Ventitré motivi per osservare il sabato

Ventitré motivi per osservare il sabato

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14:15).

Molti credono che come cristiani non siamo più tenuti a osservare il sabato. Alcuni pensano che non c’è nessun giorno specifico da dedicare al riposo ma che ognuno lo fa quando può o gli conviene, per cui anche la domenica è osservata non tanto per onorare una volontà divina ma per un’abitudine sociale. Altri, invece, credono che la domenica sia il nuovo giorno comandato da Dio. Noi non giudichiamo la coscienza di nessuno ma desideriamo invitare tutti a considerare la questione da un punto di vista biblico per vedere veramente quale sia l’insegnamento di Dio. Come disse un giorno l’apostolo Paolo, «esaminate ogni cosa e ritenete il bene» (1 Tess 5:21). Alla sua luce, ognuno potrà giudicare se la nostra convinzione è ben fondata oppure no.

Una breve storia

Credere che il sabato debba continuare a essere un giorno santo anche per i cristiani non è una strana idea sviluppata dalla mente degli avventisti del settimo giorno. Alcuni cristiani hanno continuato a osservare il sabato lungo tutto il corso della storia della chiesa. Possiamo proporre qui solo alcuni pochi esempi.

Dall’antico scrittore cristiano Epifanio sappiamo che i cristiani che fuggirono da Gerusalemme poco prima della sua distruzione per opera dei Romani nel 70 d.C., e che erano noti col nome di nazareni, osservano il sabato fino all’epoca della sua vita (c. 314-403).[1] Si tratta dei discendenti dei primi cristiani in assoluto, quelli che per primi ricevettero l’insegnamento degli apostoli e di cui conservarono l’abitudine a osservare il sabato.

Anche nella provincia romana dell’Asia (l’attuale Turchia) c’erano dei cristiani che osservarono il sabato fino al IV secolo. Il canone 29 del sinodo di Laodicea (c. 364) ammoniva infatti i cristiani a «non giudaizzare riposandosi in giorno di sabato». «A Costantinopoli», dice Sozomeno (c. 400-447), «il popolo di Costantinopoli, e quasi in ogni altro luogo, si riunisce insieme il giorno di sabato, come anche il primo giorno della settimana, costume che non è mai osservato a Roma o ad Alessandria».[2] Da dove veniva questa abitudine di continuare a osservare il sabato nonostante molti avessero accettato anche la domenica, se non dalla tradizione cristiana antica? Vediamo dunque che in oriente, prima di diventare il solo giorno di riposo religioso, la domenica fu osservata insieme con il sabato. Solo dopo qualche tempo, la domenica diventò il solo giorno da osservare. Come sappiamo da molte fonti antiche, Roma fu il centro di questo cambiamento. Come si vede dalla citazione precedente, Roma aveva abbandonato il sabato insieme ad Alessandria d’Egitto molto tempo prima di quanto avvenne in oriente.

La Riforma protestante, con il suo invito a ritornare alla Bibbia come sola regola di fede, aiutò alcuni a riscoprire il sabato. Lutero pensava che «Da quando il nostro Signore è venuto», abbiamo la libertà, se il sabato o la domenica non ci piace, di trasformare in domenica il lunedì o un altro giorno della settimana».[3] Ma alcuni collaboratori di Lutero, come Andreas Karlstadt, cominciarono a pensare in modo diverso, chiedendosi se fosse veramente possibile osservare il sabato (il termine sabato significa «riposo») in giorno di domenica.[4] Tra gli anabattisti alcuni erano osservatori del sabato. I battisti del settimo giorno (il giorno biblico del sabato) sembra che siano stati il primo gruppo di puritani inglesi a osservare il sabato. Quando fuggirono in America per sfuggire alle persecuzioni, portarono con sé la loro fede. Una di loro, la signora Rachel Oaken, condivise successivamente la sua convinzione sul sabato con un pastore avventista (gli avventisti erano stati fino ad allora osservatori della domenica). Da quel primo momento, gli avventisti hanno cominciato a osservare il sabato e sono diventati il più grande gruppo cristiano a farlo.[5]

Tuttavia, siccome la nostra fede deve essere fondata sulla Bibbia e non sulla storia della chiesa o sulla tradizione, rivolgiamoci a essa per scoprirne il vero insegnamento. Per quali motivi biblici ritengo che come cristiani siamo chiamati a osservare il sabato? A quelli qui elencati se ne potrebbero anche aggiungere altri e ognuno potrà scoprirne alcuni.

Motivi tratti dall’Antico Testamento

1) Perché è un ricordo eterno e universale della creazione.

«Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta» (Gn 2:2,3).[6] È vero, come fanno notare alcuni, che questo testo non si esprime in forma di comando, ma questo non significa nulla. Per due ragioni: 1) ognuno comprende che se Dio ha santificato (cioè messo da parte per un uso santo) questo giorno, è chiaro che chi lo deve santificare, vivere come giorno santo, è proprio l’uomo per il quale esso è creato; 2) il fatto che Dio lo ha benedetto non significa che sia il giorno in quanto tale a essere il beneficiario di tale benedizione, ma l’uomo che vive in esso. Come dirà Gesù, «il sabato è stato fatto per l’uomo» (Mc 2:27). È quindi chiaro che la benedizione riversata sul sabato è intesa per l’uomo, ma ciò può avvenire solo se l’uomo osserva il sabato. Poiché, quindi, il sabato fu stabilito alla creazione, esso non è connesso alla storia di Israele o alla dispensazione ebraica. Venendo dalla creazione del genere umano, riguarda ogni essere umano. Se il peccato non fosse esistito a corrompere il rapporto tra gli uomini e Dio, tutti i discendenti dei nostri primi progenitori avrebbero continuato a osservare il sabato per tutta l’eternità. Il peccato, tuttavia, non può annullare la volontà di Dio e il suo progetto per la nostra vita. I cristiani dovrebbero continuare a considerare un loro privilegio quello di essere testimoni del progetto originale di Dio per l’umanità. Questo significato del sabato è affermato direttamente anche nel decalogo, la legge fondamentale data da Dio al suo polo sul Monte Sinai: «Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro … poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato» (Es 20:8-9,11).

2) Perché è parte della legge eterna dell’Eden e non solo di quella del Sinai.

