappolo che matura ritardare di colorarsi? Gli alberi e i fiori dovrebbero in giorno di sabato rinunciare a produrre gemme e boccioli? Se così fosse, gli uomini perderebbero i frutti della terra e le benedizioni che rendono la vita gradevole. Ma il corso della natura deve continuare. Se Dio chiude per un istante la mano, l’uomo si indebolisce e muore. Anche l’uomo ha, in quel giorno, un compito da svolgere. Deve occuparsi delle necessità della vita, curare gli ammalati, pensare concretamente ai sofferenti. Chi trascura di aiutarli in giorno di sabato non è senza colpa. Il santo giorno di riposo è stato fatto per l’uomo, e le opere di assistenza sono in perfetta armonia con il suo significato. Dio non vuole che le sue creature sopportino una sofferenza che potrebbe essere alleviata di sabato come in un qualsiasi altro giorno».[32]
È in quest’ottica che dobbiamo leggere Isaia 58, dove l’invito ad osservare il sabato è preceduto da una serie di considerazioni relative al prendersi cura degli indigenti e a praticare la giustizia.
Il sabato, vissuto nella grazia di Dio, impone una disarticolazione da se stessi.[33] Ma quest’atto è difficile dall’attuarsi, perché è più comodo ritrovarsi in chiesa per cantare, lodare, ascoltare, parlare ecc., piuttosto che confrontarsi con la sofferenza, invitando dentro di noi l’altro, che diventa più importante di noi stessi e liberandolo dalle sue angosce esistenziali, fisiche e psichiche.
E. L’idropico[34] (Lc 14:1-4)
Nel precedente episodio ci si è trovati in un luogo di culto dove il capo della sinagoga non si rivolge direttamente a Gesù, unico responsabile dell’accaduto, ma alla gente, che a sua insaputa, è usata per lanciare un messaggio indiretto a Gesù, evitando un conflitto d’autorità.[35] Inoltre, si ravvisa la vergogna dei suoi nemici in contrasto alla gioia esuberante della folla. In questa vicenda, invece, ci troviamo a casa «di uno dei principali Farisei»; una persona influente, il quale assieme ad altri dottori della legge e farisei, osservavano intenzionalmente Gesù.[36]
Nel mezzo del ricevimento, nella sala da pranzo, improvvisamente si presenta un uomo idropico.[37] Considerato il comportamento disdicevole[38] dei presenti, Gesù coglie l’occasione rivolgendo loro una specifica domanda: «È lecito o no far guarigioni in giorno di sabato?» (v. 3).
Una domanda inerente all’atteggiamento prevenuto dei convenuti, i quali, apparentemente sereni, persistono nella strategia del silenzio[39] prefigurante sia il distacco dalla realtà contingente e da Gesù, sia la decisione di ucciderlo. Ma Gesù non lasciandosi soggiogare dai loro penetranti e scaltri sguardi, prese per mano l’infelice, «lo guarì e lo congedò». «Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?». Ed essi, denudati della loro ipocrisia e non potendo «rispondere nulla in contrario» (Lc 14:5-6): tacquero![40]
Gesù, in questa guarigione, evidenzia uno degli aspetti più rivelanti delle relazioni umane: il rispetto della dignità della persona. Il sabato non è solo il memoriale della creazione in senso generale, ma, nello specifico, della creazione dell’uomo ad immagine di Dio, di cui Gesù è «l’immagine ideale».[41] In questo giorno sacro, in un modo del tutto particolare siamo invitati a ricordarci della dignità della persona perché siamo stati creati ad immagine di Dio. E anche se l’uomo è stato deturpato e sfigurato dal peccato, grazie a Gesù «si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l’ha creato» (Col 3.10).[42] Questo implica anche imparare a applicarsi «nell’abitudine di parlare bene degli altri. Soffermarsi sulle buone qualità di coloro che sono vicini e cercare di minimizzare, per quanto possibile, i loro errori e i loro difetti”.[43]
I Farisei, impeciati dalle loro tradizioni avevano capovolto la logica divina: davano più importanza ad una bestia, che indubbiamente comportava una perdita finanziaria qualora fosse rimasta nel pozzo, rispetto all’uomo;[44] avevano dimenticato che il carattere unico della razza umana risiede nel fatto che noi siamo stati creati ad immagine di Dio (Genesi 1:27). Infatti, la creazione di Adamo ed Eva non si è realizzata nello stesso modo in cui è avvenuta quella del resto del creato. Il Signore ha parlato ed il mondo naturale è venuto all’esistenza. La parola precede l’esistenza. Nel caso di Adamo ed Eva, invece, non viene formulata alcuna parola: la voce di Dio viene trasmessa loro direttamente solo dopo che essi furono creati (Genesi 1: 20-30; 2:16). Essi sono stati scelti da Dio come destinatari della Sua parola. In altri termini, gli esseri umani sono delle creature con le quali il Signore può entrare in relazione per rivolgersi ad altre persone di pari dignità.
Il sabato dunque commemora il capolavoro della creazione: l’uomo, nel suo diritto di esistere, di pensare, di parlare, di interagire e di essere soccorso senza che sia lesa la sua onorabilità di creatura e di figlio di Dio. Il valore umanitario del sabato è intimamente legato alla dignità della persona (Rm 12: 9-16).
F. Il paralitico e il cieco (Gv 5:1-16; Gv 9.1-7)
Nelle precedenti esperienze spirituali, Gesù si muove, manifestando la grazia redentiva di Dio, in giorno di Sabato, nell’ambito ecclesiale (sinagoga), familiare (casa) e in Galilea, lontano da Gerusalemme, dal tempio e dal potere legislativo centrale: il Sinedrio.[45] In questi racconti miracolosi Gesù lo troviamo a Gerusalemme: nel primo in occasione di una festa non precisata, nel secondo nella festa dei tabernacoli o delle capanne.[46]
Le due guarigioni si espletano all’aperto, per strada e «presso la piscina[47] o porta delle pecore,[48] chiamata in ebraico Bēthesdá» che in aramaico significa «casa di misericordia».[49] I due uomini guariti sono malati cronici: uno invalido da trentotto anni, solo e abbandonato a se stesso (5: 5, 7); l’altro cieco dalla nascita (9: 2), ma con una essenziale differenza. Nel paralitico rileviamo una responsabilità personale (5:14),[50] nel cieco la conseguenza del peccato in generale (Gv 9: 2-3; Rm 5: 12).[51] «In entrambi i casi Cristo disse all’uomo di agire. Al paralitico disse: «Levati, prendi il tuo lettuccio, e cammina» (5: 8); al cieco: «Va’, lavati nella vasca di Siloe» (9: 7). Entrambe queste azioni sono in contrasto con le leggi rabbiniche sul Sabato; entrambe sono usate dai farisei per accusare Cristo di trasgressione del Sabato (Gv 5: 10, 16; 9: 14-16). In tutti e due i casi Cristo rifiutò l’accusa argomentando che le sue opere di salvezza non sono precluse ma piuttosto contemplate dal comandamento del Sabato (5: 17; 7: 23; 9: 4). La giustificazione di Cristo è espressa in particolare da una frase memorabile: «Il Padre mio opera fino ad ora, ed anche io opero» (Gv 5: 17; cfr. 9: 4)».[52]
Tale difesa, che ci permette di cogliere un nuovo significato sul sabato: compiere opere di redenzione, ci induce a credere che Gesù agisca di proposito. Infatti, avrebbe potuto guarire questi due infermi in un altro giorno della settimana o avrebbe potuto farlo senza ordinare al paralitico di portarsi via il letto e al cieco di lavarsi nella vasca di Siloe (9:7), evitando così di accentuare il conflitto esistente con i membri del sinedrio e i farisei. Ma se Gesù avesse agito nel silenzio o in un altro giorno della settimana, lasciandosi dominare dal pensiero altrui, avrebbe dimostrato di non essere una persona libera e di non operare in armonia con la volontà del Padre e si sarebbe privato dell’occasione di chiarire il vero significato del sabato. Avrebbe appoggiato indirettamente tutte quelle arbitrarie restrizioni che la classe dirigente aveva imposto agli ebrei relative all’osservanza del giorno festivo.
Pertanto, Gesù con queste due guarigioni ci invita a vivere o a operare nel settimo giorno compiendo opere redentrici, fuori dalle mura della chiesa o dall’ambiente familiare. Il credente è chiamato a vivere il discepolato, acquisendo un atteggiamento compassionevole verso i meno fortunati che sono fuori dall’ovile (Gv 10:16), rispondendo in concreto ai relativi bisogni e offrendo loro la gioia della salvezza.[53]
«Il Sabato è per Cristo il giorno in cui operare per la redenzione dell’uomo nella sua totalità. Ciò è confermato dal fatto che in entrambe le guarigioni Cristo cercò nello stesso giorno gli uomini guariti e avendoli trovati supplì alle loro esigenze spirituali (5: 14; 9: 35-38). I suoi oppositori non potevano percepire la natura redentiva del suo ministero sabatico perché «giudicavano secondo le apparenze» (7: 24). Per loro il lettuccio e il fango sono più importanti delle riconciliazioni sociali (5: 10) e del recupero della vista (9: 14) che questi oggetti simboleggiavano. Fu dunque necessario per Cristo agire contro la concezione prevalente per reintegrare il Sabato nella sua funzione positiva».[54]
Gesù, in Giovanni 9: 4 estende ai suoi seguaci l’invito ad operare seguendo il suo esempio : «bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può operare. La «notte» si riferisce evidentemente alla conclusione della storia della salvezza, una conclusione che troviamo implicita nella frase avverbiale «fino ad ora». Una tale conclusione di attività redentive divino-umane ci introdurrà nel Sabato finale del quale il Sabato creativo era un prototipo. Per far sì che il Sabato finale si realizzi, la Divinità «opera» per la nostra salvezza (Giovanni 5: 17), ma anche noi dobbiamo operare per estenderla agli altri (9: 4).