Abitualmente i cristiani pensano che nella Bibbia ci sia una sola legge, quella del Sinai. Se però studiamo attentamente la Bibbia, scopriamo che ce n’è almeno un’altra: quella dell’Eden. La legge data al Sinai doveva far fronte all’esistenza del peccato e tenere conto della debolezza dell’uomo. Aveva quindi elementi di transitorietà fino a quando l’uomo e la creazione intera sarebbero stati pienamente restaurati nella loro perfezione originaria (Rm 8:20-25). La legge dell’Eden esprimeva invece la volontà eterna di Dio in modo perfetto, incontaminato. Gesù distingue tra queste due leggi invitandoci a superare i limiti della legge sinaitica per ritornare alla pienezza di quella dell’Eden. Lo vediamo dal suo dialogo con i farisei a proposito del divorzio: «Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: “É lecito mandar via la propria moglie per un motivo qualsiasi?” Ed egli rispose loro: “Non avete letto che il Creatore, da principio, li creò maschio e femmina e che disse: ‘Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si unirà con sua moglie, e i due saranno una sola carne?’. Così non sono più due, ma una sola carne; quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Essi gli dissero: “Perché dunque Mosè comandò di scriverle un atto di ripudio e di mandarla via?” Gesù disse loro: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandar via le vostre mogli; ma da principio non era così. Ma io vi dico che chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio”» (Mt 19:3-9). Possiamo vedere come Gesù vada oltre i limiti della legge mosaica in rapporto al matrimonio. Facendo questo, però, non elimina il matrimonio; ne rafforza invece il senso e i vincoli richiamandosi alla legge dell’Eden come espressione di una volontà eterna e immutabile di Dio. Mentre la legge del Sinai, condizionata dalla durezza del cuore dell’uomo, deve essere superata, quella dell’Eden va invece osservata. Il Sabato è, insieme al matrimonio, parte fondamentale della legge dell’Eden: non dovremmo quindi osservarlo allo stesso modo in cui, come cristiani, siamo chiamati a onorare il matrimonio?

3) Perché è parte della legge morale fondamentale dei dieci comandamenti, e non delle altre.[7]

La legge che Dio diede al suo popolo è una realtà complessa. Vi si trovano norme morali, igieniche, religiose, civili, agricole, e molte altre ancora. Non possiamo comprendere e giudicare tutte queste leggi allo stesso modo. Alcune hanno un valore momentaneo perché connesse, ad esempio, a situazioni socioeconomiche specifiche, altre hanno un valore eterno e universale. Tutti i cristiani concordano nel credere che i dieci comandamenti costituiscano la parte centrale e fondamentale della legge. Sono come la costituzione di un popolo rispetto all’insieme di tutte le altre leggi particolari. Il valore morale e spirituale del decalogo è immenso. Senza di esso nessuna società umana potrebbe sopravvivere. Dio stesso indicò il particolare significato di questa legge almeno in tre modi:

A) Mentre le altre leggi furono scritte attraverso Mosè (Dt 31:24), il decalogo fu scritto (per ben due volte) direttamente da Dio (Es 32:15,16; 34:1).

B) Mentre le altre leggi erano conservate accanto all’arca del patto (Dt 31:26), il Decalogo fu conservato dentro l’arca (Es 25:16; Dt 10:21).

C) Tutte le leggi date da Dio sono importanti e hanno a che fare con il patto tra lui e il suo popolo. In questa prospettiva, il libro che le contiene è definito «libro del patto» (Es 24:7), ma il decalogo si evidenzia in modo particolare perché solo esso è chiamato «la testimonianza» (Es 25:16) e l’arca che lo conteneva «arca della testimonianza» (Es 25:22; 26:33,34; 30:6,26 ecc).[8]

Nessuno oserebbe dire che i cristiani possono disubbidire al comandamento che vieta di uccidere o di adorare altri dèi. Anche quei cristiani che sostengono che le leggi dell’AnticoTestamento sono state abolite da Gesù [cosa non vera, come vedremo tra poco], in pratica aboliscono poi solo il comandamento che riguarda il sabato. È coerente tutto ciò? Quello che sto dicendo, a mia conoscenza, non è affermato direttamente da nessun teologo ma lo vediamo, di fatto, nella vita pratica e nell’insegnamento di molti: anche coloro che dicono che la legge è stata abolita continuano a insegnare che dobbiamo ubbidire ai dieci comandamenti eccetto quello sul sabato. A noi sembra molto incoerente: il sabato è parte integrale di una legge unica, il decalogo, e se questo è stato abolito, allora tutti e dieci i comandamenti sono aboliti, non solo il sabato. Se invece dobbiamo continuare a osservare gli altri nove, su quale base oggettivamente biblica si deve escludere quello sul sabato?

4) Perché Dio onorò il giorno del sabato con un doppio miracolo durato quaranta anni.

Questo miracolo cominciò prima che Israele raggiungesse il Monte Sinai (dove Dio stabilì la sua alleanza con loro), quando Dio cominciò a fere scendere la manna. Possiamo leggere questa storia in Esodo 16:13-35. Ogni giorno, ognuno poteva raccogliere la manna necessaria per quel giorno. Se uno ne raccoglieva anche per il giorno successivo «imputridiva e veniva infestato dai vermi» (v. 20). Tuttavia, un venerdì, il popolo ne raccolse spontaneamente una doppia quantità. Quando i capi se ne accorsero denunciarono il fatto a Mosè che, però, disse: «“Questo è quello che ha detto il SIGNORE: ‘Domani è un giorno solenne di riposo: un sabato sacro al SIGNORE; fate cuocere oggi quello che avete da cuocere, e fate bollire quello che avete da bollire; tutto quel che vi avanza, riponetelo e conservatelo fino a domani’”. Essi dunque lo misero da parte fino all’indomani, come Mosè aveva ordinato, e quello non imputridì e non fu infestato dai vermi. Mosè disse: “Mangiatelo oggi, perché oggi è il sabato sacro al SIGNORE; oggi non ne troverete nei campi. Raccoglietene durante sei giorni; ma il settimo giorno è il sabato; in quel giorno non ve ne sarà”» (vv. 23-26).

Il primo miracolo è che la manna scendeva dal cielo ogni giorno, eccetto il sabato, in modo che il popolo potesse nutrirsene senza dover lavorare nel giorno di riposo. Il secondo è che la manna raccolta in più il venerdì non s’inverminiva, a differenza di quella raccolta in più negli altri giorni. In questo modo, per ben quaranta anni, Dio insegnò al suo popolo a osservare il sabato come qualcosa d’importante.

C’è anche in questa storia un altro elemento importante da considerare. È chiaro che la gente, senza esserne informata (se lo fossero stati, i loro capi avrebbero dovuto saperlo), sapeva che il venerdì dovevano cambiare l’abitudine quotidiana precedente e raccogliere anche per il sabato seguente. Appare dunque evidente che avevano l’abitudine di osservare il sabato prima ancora di ricevere la legge sul Monte Sinai, prima di stabilire il loro patto con Dio come suo popolo. Da dove deriva questa loro abitudine? Noi non sappiamo come essa si sia perpetuata nella famiglia dei patriarchi di Israele, ma la sua esistenza convalida fortemente quanto abbiamo visto a proposito del sabato originatosi alla creazione. Ancora una volta possiamo affermare che il sabato non era inteso a essere parte solo della vita religiosa di Israele, in virtù del patto tra loro e Dio, ma che era destinato a tutti e per sempre. Il miracolo della manna svolgeva anche un’altra funzione accessoria: mostrava a Israele quale fosse il vero giorno di sabato, e questa conoscenza si è perpetuata fino ai giorni nostri.