Signore del Sabato (Mc 2:23-28)
Gesù e i discepoli camminano lungo un sentiero attraverso i campi. I discepoli «ebbero fame e presero a svellere delle spighe ed a mangiare» (Matteo 12: 1). «I farisei che, chissà come, sono anch’essi nel campo in quel giorno, considerano tale azione una profanazione del Sabato e si lamentano con Gesù, dicendo: «Vedi! perché fanno di Sabato quel che non è lecito?» (Marco 2: 24).[55] Ci si chiede prima di tutto: perché i discepoli mitigavano la loro fame mangiando spighe di grano crude? La presenza dei Farisei fra di loro suggerisce che probabilmente tutti avevano partecipato al servizio del Sabato alla sinagoga, non avendo ricevuto nessun invito a pranzo, i discepoli stavano raccogliendo e mangiavano grano crudo mentre camminavano per la strada cercando un posto per riposare.[56] Se questo fosse stato il caso, allora la risposta di Cristo ai farisei con la sua citazione di Osea: « Voglio misericordia e non sacrificio » (Mt 12: 7) avrebbe potuto ben contenere un valido rimprovero per la mancanza di ospitalità in giorno di Sabato».[57]
L’ingiunzione «voglio misericordia e non sacrificio» esplicita inequivocabilmente che «il sabato è stato fatto per l’uomo non l’uomo per il sabato». Questa dichiarazione sottintende che senza il sabato l’uomo mancherà sempre di qualcosa. Per questa ragione Gesù dedica specialmente questo giorno alla salute del corpo, della mente e dello spirito (Mc 2:23-28; Gv 5:8-9; 9). La sua azione umanitaria, misericordiosa e redentiva rivela le sue vere finalità. Nel ricordare che il sabato non è fine a se stesso, ma è un mezzo di benedizione, Gesù gli restituirà l’allegria perduta e, con essa, la possibilità di viverlo senza timore, nella piena armonia alla quale Dio ci chiama.[58] Il suo sabato è una festa della libertà recuperata, un segno della giustificazione per fede, della rinascita. «Se i Farisei avessero realmente capito il vero significato della parola profetica che pone la misericordia, l’amore compassionevole al di sopra di ogni pratica di culto, avrebbero anche mostrato comprensione per la fame dei discepoli».[59] Ma «il carico di osservanze aveva fatto dimenticare il significato liberatore del sabato. Gesù avrebbe ricordato ai farisei che lungo il percorso del legalismo si sarebbero sviati dalla primitiva intenzione del comandamento. Gesù non si riconosceva signore di un sabato che schiavizza, frustra o tormenta, vissuto come un sacrificio. Il suo sabato eleva l’uomo. Nessuna astensione osservata senza amore, per timore od obbligo, può trasformare il riposo, in un atto spirituale, indipendentemente dal giorno che uno osserva.[60]
«Perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato» (Mc 2: 28). Quest’ultima affermazione è il punto nodale di tutto il brano. «Il paragone allusivo con Davide,[61] tipo del re messianico, serve da controfigura a Gesù e aiuta a capire il significato di questa affermazione. Il resto del brano carico di «gioioso annuncio», in cui si proclama che oramai «il sabato è per l’uomo» deriva dall’aver capito che Gesù, il Figlio dell’uomo è Signore del sabato».[62] In questa frase Gesù come «figlio dell’uomo» da una parte rivendica a sé il potere di spiegare il comandamento del sabato in modo autorevole rivelando la vera intenzioni di Dio, stabilendo ciò che è permesso e ciò che non è permesso di sabato; dall’altra conferisce al sabato un valore escatologico. Il sabato dunque non è solo segno della presenza del regno di Dio, della sua grazia redentrice,[63] ma anche segno del tempo della fine, del compimento della redenzione (Mt 24:24; Eb 9:27-28; Ap 21: 1-8).
Il sabato, dunque, è un giorno di riposo, di benedizione e di letizia, pertanto non è saggio indirizzare il pensiero alle tenebre della nostra vita, mortificandoci per le nostre omissioni e rivolgendoci al Signore con uno stato d’animo che poco s’addice ad una festa. Il sabato è una ricorrenza di ringraziamento, di libertà, di emancipazione dalla fatiche della settimana, un uscire fuori dall’Egitto della nostra vita e riposarsi all’ombra della grazia di Dio. Non è un semplice giorno di ozio, ma piuttosto un’opportunità di crescita, di condivisione e di servizio che si rinnova ogni sabato in vista del suo compimento escatologico (Eb 4:9-11). Un giorno in cui, liberi da ogni preoccupazione di lavoro e dalle sinuose griglie interpretative farisaiche, possiamo sperimentare liberamente per fede la grazia liberatrice di Dio.