5) Perché il quarto comandamento è il solo che comincia con l’invito esplicito a ricordarci si esso.

«Ricordati del giorno di riposo per santificarlo» (Es 20:8-11). È come se Dio sapesse (e certamente lo sapeva) che quello sul sabato sarebbe stato il comandamento più dimenticato e trascurato. Come sempre, Dio ha ragione e noi torto. Impareremo a ricordarci del sabato?

6) Perché il sabato doveva essere un segno per tutti i popoli e non solo per Israele.

Abbiamo già visto che il sabato è connesso alla creazione di tutta l’umanità. Esisteva infatti prima che si formassero le diverse nazioni, prima che esistesse Israele. Quando Dio chiamò Israele a essere il suo popolo particolare (Es 19:5; Dt 7:6), non diede loro il comandamento del sabato perché essi fossero i soli a doverlo osservare, ma perché essi avevano accettato di diventare suo popolo, mentre gli altri popoli si erano allontanati da lui. Questo significa che tutti i popoli e tutti i singoli individui che accettassero di entrare nell’alleanza con Dio come fece Israele, sarebbero chiamati a osservare il sabato e gli altri comandamenti del decalogo. Israele non fu chiamato a essere il popolo di Dio perché Dio amava solo lui, ma affinché, attraverso di esso, la conoscenza di Dio si estendesse anche alle altre nazioni: «Il SIGNORE disse ad Abramo: “Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”» (Gn 12:1-3).

Le nazioni avrebbero conosciuto e ammirato la legge che Dio avrebbe dato al suo popolo e avrebbero desiderato averla anche per loro stessi: «Ecco, io vi ho insegnato leggi e prescrizioni, come il SIGNORE, il mio Dio, mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nel paese nel quale vi accingete a entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!” Qual è infatti la grande nazione alla quale la divinità sia così vicina come è vicino a noi il SIGNORE, il nostro Dio, ogni volta che lo invochiamo?Qual è la grande nazione che abbia leggi e prescrizioni giuste come è tutta questa legge che io vi espongo oggi» (Dt 4:5-8).
«O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti! Porgete l’orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete; io farò con voi un patto eterno, vi largirò le grazie stabili promesse a Davide. Ecco, io l’ho dato come testimonio ai popoli, come principe e governatore dei popoli. Ecco, tu chiamerai nazioni che non conosci, e nazioni che non ti conoscono accorreranno a te, a motivo del SIGNORE, del tuo Dio, del Santo d’Israele, perché egli ti avrà glorificato» (Is 55:1-5).
Il profeta Isaia afferma esplicitamente che gli stranieri erano chiamati anch’essi a entrare nel patto che Dio ha già fatto con Israele e che anche loro avrebbero osservato il sabato: «Anche gli stranieri che si saranno uniti al SIGNORE per servirlo, per amare il nome del SIGNORE, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e si atterranno al mio patto, io li condurrò sul mio monte santo e li rallegrerò nella mia casa di preghiera» (Is 56:6,7).

7) Perché i profeti dell’Antico Testamento, ispirati da Dio, insegnarono che il sabato sarebbe stato osservato anche nell’era messianica.

Il testo principale è quello appena citato di Isaia 56:6. Il suo messaggio ha una portata universale ma è inserito in modo particolare e specifico in un contesto messianico, come si può notare leggendo i capitoli successivi. Sulla scia del messaggio di Isaia, si inserisce anche quello del profeta Geremia. Il profeta sta parlando del nuovo patto (quello cristiano) che Dio stabilirà con il suo popolo nel futuro. E sottolinea che, in questa nuova alleanza, la legge di Dio continuerà ad essere parte della vita del popolo di Dio. Se la legge di Dio rimarrà anche nel nuovo patto, non è ovvio che anche il sabato rimarrà, come già aveva detto Isaia? Il testo di Geremia cui ci stiamo riferendo è il seguente: «”Ecco, i giorni vengono”, dice il SIGNORE, “in cui io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che feci con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dal paese d’Egitto: patto che essi violarono, sebbene io fossi loro signore”, dice il SIGNORE; “ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni”, dice il SIGNORE: “io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo. Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: ‘Conoscete il SIGNORE!’ poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”, dice il SIGNORE. “Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato» (Ger 31:31-34; cfr. Ez 11:19,20).

È importante notare che per Geremia, la legge che nel nuovo patto sarà messa nel cuore dei figli di Dio, non sarà una legge diversa ma quella stessa legge che faceva parte del patto antico violato da Israele, quella legge che Dio aveva precedentemente scritto sulla pietra e sul papiro e che ora sarà scritta nel loro cuore. La nuova alleanza, per Geremia, non sarà quindi caratterizzata tanto da una legge diversa o dalla mancanza di legge, ma da un atteggiamento diverso del popolo di fronte a essa. Questo avvenne grazie a Gesù il quale rivelerà il senso dell’amore che Dio aveva messo nella legge e ci porterà a vedere Dio come un Dio di grazia e di perdono (cfr. Lc 22:20).

Il testo di Isaia 66:22,23 è anch’esso molto importante: «“Infatti come i nuovi cieli e la nuova terra che io sto per creare rimarranno stabili davanti a me”, dice il SIGNORE, “così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome. Avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me”, dice il SIGNORE». Così, anche nella nuova terra, il sabato sarà osservato.[9]

8) Perché se il sabato fosse osservato secondo le intenzioni di Dio, ci aiuterebbe a costruire una società più giusta e solidale.

Come segno della creazione buona di Dio, il sabato ci riporta sempre al progetto iniziale, in cui ogni parte della creazione viveva in armonia con il resto (cfr. Gn 1:29-31). E se l’uomo doveva essere signore della terra (cfr. Gn 1:24,28), doveva esserlo a immagine di Dio (cfr. Gn 1:27) per amministrarla proteggendola (cfr.Gn 2:15).

Questo valore del sabato è ripreso anche nel testo del comandamento che impone il rispetto dell’altro e della natura: «non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città» (Es 20:10). Il sabato diventa quindi segno della paternità di Dio anche sugli altri uomini che diventano nostri fratelli e sugli stessi animali, che hanno anch’essi diritto a rallegrarsi della creazione e della vita che Dio ha dato loro. Capito questo valore, le sue ricadute in termini di rispetto e giustizia sugli altri giorni dovrebbero essere inevitabili.

È impressionante, in questa prospettiva, il messaggio dei profeti di Israele, che collegano il richiamo alla giustizia sociale e a quello altrettanto ripetuto del ritorno a una osservanza fedele del sabato.

Geremia afferma: «Chi acquista ricchezze, ma non con giustizia, è come la pernice che cova uova che non ha fatte; nel bel mezzo dei suoi giorni egli deve lasciarle; quando arriva la sua fine, non è che uno stolto.» E subito dopo fa un lungo discorso sulla necessità di osservare il sabato come fondamento della sicurezza del popolo: «Se voi mi ascoltate attentamente, dice il SIGNORE, se non fate entrare nessun carico per le porte di questa città in giorno di sabato, ma santificate il giorno del sabato e non fate in esso nessun lavoro, i re e i prìncipi che siedono sul trono di Davide entreranno per le porte di questa città su carri e su cavalli: entreranno essi, i loro prìncipi, gli uomini di Giuda, gli abitanti di Gerusalemme; e questa città sarà abitata per sempre» (Ger 17:24-25).

Isaia fa lo stesso: «Così parla il SIGNORE: “Rispettate il diritto e fate ciò che è giusto; poiché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per essere rivelata. Beato l’uomo che fa così, il figlio dell’uomo che si attiene a questo, che osserva il sabato astenendosi dal profanarlo, che trattiene la mano dal fare qualsiasi male!”» (Is 56:1,2).

Isaia 58 rafforza questo messaggio. Comincia con un appello inequivocabilmente forte alla giustizia e si conclude con un appello altrettanto forte all’osservanza del sabato: «Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne? … Se tu trattieni il piede dal violare il sabato, facendo i tuoi affari nel mio santo giorno; se chiami il sabato una delizia e venerabile ciò che è sacro al SIGNORE; se onori quel giorno anziché seguire le tue vie e fare i tuoi affari e discutere le tue cause, allora troverai la tua delizia nel SIGNORE; io ti farò cavalcare sulle alture del paese» (vv. 6,7,13,14).

Come mai questo legame ripetuto ed enfatizzato tra sabato e giustizia? Forse perché entrambi sono comandamenti di Dio e la salvezza del popolo si fonda su una sottomissione totale, in tutti gli aspetti della sua volontà? Potrebbe essere, ma perché i profeti dovrebbero scegliere proprio il sabato come modello di questo messaggio globale e non altri aspetti della legge, come quella dei sacrifici o dell’idolatria? La ragione più profonda è un’altra: per il fatto che il sabato contiene in sé un elemento forte di giustizia, esso richiama tutti gli uomini a riconoscersi come creature di Dio, come suoi figli e quindi come fratelli. La vera giustizia non nasce da un obbligo di legge, ma da una consapevolezza di quello che siamo e che sono anche gli altri.

9) Perché Dio non chiede di osservare un giorno la settimana ma specifica che deve essere il settimo.

Mantenendoci sul piano delle immagini usate dal testo biblico, direi che è come in Eden. Dio chiese ad Adamo ed Eva di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Immaginiamo che essi avessero deciso di mangiare il frutto di quell’albero riservandone a Dio un altro di loro scelta. Tanto, avrebbero potuto argomentare, ogni albero può assolvere al compito che Dio ha assegnato a quello proibito, come segno di fedeltà e di ubbidienza! Facendo così, avrebbero onorato ugualmente il comando di Dio? Certamente no! Se il significato dell’albero proibito è quello di segno della nostra fiducia in Dio e della nostra sottomissione alla sua volontà, allora dobbiamo cominciare a manifestarle rispettando proprio il segno che lui ha deciso, non cambiandolo a nostro piacimento: Dio ha chiesto di non mangiare da quell’albero specifico, non da un altro di nostra scelta. Allo stesso modo, Dio non ci ha chiesto di osservare un giorno su sette, qualunque esso sia, ma il settimo giorno, e ha assegnato a quel giorno il significato che gli è proprio, come segno della sua posizione di Creatore, di Signore e Padre nostro. Scegliere noi un altro giorno, significa cominciare da subito a contestare la sua signoria.

10)  Perché il libro profetico di Daniele dice che non sarà Dio a cambiare i tempi della legge che ha stabilito per noi, ma un avversario di Dio e del suo popolo.

«Egli [l’avversario] parlerà contro l’Altissimo, esaspererà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo» (Dn 7:25). Il contesto chiarisce che si tratta di un potere nemico di Dio e del suo popolo che agisce durante l’era cristiana, tanto da sopravvivere fino al tempo del giudizio finale (cfr. per esempio Apocalisse 12:6,14; 13:5, dove lo stesso potere, durante lo stesso periodo di tempo, agisce contro la chiesa del Signore). Sarà questo potere orribile a cercare di cambiare «i tempi e la legge», come dice il testo ebraico, e che la traduzione moderna giustamente rende come «i giorni festivi e la legge». Quale legge se non la legge di Dio, e quali giorni festivi se non quelli stabiliti nella legge di Dio, di cui il principale è il sabato settimanale? Visto che la parola di Dio attribuisce a un nemico il cambiamento dei giorni stabiliti da Dio, come potrei io cambiare il sabato con la domenica o con un qualsiasi altro giorno, senza diventare un complice dell’avversario?

11) Perché il sabato, anche nell’Antico Testamento, è un segno della giustificazione per fede, una delle più importanti dottrine cristiane.

Molti fratelli cristiani, soprattutto in seno al protestantesimo, credono che osservare il sabato del settimo giorno significhi essere «sotto la legge» (Rm 3:20), di volersi cioè salvare attraverso la loro propria osservanza della legge, attraverso le loro buone opere. Con loro noi riconosciamo e predichiamo che la salvezza è solo per fede nella grazia di Dio, offertaci attraverso Cristo Gesù (cfr. Rm 3:23,24), ma non possiamo accettare la loro valutazione legalistica della osservanza del sabato. Innanzitutto, ci chiediamo perché si sarebbe legalisti solo osservando il sabato e non anche gli altri nove comandamenti? Forse uno che decida di non uccidere o di non commettere adulterio è anche lui «sotto la legge», pensa anche lui di salvarsi attraverso la sua ubbidienza? Perché questo ragionamento varrebbe solo per chi osserva il sabato?

Bisogna comunque notare, e lo facciamo con gioia, che nella Bibbia, il sabato non è segno di una salvezza autoprocurata, ma di giustificazione per fede (grazia) di Dio. Consideriamo il testo di Ezechiele: «A loro diedi anche i miei sabati perché servissero di segno tra me e loro, perché conoscessero che io sono il SIGNORE che li santifico» (Ez 20:12). Attraverso il sabato noi non santifichiamo noi stessi offrendo qualcosa a Dio, ma è Dio che ci santifica a sé. Il sabato, essendo segno e commemorazione della creazione di Dio, ci ricorda continuamente che la nostra vita e tutto quello che di buono contiene viene da lui, è segno della sua grazia. Accettando di vivere il sabato, non affermiamo quindi la nostra propria capacità di vita e di salvezza, ma testimoniamo che tutto ci viene da Dio. Il sabato stesso ci viene da Dio, è il dono che egli ci fa per dirci che è e vuole essere nostro Padre e averci per figli.