«Il significato del Sabato di Dio non è abolito dal peccato dell’uomo; ma esso è intensificato da questa ribellione. Ora più che mai, il Sabato diventa segno della grazia di Dio verso un mondo che dipende da Lui, ma che rifiuta di riconoscerlo. Questo aspetto del riposo di Dio stabilisce una continuità tra la creazione e la redenzione. Il riposo di Dio non è distrutto dalle azioni degli uomini; esso sussiste, e resiste alla loro indifferenza e alla loro irrazionalità. La santificazione del Sabato è il monumento commemorativo nel presente della creazione futura, dei nuovi cieli e della nuova terra».[64]
Schema riassuntivo:
Episodio | Luogo | Regione o città | Destinatario del miracolo | Situazione fisica | Liberazione da
o reazioni a |
Valore e insegnamento del sabato che si riscopre |
1 – Mc 1: 21-28 | sinagoga | Galilea | Uomo | Indemoniato | Dominio di Satana | esultanza |
2 – Mc 1: 29-31 | casa | Galilea | Donna | Febbre | Dominio dell’uomo | sequela |
3 – Lc 13:10-17 | sinagoga | Galilea | Uomo | Mano paralizzata | silenzio della gente e cuore duro | Celebrare la vita |
4 – Lc 14:1-4 | sinagoga | Galilea | Donna | Paralizzata | ostacolo del capo della sinagoga | Valore umanitario |
5 | casa | Galilea | Uomo | Idropico | silenzio dei presenti | Dignità della persona |
6 – Giov 5:1-6 | All’aperto – piscina di Siloe | Gerusalemme – festa non specificata | Uomo | Paralizzato | Tentativo di lapidazione di Gesù | Operare come Gesù |
7 – Giov 9 | All’aperto – per strada | Gerusalemme – festa dei tabernacoli | Uomo | Cieco | Paura dei genitori | Operare come Gesù |
Precetto | Inglese | Italiano |
1 | one who sows | SEMINARE |
2 | ploughs | ARARE |
3 | reaps | MIETERE, FALCIARE |
4 | binds sheaves | LEGARE COVONI |
5 | threshes | TREBBIARE |
6 | winnows | VENTILARE, VAGLIARE, SPARPAGLIARE |
7 | selects [fit from unfit produce or crops] | SELEZIONARE, SEPARARE IL BUONO DAL MARCIO, ECC |
8 | grinds | MACINARE |
9 | sifts | SETACCIARE |
10 | kneads | IMPASTARE |
11 | bakes | CUCINARE |
12 | one who shears wool | TOSARE LA LANA |
13 | washes it | LAVARE |
14 | beats it | BATTERE, SBATTERE |
15 | dyes it | COLORARE |
16 | spins | FILARE |
17 | weaves | TESSERE |
18 | makes two loops | FARE DUE NODI |
19 | weaves two threads | TESSERE DUE FILI |
20 | separates two threads | SEPARARE DUE FILI |
21 | ties | LEGARE, ALLACCIARE |
22 | unties | SLEGARE, SLACCIARE |
23 | sews two stitches | CUCIRE DUE PUNTI DI CUCITO |
24 | tears in order to sew two stitches | ROMPERE, STRACCIARE PER CUCIRE DUE PUNTI |
25 | one who traps a deer | PRENDERE CON UNA TRAPPOLA CERVIDI – DAINI, CAPRIOLI, CERVI, ALCI ECC |
26 | slaughters it | MACELLARE |
27 | flays it | SCORTICARE, SCUOIARE |
28 | salts it | SALARE, ASPERGERE |
29 | cures its hide | CURARSI MEDICALMENTE LA PELLE |
30 | scrapes it | RASCHIARE |
31 | and cuts it up | ED ASPORTARE TRAMITE TAGLIO |
32 | one who writes two letters | SCRIVERE DUE LETTERE |
33 | erases two letters in order to write two letters | CANCELLARE DUE LETTERE PER SCRIVERE DUE LETTERE |
34 | one who builds | FABBRICARE |
35 | tears down | STRAPPARE, STACCARE |
36 | one who put out a fire | SPEGNERE UN FUOCO |
37 | kindles a fire | ACCENDERE UN FUOCO |
38 | one who hits with a hammer | BATTERE CON UN MARTELLO |
39 | one who transports an object from one domain to another | TRASPORTARE UN OGGETTO DA UN LUOGO AD UN ALTRO |
Note:
[1] E. G. White, “Gli uomini che vinsero un impero”, p. 125, ed. AdV, Falciani – Impruneta (Fi)
[2] cfr. Gen 2:2-3 e Es 20:11
[3] cfr. Es 23,12 e Dt 5,14 s.
[4] Es 20:8-10; Is 58
[5] Cfr. Mishnà, Shabb. VII, 2
[6] “Dizionario di dottrine bibliche”, ed. AdV, Impruneta (FI), 1990, voce: sabato.
[7] “S.D.A. Bible Dictionary”, p 937 – cit. in Dizionario di dottrine bibliche, ed. AdV, Impruneta (FI), 1990, voce: sabato.
[8] L’anno di grazia indica il periodo di tempo in cui Dio compie la salvezza. L’espressione si rifà all’idea dell’anno giubilare, durante il quale si dovevano liberare gli schiavi e condonare i debiti (Lev 25:10ss; cfr. Ez 46:17).
[9] AA.VV. “Una comunità legge il Vangelo di Marco2, vol. 1, p. 75, ed. Dehoniane Bologna, 1975. (Cfr. Lc 10:9; 11:20; 17.21).
[10] Paul K. Jewett nota con perspicacia: «Troviamo nelle guarigioni fatte di Sabato, non solo atti di amore, compassione e misericordia, ma veri “atti sabatici”, atti che mostrano come il Sabato messianico, l’adempimento del riposo sabatico dell’Antico Testamento, abbia fatto irruzione nel mondo. Quindi il Sabato fra tutti i giorni è quello più appropriato per effettuare guarigioni» (P. K. Jewett (n.49), p. 42). Allo stesso modo C. F. Evans nota che «Cristo fece uno sforzo speciale per guarire di Sabato… In risposta alla regola della sinagoga, la quale affermava che è possibile guarire di Sabato solo se si deve salvare la vita, Gesù rivendica il Sabato come giorno necessario per quella guarigione che è la liberazione di un membro del popolo scelto dalla schiavitù di Satana (Luca 13: 14-16). Il Sabato, quale memoriale di pace e di riposo divino, è il giorno più adatto per compiere quelle opere che costituiscono il suo adempimento, in quanto esse sono segni dell’avvento dell’ordine messianico di pace» (C. F. Evans, «Sabbath», A Theological Word Book of The Bible, 1959, p. 205). Cit. da S. Bacchiocchi in “Riposo divino per l’inquietudine umana”, p 134, ed. Adv, Falciani, Impruneta (Fi), 1983.