Il sabato è segno della nostra inattività, il giorno in cui ci riposiamo liberandoci dagli affanni della vita, mentre la vita di Dio continua a fluire in noi come suo dono gratuito. Probabilmente, nessun’altra dottrina cristiana, eccetto quelle che riguardano direttamente la persona di Gesù, può essere più intimamente legata alla dottrina della giustificazione per fede. Come cristiano che crede nella grazia di Cristo come fondamento della sua vita e della sua speranza, non posso che accettare e vivere il sabato con grande riconoscenza.

L’insegnamento di Ezechiele non nasce con lui ma aveva già una lunga storia. Lo troviamo infatti già nella Torah, la legge: «Quanto a te, parla ai figli d’Israele e di’ loro: “Badate bene di osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno tra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono il SIGNORE che vi santifica”» (Es 31:13).

Quando leggiamo questi testi, uno potrebbe essere tentato di pensare che, poiché tutte le festività ebraiche sono chiamate «sabati» (si ricordi che sabato significa riposo), che tutte queste feste siano da considerare «segni» allo stesso livello del sabato settimo giorno. Ma non è così. Le festività ebraiche sono elencate in Esodo 31 e possiamo notarvi che al sabato settimo giorno viene attribuito un significato che gli altri giorni festivi non hanno: «Il SIGNORE parlò ancora a Mosè e disse: “Quanto a te, parla ai figli d’Israele e di’ loro: ‘Badate bene di osservare i miei sabati, perché il sabato è un segno tra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché conosciate che io sono il SIGNORE che vi santifica. Osserverete dunque il sabato perché è un giorno santo per voi. Chiunque lo profanerà sarà messo a morte. Chiunque farà in esso qualche lavoro sarà escluso dal suo popolo. Si lavorerà sei giorni; ma il settimo giorno è un sabato di solenne riposo, sacro al SIGNORE; chiunque farà qualche lavoro nel giorno del sabato dovrà essere messo a morte. I figli d’Israele quindi dovranno osservare il sabato, lo celebreranno di generazione in generazione, come un patto perenne. Esso è un segno perenne tra me e i figli d’Israele; poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò di lavorare e si riposò’”» (Es 31:12-17). Si vede come solo il sabato del settimo giorno sia segno della sua paternità, del fatto che è il Datore della nostra vita. È per questo motivo che noi osserviamo questo giorno mentre godiamo di libertà rispetto agli altri.

Motivi tratti dai Vangeli

12) Perché Gesù, il nostro esempio, osservava regolarmente il sabato.

Gesù «si recò a Nazaret, dov’era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga» (Lc 4:16). Non c’è niente, nella vita di Gesù, che non possiamo fare perché dipendente esclusivamente da una abitudine giudaica: quella di andare nella sinagoga in giorno di sabato è presentata come una sua abitudine, non come una abitudine dei giudei ormai superata. Quando Gesù dice di essere «la via, la verità e la vita» (Gv 14:6), dobbiamo capirlo non solo nel senso che egli è l’unica via per giungere alla salvezza, ma anche come la via per condurci lungo il nostro cammino cristiano. Non possiamo essere cristiani in modo diverso da come lo fu Gesù.

13) Perché Gesù restaurò il sabato, riportandolo al suo significato originale, e ce lo rioffrì come dono di Dio.

Gesù purificò il sabato dalle molte tradizioni umane che i farisei, i dottori della legge, gli avevano sovrapposto. Recuperò il suo significato originale come giorno di gioia, libertà, segno della vita perfetta e felice dell’Eden. Non parlò mai contro il sabato. Mai insegnò che sarebbe stato abolito. Invece lo osservò regolarmente e ce lo restituì come un dono: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2:27). Mi sembra molto strano vedere come molti cristiani sostengono che visto che il sabato è stato «fatto per l’uomo», allora possiamo farne quello che ci pare, anche buttarlo via. Se un amico che amo mi offre un regalo, considero mio privilegio e motivo di gioia onorarlo. Come potrei buttare via il dono del sabato fattomi da Dio? Notiamo per inciso che Gesù vede il sabato come qualcosa che Dio ha creato non per i giudei, ma per l’uomo, ovvio riferimento all’insegnamento derivante dalla creazione, che abbiamo già notato.

14) Perché Gesù, il mio Signore, è anche il Signore del sabato.

«Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato» (Mc 2:28; Mt 12:8). In che senso Gesù è Signore del sabato? Non sarebbe un’offesa, per lui, dire che è Signore del sabato solo perché ha il potere di abolirlo? Non significherebbe, in questo caso, che Gesù è Signore di nulla? Gesù è invece Signore del sabato per tre motivi molto positivi: 1) come Creatore potente dei cieli e della terra (Gv 1:1-3) è lui che ha creato anche il sabato; 2) come Redentore, egli ha anche restaurato l’immagine originale del sabato; 3) di conseguenza, Gesù ha anche il potere di insegnarci come osservare il sabato, cosa che ha fatto con il suo esempio e la sua parola. Che cosa ci ha dunque insegnato Gesù? Che deve essere osservato non secondo la tradizione farisaica, ma secondo il vero significato datogli da Dio, e che troviamo nella Scrittura. Gesù stava facendo questo proprio mentre diceva quelle parole. In Marco, le parole di Gesù seguono l’esperienza dei discepoli che di sabato, passeggiando per i seminati, si permettono di raccogliere e svellere alcune spighe di grano, cosa che suscita l’indignazione il rimprovero dei farisei. Gesù afferma il senso di gioiosa libertà dei figli di Dio nel seno della natura, e delle benedizioni che Dio ci ha donato (Non si trattava di andare a lavorare o fare degli affari). Segue poi, sempre in giorno di sabato, la guarigione di un paralitico: Gesù riafferma il sabato come segno della vita che Dio aveva dato alla creazione e che ora egli viene a restaurare.

15) Perché Gesù ha insegnato che il sabato sarebbe rimasto come parte della vita dei suoi discepoli anche dopo la sua dipartita.

Parlando della caduta di Gerusalemme circa quarant’anni dopo la sua morte, a causa dei romani, Gesù invita i suoi discepoli a pregare affinché la loro fuga non avvenisse «né d’inverno né di sabato» (Mt 24:20). Possiamo facilmente comprendere il disagio di dovere aggiungere alla tragedia della guerra, della perdita della loro casa, anche il disagio di un inverno passato sui monti, senza un riparo stabile e sicuro. Ma perché pregare che la fuga non avvenisse di sabato? Alcuni interpretano la frase in rapporto al fatto che, di sabato, la fuga sarebbe stata impossibile, perché i giudei avrebbero chiuso le porte della città. Ma questo non ha senso in caso di guerra e di assedio, perché le porte sarebbero state chiuse tutti i giorni. In ogni caso, Gesù non dice di pregare affinché la fuga non avvenga di sabato perché altrimenti non sarebbero potuti fuggire (cosa alquanto contraddittoria). Gesù parla di questa fuga come qualcosa che si realizza, non che è impossibile. L’unico motivo per questa preghiera è che fuggire in giorno di sabato, anche se non proibito o impedito, avrebbe aggiunto alla tristezza della fuga quella della impossibilità di santificare il sabato come sarebbe stato normale fare, di non godere la gioia che il giorno santo voleva offrire. Evidentemente, se Gesù e i suoi discepoli si preoccupavano per l’osservanza di questo giorno in un periodo tanto posteriore alla esperienza della croce, questo significa che tutti loro supponevano che il sabato avrebbe continuato a essere un giorno santo anche dopo la morte di Gesù.

16) Perché Gesù ha insegnato la funzione permanente della legge.

L’insegnamento di Gesù sul sabato è perfettamente, in armonia con il suo insegnamento sulla legge in generale. «Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli» (Mt 5:17-20). Il verbo tradotto «portare a compimento» viene dal greco plerō, il cui significato base è quello di «riempire», «completare», «portare a perfezione». Gesù non è venuto ad abolire la legge o il comandamento sul sabato, ma a portarli a perfezione. Se consideriamo come Gesù abbia applicato questo suo proposito al comandamento «non uccidere» o a quello che vieta di commettere adulterio (cfr. Mt 5:21-28), possiamo comprendere che non ci ha mai chiesto di fare meno di quanto facesse un ebreo. Ci chiede invece di comprendere meglio la legge e di osservarla con più fedeltà, non solo con le azioni ma con azioni che nascono da un cuore rinnovato, pieno d’amore per Dio e per il prossimo.

17) Perché i discepoli osservarono il sabato anche dopo la morte di Gesù.

Alcuni cristiani pensano che la legge, e il sabato in essa incluso, dovessero persistere solo fino alla morte di Gesù, quando sarebbe stato inaugurato un nuovo patto tra Dio e il suo popolo. Questa posizione nasce da un equivoco tra la legge e l’alleanza, per cui si pensa che il superamento della vecchia alleanza (tramite Mosè al Sinai) comporti il superamento della legge che Dio aveva dato attraverso Mosè. Abbiamo già visto che il sabato non nasce con l’alleanza sinaitica, ma con quella eterna dell’Eden: il cambiamento di alleanza non lo toccherebbe quindi comunque in nessun modo. Tuttavia bisogna distinguere tra alleanza e legge. Lo abbiamo già visto al punto 7: la nuova alleanza in Cristo non significa l’abolizione della legge data sotto il vecchio patto. Quello che cambia non è la legge, ma la condizione in cui la legge viene vissuta: ora, con Cristo, essa sarà iscritta nel cuore, e non solo su tavole di pietra.

Ma torniamo al sabato. Sappiamo che Gesù morì il venerdì pomeriggio: «Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea, seguito Giuseppe, guardarono la tomba, e come vi era stato deposto il corpo di Gesù. Poi, tornarono indietro e prepararono aromi e profumi. Durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento. Ma il primo giorno della settimana, la mattina prestissimo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparati» (Lc 23:54; 24:1). Come si vede, Gesù è già morto, ma i suoi discepoli continuano a osservare il sabato, non secondo la tradizione giudaica, bensì «secondo il comandamento» di Dio. Se Gesù avesse insegnato che dopo la sua morte il sabato sarebbe stato abolito, come mai le donne si preoccuparono di continuare a osservarlo, addirittura astenendosi dall’onorare il corpo della persona amata, del Signore? E se, per pura ipotesi, lo avessero fatto solo perché legate ancora alla tradizione giudaica, perché Luca, che scrive decenni dopo, non prende in qualche modo le distanze dal loro atteggiamento? Perché dice che lo fecero secondo il comandamento senza sottolineare che quel comandamento non esisteva più? La risposta è semplice: Gesù non aveva mai insegnato quello che alcuni suppongono e i discepoli sapevano bene che, per Gesù, il sabato sarebbe rimasto per sempre.

Motivi tratti dalla vita degli apostoli

18) Perché l’apostolo Paolo osservava il sabato.

«Paolo e i suoi compagni, imbarcatisi a Pafo, arrivarono a Perga di Panfilia; ma Giovanni, separatosi da loro, ritornò a Gerusalemme. Essi, passando oltre Perga, giunsero ad Antiochia di Pisidia; ed entrati di sabato nella sinagoga, si sedettero» (At 13:13,14). «Mentre uscivano, furono pregati di parlare di quelle medesime cose il sabato seguente. Dopo che la riunione si fu sciolta, molti Giudei e proseliti pii seguirono Paolo e Barnaba; i quali, parlando loro, li convincevano a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per udire la Parola di Dio» (At 13:42,44). «Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite» (At 16:13). «Dopo essere passati per Amfipoli e per Apollonia, giunsero a Tessalonica, dove c’era una sinagoga dei Giudei; e Paolo, com’era sua consuetudine, entrò da loro, e per tre sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture» (At 17:1,2). «Ma ogni sabato insegnava nella sinagoga e persuadeva Giudei e Greci. Quando poi Sila e Timoteo giunsero dalla Macedonia, Paolo si dedicò completamente alla Parola, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo. Ma poiché essi facevano opposizione e lo insultavano, egli scosse le sue vesti e disse loro: “Il vostro sangue ricada sul vostro capo; io ne sono netto; da ora in poi andrò dai pagani”. E, uscito di là, entrò in casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che temeva Dio, e aveva la casa attigua alla sinagoga. Ma Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia. Molti Corinzi, udendo, credevano e venivano battezzati. Una notte il Signore disse in visione a Paolo: “Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città”. Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio» (At 18:4:11).

Si vede come Paolo avesse la costante abitudine di osservare il sabato. È vero, come alcuni obiettano, che si tratta di incontri che dovevano avvenire di sabato perché era di sabato che i giudei, che Paolo voleva incontrare, si riunivano nella sinagoga. Non si tratterebbe cioè di una scelta di Paolo, ma di una necessità evangelistica. Tuttavia, è anche vero che il libro degli Atti non dà mai questa interpretazione dei fatti. Ci presenta invece Paolo che va alla sinagoga di sabato, non perché questa fosse l’abitudine degli ebrei, ma perché era la sua abitudine personale. Dove non c’era una chiesa cristiana, l’apostolo andava nella sinagoga, per incontrarvi i credenti come Dio aveva comandato (cfr. Lev 23:3), e come Gesù stesso faceva (cfr. Lc 4:16). Naturalmente sperava di avere l’opportunità di rivolgere la parola alle persone che vi si trovavano, per condividere la sua fede in Gesù, ma probabilmente ci sarebbe andato in ogni caso.