[11] SETTE. Ebr: Shvâ’, gr: heptà. Di tutti i numeri che ricorrono nella Bibbia, il 7 è di certo il più significativo. Questo numero ritorna molte volte dalla Genesi all’Apocalisse. Chi ucciderà Caino sarà punito 7 volte di più (Gen 4:15); 7 paia di animali puri sono ammessi nell’arca (Gen 7:3); 7 anni di carestia flagellano l’Egitto (Gen 41:26); 7 volte il sangue delle vittime sacrificali deve essere asperso davanti alla cortina (Lev 4:6, ecc); 7 luci splendono sul candelabro (Num 8:2); per 7 giorni e 7 volte il 7 ° giorno Gerico deve essere circuita dagli uomini d’Israele prima di crollare (Gios 6:4); 7 anni dura la costruzione del Tempio di Salomone (1 Re 6:38); 7 volte al giorno il Salmista lodava l’Eterno (Sai 119:164); 7 volte cade il giusto e si rialza (Prov 24:16); 7 diaconi servono la prima comunità cristiana (Atti 6:3). Il numero 7 nella Bibbia denota totalità, pienezza, tanto nel bene quanto nel male, e solo in senso buono compiutezza, perfezione. In 7 giorni Dio compie l’opera creativa (Gen 2:1,2); il 7° giorno commemora e celebra la perfetta creazione di Dio (Gen 2:1‑3; Es 20:11); 7 giorni durano le solennità degli Azzimi (Es 12:15) e delle Capanne (Lev 23:42) che commemoravano la salvezza di tutto Israele e preannunciavano la piena redenzione finale di tutto il popolo di Dio. Ogni 7 anni cadeva l’anno sabatico, occasione di riposo della terra (Lev 25:4,5) e di affrancamento degli schiavi (Deut 15:12; Ger 34:14), e ogni 7 anni sabatici ricorreva il Giubileo in cui le proprietà tornavano in possesso di chi le aveva vendute (Lev 25:8,10). Entrambe queste solennità erano tipo della perfetta emancipazione messianica (Is 61:1,2; Lc 4:18,19,21). Quando Gesù dice a Pietro che si deve perdonare 70 volte (Mt 18:21,22) vuole significare che non ci sono limiti al perdono. Nella Bibbia il 7 è simbolo di pienezza anche nel male. Lo spirito immondo uscito da un posseduto ritorna con 7 spiriti peggiori di lui qualora questi persista nel male (Mt 12:45): significa che chi indurisce ostinatamente il suo cuore cade totalmente sotto il dominio del maligno. Se Maria Maddalena è stata posseduta da 7 demoni (Lc 8:2), vuol dire che era stata completamente controllata da Satana. Anche nell’Apocalisse il numero 7 compare come simbolo di pienezza in senso negativo: il Dragone e la Bestia hanno 7 teste, sintesi simbolica di tutte le forze ostili manovrate da Satana che nel corso della storia hanno contrastato il popolo di Dio. – “Dizionario di dottrine bibliche2, op.cit. voce: Numeri.
[12] In tutti gli episodi che prenderemo in considerazione in questo breve studio, si evince con trasparenza che i Farisei non accusano Gesù di abolire il sabato come giorno festivo, ma di trasgressione del comandamento alla luce della loro griglia interpretativa del comandamento. La domanda che Gesù pone agli attenti e maldestri osservatori, quali erano i farisei, non mette in discussione l’osservanza del sabato quale settimo giorno della settimana, ma il modo in cui deve essere osservato. Infatti, Gesù dice: «È lecito far guarigioni in giorno di sabato?». Gesù «era solito andare» in giorno di sabato nella sinagoga (Luca 4:16; Marco 4:21) e desiderava che i suoi discepoli continuassero a osservare il sabato anche dopo la sua ascesa al cielo. Infatti, mentre parlava loro prevedendo la rovina di Gerusalemme, che doveva verificarsi quarant’anni dopo la sua morte, disse: «Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato» (Matteo 24:20). Con queste parole Cristo lascia intendere, per la futura chiesa cristiana, la normalità e la necessità dell’osservanza del giorno di Dio. «Non c’è dubbio, afferma la teologa cattolica Marie Vidal, che gli apostoli e i discepoli di Gesù amassero e praticassero intensamente il giorno del shabbat. Non c’è dubbio che la chiesa primitiva teneva alto il fervore per questo giorno. Più tardi, alcuni episodi sabatici dell’evangelo iniziarono ad avere una lettura negativa. Questa lettura obbediva a un disegno malintenzionato, quello di presentare sotto una cattiva luce l’osservanza di questo giorno. Forse, un giorno la chiesa riconoscerà di essersi sbagliata e prenderà coscienza che nel disprezzare il sabato ha disprezzato Gesù» – “Le juif Jésus et le sabba”, Albin Michel, Paris, 1997, p. 20.
[13] I discepoli sono i primi testimoni del regno di Dio che si manifesta in tutta la sua grazia in giorno di sabato e pertanto sono invitati a collaborare con Gesù in quest’opera.