Dobbiamo anche considerare il fatto che nella sinagoga si incontravano sia giudei che greci, come ci dice Atti 18:4. I primi cristiani di origine pagana erano già abituati a osservare il sabato insieme ai giudei. Non avevano quindi nessuna difficoltà a continuare a osservarlo anche dopo essere diventati cristiani, e non avevano alcun motivo per passare alla domenica: la Bibbia non ci dice mai che, diventati cristiani, lo abbiano fatto. Abbiamo invece molti buoni motivi per pensare che non lo abbiano mai fatto. L’ultimo testo che abbiamo citato ci dice che i pagani diventati cristiani si separarono dai giudei. Ma, mentre è evidente che si riunivano di sabato finché erano insieme ai giudei, non ci viene detto che abbiano cominciato a osservare la domenica una volta avvenuta l’operazione (At 18:6-11). Se lo avessero fatto, questa sarebbe stata un’ottima occasione per sottolineare la diversa via che i cristiani stavano cominciando a seguire. Perché Luca (l’autore degli Atti) non disse invece nulla? Perché non c’era nulla da dire: i cristiani, fossero essi di origine giudaica o pagana, continuavano a osservare il sabato com’erano abituati prima.

19) Perché Paolo non ebbe nessun problema con i giudei e i giudaizzanti a causa del sabato, come invece li ebbe con la circoncisione.

Sappiamo che l’apostolo Paolo ebbe seri problemi con i giudei e con alcuni cristiani di origine giudaica (i giudaizzanti che insistevano sul fatto che anche i cristiani di origine pagana dovevano sottoporsi alla legge così come compresa e vissuta da loro, per essere salvati). Un segno della diatriba era dato proprio dalla circoncisione che i giudaizzanti volevano mantenere a livello fisico, mentre Paolo le attribuiva un significato ormai solo spirituale (cfr, ad esempio, Rm 2:25-29; Gal 5:11; Fil 3:1-3). Non ebbe però mai problemi riguardo all’osservanza del sabato se non, forse, riguardo al modo di osservare il sabato (vedi più avanti, il paragrafo 31). Eppure il sabato era una questione di fondamentale importanza per i giudei, forse anche più della circoncisione. Questa assenza di problemi è un’indicazione del fatto che Paolo non solo insegnava, ma anche viveva il sabato. Verso la fine della sua vita tra i giudei, subito prima di essere arrestato, seguendo il consiglio degli altri apostoli, aveva accettato di unirsi ad altri credenti cristiani in un rito di purificazione nel tempio. In questo modo, gli dissero, «tutti conosceranno che non c’è niente di vero nelle informazioni che hanno ricevute sul tuo conto; ma che tu pure osservi la legge» (At 21:24). È dunque evidente che, per Paolo, osservare la legge, non era contro i suoi principi cristiani. Al contrario, subito dopo, dopo essere stato arrestato, poté onestamente dire: «Io non ho peccato né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare» (At 25:8). Se avesse insegnato a trasgredire il sabato, o se lo avesse trasgredito egli stesso, avrebbe potuto dire che non aveva peccato contro la legge? Naturalmente, quello che stiamo vedendo si oppone all’opinione che per l’apostolo la legge sarebbe stata abolita.

Come cristiani avventisti del settimo giorno, crediamo che per Paolo, come per lo stesso Gesù, la legge continuava a essere valida, ma non possiamo discutere ampiamente qui tutti i dettagli e i limiti della cosa. Citiamo soltanto un suo testo: «La circoncisione non conta nulla, e l’incirconcisione non conta nulla; ma ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio» (1 Cor 7:19). Evidentemente, Paolo distingue tra alcune norme, quali quella sulla circoncisione (che possiamo definire simboliche, cerimoniali) che sono state superate dalla realtà di Gesù, e altre norme, che qui chiama «comandamenti di Dio», che conservano ancora tutta la loro validità letterale e che vanno ancora osservati. Alcuni definiscono questo secondo gruppo di comandamenti come la «legge morale». Abbiamo già visto che Dio aveva attribuito al decalogo un valore del tutto speciale e possiamo ben a ragione considerare questa legge non simbolica e transitoria, ma morale perenne. Il sabato è parte integrante di essa e come tale rimane anche per i cristiani.

20) Perché il modo in cui il Nuovo Testamento parla del sabato chiarisce che esso era rimasto come giorno di riposo anche per i cristiani molto tempo dopo la morte di Gesù.

Dobbiamo considerare che i Vangeli e il libro degli Atti, che abbiamo citato sopra, sono stati scritti molto tempo dopo che i fatti narrati erano avvenuti: almeno da trenta a cinquanta anni dopo. Se nel frattempo il sabato fosse stato abbandonato a favore della domenica, dovremmo trovare qualche indizio di questo cambiamento ma, come vedremo, non ce n’è neppure uno. In tutto il Nuovo Testamento, ogni volta che si parla del giorno che successivamente sarebbe stato chiamato «domenica», viene sempre indicato come «primo giorno della settimana», senza alcun’altra indicazione. Se fosse diventato il nuovo giorno di riposo, ci aspetteremo che la menzione di questo giorno fosse accompagnata fa qualche indicazione sul suo nuovo status. Si poteva, per esempio, specificare che si trattava del «nuovo giorno di riposo», del «giorno sacro della chiesa», ma non troviamo nulla di simile. Invece, il sabato viene chiamato, appunto «sabato». Nella nostra cultura questo non significa molto, ma per tutti i primi lettori degli scritti apostolici, essendo essi stessi ebrei o abituati alla loro cultura, assumeva un significato particolare e importante. In ebraico, i giorni della settimana erano indicati solo con un numero progressivo (primo giorno, secondo giorno, ecc.) tranne il sesto giorno che chiamavano parasheve, «preparazione» (per il sabato) (cfr. Lc 23:54), e il settimo giorno che chiamavano shabbat, riposo. Ora, se il settimo giorno non fosse più stato un giorno di riposo, perché i cristiani avrebbero continuato a chiamarlo «giorno di riposo». Avrebbero potuto chiamarlo «il vecchio giorno di riposo», «il giorno di riposo dei giudei» e in tanti altri modi, così da prendere le distanze da una osservanza non più seguita. Ma questo non succede mai. Perché? Non è logico pensare che continuavano a chiamarlo «giorno di riposo» semplicemente perché continuava a essere anche per loro quello che la parola significava?

21) Perché gli apostoli, cercando di risolvere i problemi che sorgevano dalla coabitazione tra credenti di origine giudaica e pagana, non chiesero mai di eliminare il sabato.