[14] «La causa vera della disgrazia di quell’uomo, che era diventato uno spettacolo orrendo per gli amici e un tormento per se stesso, risiedeva nella sua condotta. Affascinato dai piaceri peccaminosi, aveva pensato di fare della vita una festa continua. Non immaginava che un giorno sarebbe diventato oggetto di orrore per gli altri e motivo di obbrobrio per la sua famiglia. Riteneva di poter passare la vita in follie innocenti. Ma, iniziata la china, la discesa fu rapida. L’intemperanza e la frivolezza pervertirono le doti del suo animo, e Satana s’impossessò completamente di lui. Troppo tardi si rese conto della sua rovina. Allora avrebbe sacrificato ricchezze e piaceri per recuperare la salute perduta, ma era ormai vittima del diavolo. Era sceso sul terreno del nemico che si era impossessato di lui. Il tentatore lo aveva lusingato e sedotto e, quando l’infelice fu in suo potere, si mostrò crudele e terribile nelle sue visite. Ciò avviene a chiunque cede al male. I piaceri seducenti conducono alle tenebre della disperazione o alla follia della rovina». – E. G. White, “La speranza dell’uomo”, p. 182-183, Ed. AdV, Impruneta (Fi), 1988.
[15] AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 41, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[16] L’esperienza dolorosa e irresponsabile di quest’uomo rievoca quella di Adamo. Creato ad immagine di Dio nell’aspetto e nel carattere, dotato di una forza intellettuale pregevole e con ogni possibile motivazione alla fedeltà (Gn 1:27); inserito in una “comunità“[16] incontaminata e sacra, dove durante il giorno godeva della bellezza della natura, della compagnia degli angeli e nel settimo giorno dell’amicizia di Dio (Gn 2:1-3), fino al giorno in cui decise di condividere il destino di Eva: «se fosse morta, sarebbe morto con lei. Forse, pensò, le parole del saggio serpente potevano essere vere. Eva era davanti a lui, in apparenza bella e innocente come prima, e gli assicurava che lo avrebbe amato più di prima. In lei non era visibile nessun segno di morte. Adamo decise di affrontare tutte le conseguenze della disubbidienza: afferrò il frutto e lo mangiò rapidamente. In un primo momento anch’egli immaginò di essere entrato in una sfera di esistenza più elevata, ma ben presto il pensiero del peccato lo riempì di terrore. L’aria, fino a poco tempo prima mite e tiepida, alla coppia colpevole, sembrò improvvisamente gelida. L’amore e la pace in cui erano vissuti fino ad allora erano ormai svaniti, lasciando un senso di colpa, di vuoto e di paura per il futuro».[16] Satana era riuscito ad istaurare il suo regno di terrore, sulla terra (Gn 3; cfr. Ap 12:12).
[17] La libertà offerta da Dio non aveva solo una valenza politica, ma soprattutto religiosa. Dio chiama Israele fuori dall’Egitto per farne una nazione eletta, un reale sacerdozio stabilendo con esso un patto.
[18] Mosè, nella sua qualità di profeta del popolo da lui liberato dall’Egitto, nella prospettiva profetica, rappresenta Cristo: il profeta per eccellenza (Deut. 18: 15), Colui che avrebbe liberato definitivamente gli uomini da una schiavitù maggiore: quella del peccato.
[19] L’attesa del messia politico ai tempi di Gesù era molto forte al punto che egli fu tradito da Giuda e gli altri undici compresero la sua opera solo dopo la risurrezione.
[20] «Essa si mise a servirli»: notiamo il tempo del verbo nell’originale greco («li serviva», imperfetto), che rende il significato di un atteggiamento continuato, in contrasto con i tempi definitivamente passati degli altri verbi del contesto. AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 57, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[21] Il fatto che la donna «si mette a servire è segno, come dicevano gli antichi padri, che è guarita subito e bene. In senso più profondo è però un segno che è guarita «totalmente» dalla febbre che tiene in suo potere l’uomo e può quindi seguire Gesù, vivendo oramai nello spirito di colui che dice di se stesso: «non sono venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10:45)». – AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 57, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[22] Da un’affermazione del Talmud di Rabbi Elietzer l’insegnamento della Torà alle figlie è considerato tiflut, immorale, superfluo. Altre affermazioni: «Si brucino le parole della Torà, ma non siano comunicate alle donne (J. Sota 19 a 18). Chi insegna a sua figlia la Torà, le insegna la dissolutezza (Sota 3, 4 cf Soba 21b)» A. Oepke, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia 1966, vol. II. p. 709, alla voce: guné – L’ebreo ortodosso nella sua preghiera del mattino ringrazia ogni giorno Dio per non averlo creato donna, ancora oggi una donna non potrebbe leggere in pubblico la Torà e le donne non possono neppure formare il numero necessario allo svolgimento di una celebrazione liturgica, per la quale secondo la concezione ortodossa occorrono almeno 10 uomini. Nelle sinagoghe ortodosse viene rigorosamente rispettata la separazione fisica di uomini e donne, come ai tempi di Gesù.
[23] Idem, p. 58
[24] “Gli otri di pelle che venivano usati per il vino nuovo, dopo un po’ di tempo diventavano secchi e fragili e non si potevano più usare per lo stesso scopo. Con questa immagine Gesù illustrò la condizione dei capi del popolo. I sacerdoti, gli scribi e i capi si erano irrigiditi in una serie di cerimonie e tradizioni. I loro cuori si erano induriti come gli otri asciutti ai quali li aveva paragonati. Essendo soddisfatti di una religione formale, per loro era impossibile ricevere la verità del cielo. Erano soddisfatti della propria giustizia e non desideravano che nessun elemento nuovo penetrasse nella loro religione”. (E.G.White, “La Speranza dell’uomo”, Ed. AdV, Falciani Impruneta (Fi), p. 200-201).
[25] “L’insegnamento del Cristo, benché rappresentato dal vino nuovo, non era una nuova dottrina ma piuttosto la rivelazione di ciò che era stato insegnato fin dal principio. Ma per i farisei la verità di Dio aveva perso il suo significato e la sua bellezza originali. Per loro l’insegnamento del Cristo era nuovo in quasi tutti i suoi aspetti e non lo riconobbero e non lo confessarono.” – Idem, p. 201
[26] AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 100, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[27] Giovanni 14:6.
[28] Giovanni 11:25.
[29] E.G. White, “Testimonies for the Church”, 1948 VI, p. 359. Cit. Da Samuele Bachiocchi, op.cit., p. 179.
[30] A. J. Heschel, “Il sabato, il suo significato per l’uomo moderno”, (trad. di L. ed E. Mortara), Rusconi editore, Milano, 1972, pp. 46-48.
[31] In questa direzione vanno molte disposizioni che non hanno altro limite che la generosità umana. Per esempio, la prescrizione relativa ai covoni «dimenticati» in vista dei poveri (Lv 19:9; Dt 24:19-22), si giustificano sulla base del fatto che «anche tu sei stato povero e schiavo nel paese d’Egitto e io (Dio) ti ho tratto fuori dalla miseria». La responsabilità verso il prossimo in questa singolare legge, non solo esige di prestare attenzione alle sue necessità fisiche (Dt 15:7), ma anche a quelle psicologiche e spirituali.
[32] E. G. White, “La Speranza dell’uomo”, p. 146, ed. AdV – Falciani – Impruneta (Fi) 1998.
[33] Uscire da se stessi, dal proprio egocentrismo.
[34] Termine non più in uso per indicare condizioni morbose caratterizzate dalla presenza di liquido nel tessuto sottocutaneo e nelle varie cavità sierose.
[35] Gesù parlava, insegnava e operava con autorità (cfr. Mt 7:29; 9:6; Lc 4:32, ecc.).
[36] Sono anche menzionati il bue e l’asino con la differenza che nel precedente episodio vengono sciolti per essere dissetati, ciò implica un movimento orizzontale; in questo racconto gli animali cadendo nel pozzo devo essere tirati su e pertanto contiene un azione verticale, molto più faticosa. Comunque entrambe le situazioni coinvolgono l’uomo che paradossalmente ha sviluppato e riservato una attenzione marginale rispetto agli animali e a se stesso. Infatti, l’animale può essere salvato immediatamente, l’uomo, per quanto sia caduto in basso e/o in pericolo di vita, quindi in una condizione gravissima, deve aspettare: «può essere tirato su» solo dopo il tramonto del sabato. In altre parole se per caso un uomo fosse caduto il venerdì dopo il tramonto doveva rimanere nel pozzo 24 ore prima che qualcuno s’interessasse di metterlo in salvo, qualora fosse rimasto vivo.
[37] L’apparizione improvvisa dell’uomo idropico, da una parte ci fa pensare agli usi orientali dove gli era permesso di entrare nella case di estranei in occasione di qualche festa o di un banchetto, dall’altra ad un piano prestabilito dei farisei,considerato che erano alquanto prevenuti nei confronti di Gesù.
[38] È possibile che Gesù sia stato invitato per essere spiato e non per l’onore dovuto all’ospite secondo la cultura orientale.
[39] Nell’episodio precedente il capo della sinagoga esprime la sua contrarietà e il miracolo determina una risposta contrastante: vergogna – esultanza. In questa esperienza domina il silenzio: parla solo Gesù.
[40] Per due volte il testo informa che i presenti tacquero. Anche noi quando siamo denudati della nostra ipocrisia in rapporto al valore che diamo all’altro o ai riguardi personali in qualche modo stiamo zitti.
[41] Genesi 1:27: Colossesi 1:15.
[42] I Farisei consideravano la malattia come logica conseguenza del peccato.
[43] E.G.White, “Sulle Orme del Gran Medico”, vol. 4, p. 212, ed. AdV, Impruneta – Fi
[44] Genesi 2:20 ci informa che Adamo diede i nomi agli animali. Questo atto implica la superiorità dell’uomo rispetto ad ogni altro essere vivente sulla terra. Paolo afferma che la creazione è sottomessa all’uomo e che subisce le conseguenze del peccato a causa di questi (Rm 8: 18-21).
[45] Il Sinedrio di Gerusalemme era l’organo preposto all’emanazione delle leggi ed alla gestione della giustizia e dell’ordine pubblico. Era composto dai capi sacerdoti, degli anziani, degli scribi.
[46] Il 15 del mese di Tishri ricorre la festa delle Capanne (Succot) che si celebra in memoria delle Capanne abitate dagli ebrei durante i 40 anni della loro permanenza nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto. Nel formulario di preghiere questa festa è chiamata zéman simhaténu, «il tempo della nostra gioia», in quanto la Toràh raccomanda di celebrarla e di festeggiarla con allegria. Durante i sette giorni della festa, è comandato di abitare nella Capanna (Sukkà), elemento fondamentale della festa, costruita all’aria aperta ad imitazione di quelle utilizzate dagli ebrei nel deserto. Il digiuno è bandito durante i giorni di costruzione e preparazione delle capanne (Succot). Un’altra caratteristica di questa festa è il Lulav, composto da un lungo ramo di palma, insieme ad alcuni rami di mirto e di salice, accompagnati da un ramo di cedro. Il Lulav si tiene in mano durante le preghiere e il canto dell’Alleluia e degli Osanna.
[47] Il popolo credeva che le acque venissero agitate per l’intervento di un potere soprannaturale e colui che vi scendeva per primo sarebbe guarito da qualunque malattia. Forse era una piscina alimentata da una sorgente d’acqua. «Si può pensare che ciò si verificasse per l’afflusso di acqua nuova, pulita, impedita fino al quale momento di riversarsi nella piscina; il fenomeno poteva coincidere con i casi di reflusso di acque che o cadevano da un bacino dei raccolta situato in posizione più elevata nella stessa valle, o era spinte nella valle da un movimento dell’aria». Dalman, cit. in A. Wikenhauser, “L’evangelo secondo Giovanni”, Ed. Morcelliana, 1974, Brescia, p. 196
[48] La porta delle pecore, di cui si parla in Nehemia 3: 1.32; 12:39, si apre nel muro a nord della spianata del tempio e pare che debba il nome al fatto che attraverso questa porta venivano portati al tempio gli agnelli per i sacrifici.
[49] In alcuni manoscritti antichi bētzatá (in aramaico: crepaccio, taglio).
[50] La sua malattia era in gran parte causata da colpe di cui si era macchiato.
[51] Gli ebrei generalmente credevano che il peccato fosse punito in questa vita. Ogni sofferenza era considerata come la punizione di qualche errore compiuto o da colui che soffriva o dai suoi genitori. È vero che ogni sofferenza è la conseguenza della trasgressione della legge di Dio, ma questa verità era stata alterata. Satana, l’autore del peccato e delle sue conseguenze, ha indotto gli uomini a pensare che la malattia e la morte siano state volute da Dio come una punizione arbitraria del peccato. Così chi soffriva molto, colpito da qualche grave sventura, doveva portare anche il peso di essere considerato un grande peccatore. Questa concezione predisponeva gli ebrei a rifiutare Gesù. Colui che portava i nostri dolori e le nostre malattie, era spregiato, «pari a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia» (Isaia 53:3). E. G. White, “La Speranza dell’uomo”, Falciani – Impruneta (Fi), p. 357.
[52] S. Bacchiocchi, “Riposo divino per l’inquietudine umana”, p 135, ed. Adv, Falciani, Impruneta (Fi), 1983.
[53] Non risponde al modello divino osservare il sabato rimanendo «24» ore dentro le mura del luogo di culto, tralasciando di impegnarsi seriamente verso chi è afflitto dal dolore, dalla paura del non senso, dell’inutile, e continuare a rimanere devoti al proprio ‘rosario’, o passare un’infinità di ore in riunioni, per blaterare dottrinalmente e sui bisogni dell’altro, non è cristiano né umano. È indifferenza. Un’ottima strategia amministrativa per giustificare le proprie omissioni, lasciando l’altro in balia di se stesso e nel suo dolore. L’uomo del tempo presente, come i farisei, è un eccesso di amor proprio, di violenza e di cattiveria, incapace di dare senso ai propri gesti e alla propria vita.
[54] S. Bacchiocchi, o.c. p. 136
[55] Questa azione era proibita in giorno di sabato, perché i farisei del tempo di Gesù la consideravano come un tutt’uno con i lavori della mietitura.
[56] Ellen White esprime questo punto di vista, dicendo: «Un sabato tornando dal luogo di adorazione, il Salvatore e i suoi discepoli passarono attraverso un campo di grano maturo» (La speranza dell’uomo, 1998, p. 205). D. A. Carson interpreta l’episodio come «una piacevole passeggiata fatta di Sabato pomeriggio» (n. 56), p. 57 ss. Questa interpretazione riflette le abitudini del tempo ma difficilmente si accorda con le restrizioni circa il cammino (il cammino di un giorno di Sabato era di circa un chilometro), ma potrebbe riflettere anche l’intenzione di Gesù nel porre fine alla ridicola restrizione.
[57] S. Bacchiocchi, o.c. p. 138,139.
[58] “È cosi colpito nel cuore ogni moralismo e formalismo, ogni legalismo e giuridismo, ogni ritualismo e dogmatismo: dove la norma morale e giuridica, il rito e l’espressione della fede, sono validi in se stessi e per se stessi, indipendentemente dal riferimento all’uomo.” AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 94, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[59] Josef Schmid, “L’evangelo secondo Matteo”, p. 273, ed. Morcelliana – Brescia, 1976.
[60] C. GOLDSTEIN, “A Pause for Peace”, Pacific Press, Boise (Idaho), 1992, p. 16.
[61] L’episodio di Davide non riguarda il riposo del sabato, ma mostra che la legge non vincolava in caso di estrema necessità e pertanto la misericordia, la compassione prevale sul formalismo caratterizzato da inutili sacrifici.
[62] AA.VV. “Un comunità legge il Vangelo di Marco”, vol. 1, p. 93, ed. Dehoniane Bologna, 1975.
[63] Karl Barth ha riconosciuto e sottolineato il significato e la funzione redentiva del Sabato. James Brown riassume il punto di vista di Barth dicendo: «Il significato fondamentale del Sabato è che esso è soprattutto un segno di salvezza offerto da Dio nella sua relazione di alleanza con le sue creature» (« The Doctrine of the Sabbath in Karl Barth’s Church Dogmatics», Scottish Journal of Theology, 20 [1967].
[64] Paul Wells, “Le sabbat signe escatologiche” Revue Réformé, p. 140, 1976.