In seguito alla richiesta dei giudaizzanti che anche i gentili si sottoponessero alla loro visione della legge, al Concilio di Gerusalemme fu presa una decisione: «Infatti è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all’infuori di queste cose, che sono necessarie: di astenervi dalle carni sacrificate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati, e dalla fornicazione; da queste cose farete bene a guardarvi. State sani» (At 15:28,29). Alcuni anni dopo la decisione fu reiterata: «Quanto ai pagani che hanno creduto, noi abbiamo scritto decretando che si astengano dalle cose sacrificate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla fornicazione» (At 21:25). Questi testi mostrano che c’era un problema serio tra i credenti giudei e i neo-convertiti pagani. Per vivere in comunione gli uni con gli altri, i pagani dovevano sottomettersi ad alcune norme la cui trasgressione avrebbe potuto essere vista dai fratelli ebrei come inaccettabile. D’altra parte, si chiedeva ai giudei di non imporre la circoncisione agli altri fratelli. Dovevano, cioè, accettarli come fratelli di origine gentilizia, senza obbligarli a diventare ebrei (la circoncisione era appunto il segno di questo passaggio di status) per potere essere cristiani. È chiaro che l’elenco dato non riguarda tutto ciò che era necessario per essere cristiani. Si tratta solo di alcune norme che rischiavano di essere particolarmente trascurate da persone abituate alla cultura pagana. La loro trasgressione sarebbe stata contraria alla volontà di Dio, e avrebbe impedito la coesistenza dei due gruppi. Poiché gli apostoli non ritennero di dovere specificare nulla riguardo al giorno di riposo, e quindi il giorno di incontro per la comunità cristiana tutta, questo significa che entrambi i gruppi osservavano lo stesso giorno. Pensare che potesse essere la domenica sarebbe un anacronismo storico e cozzerebbe con la situazione affrontata. I giudaizzanti, legati alla legge, erano evidentemente degli osservatori del sabato, e visto che gli apostoli non ritennero di dovere neppure discutere la questione, dobbiamo dedurre che il giorno di sabato fosse già evidentemente, universalmente e spontaneamente osservato da tutti (Si ricordi che i primi cristiani di origine ebraica erano abituati ad osservare il sabato insieme ai Giudei. Cfr., ad esempio, At 13:43).[10]

Vale anche la pena notare che la chiesa supporta l’emanazione di queste direttive con il fatto seguente: «Perché Mosè fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo predica nelle sinagoghe dove viene letto ogni sabato» (At 15:21). Perché questo richiamo alla legge di Mosè che viene letta nelle sinagoghe ogni sabato? Perché, per questo fatto, i fratelli ebrei conoscevano bene le norme proposte e quindi non avrebbero sopportato una loro trasgressione? Perché riunendosi tutti di sabato, anche i fratelli di origine gentilizia, tutti avrebbero dovuto conoscere queste norme ed erano quindi in grado di comprenderne l’autorità divina e di osservarle? In qualunque modo si considera questa osservazione, non si può fare a meno di pensare che abbia valore solo nella prospettiva di un valore che il sabato continuava ad avere per la chiesa.

22) Poiché la lettera agli Ebrei insegna che resta un «riposo sabbatico» per i cristiani.

«Rimane dunque un riposo sabbatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue» (Ebr 4:9,10). Il testo non è molto chiaro ed è necessario esaminare il contesto per cercare di capire a cosa si riferisce. Personalmente penso che il «sabbatismo» di cui parla il testo originale greco, è collegato sia al sabato del settimo giorno, sia al riposo spirituale che otteniamo in Cristo, riposo che viene dalla gioia della salvezza, dal perdono dei nostri peccati, dalla pace che tutto questo dà al nostro animo. Infatti, l’autore della lettera trae il suo insegnamento dalla storia del riposo di Dio alla fine della creazione (v. 4), il riposo dal quale venne poi il riposo settimanale per l’uomo; e dalla promessa di Dio di condurre Israele nel riposo della terra promessa (v. 3). Così, anche se il testo è complicato, possiamo capire che il «sabbatismo», il riposo sabbatico, di cui si parla è un ponte tra la storia della nostra creazione come figli di Dio posti in una terra perfetta, e quella di figli redenti chiamati alla salvezza in Cristo che ci introduce in una terra rinnovata. È un ponte tra il primo e il secondo Eden, tra l’antica e la nuova dispensazione. Il sabato è il segno del potere creativo e quindi ri-creativo di Dio. Richiamando la nostra mente alla prima creazione, il sabato ci dà fiducia che Dio è capace di ricreare e riportare alla perfezione ciò che il peccato ha corrotto. Cristo è al centro di tutto questo, e come cristiano ritengo un mio privilegio manifestare la mia accettazione della pace di Gesù anche attraverso l’osservanza del sabato.

Motivi tratti dal libro dell’Apocalisse

23) Perché il messaggio del sabato è parte dell’ultimo messaggio dato al mondo.

Apocalisse 14:6-13 parla degli ultimi messaggi che debbono essere dati al mondo. Questi messaggi invitano tutti gli uomini a prepararsi per incontrare il Signore Gesù Cristo che viene e il cui ritorno è descritto subito dopo ai versetti 14-20. Il primo messaggio dice: «Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo, recante il vangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo. Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque» (Ap 14:6,7).

Il Vangelo che deve essere predicato include un messaggio riguardo al giudizio di Dio e alla creazione. Questi due messaggi sono reciprocamente e intimamente collegati: Dio ha il diritto di giudicarci proprio perché è il nostro creatore, il Signore della nostra vita e del mondo. Si vede però che per dire che il Dio giudice è anche il Dio creatore, lo si qualifica con parole estremamente simili a come Dio è qualificato nel comandamento sul sabato: « poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato» (Es 20:11). Il riferimento al sabato come testimonianza del fatto che Dio è il creatore è evidente. Per convincerci che questo testo vuole richiamare alla nostra mente proprio il comandamento, appena poco più avanti, al versetto 12, leggiamo, in rapporto specialmente alla gente che vive questa esperienza finale della storia del mondo: «Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù». Giovanni sta veramente pensando ai comandamenti di Dio. Così, quando dice che Dio ha creato « il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque», ogni conoscitore del linguaggio biblico capisce che si sta riferendo al comandamento sul sabato.

In un mondo come il nostro, in cui la visione di un Dio creatore e giudice è quasi scomparsa dall’orizzonte della nostra vita, il richiamo a questi due aspetti diventa di fondamentale importanza. La nostra osservanza del sabato, diventa testimonianza vivente contro la visione evoluzionistica e materialistica della vita, diventa una testimonianza di fede nel Dio creatore e ri-creatore di un mondo buono.

La vera chiesa cristiana di questi ultimi giorni deve dare questo messaggio al mondo intero, deve ubbidire ai comandamenti di Dio, incluso quello sul sabato, e annunciare che il giorno in cui Dio giudicherà tutto e ognuno sta per venire. Questo è uno dei motivi per cui io sono un cristiano avventista del settimo giorno.

[author] [author_image timthumb=’on’]http://gliavventistirispondono.it/wp-content/uploads/2015/10/giovanni_leonardi.jpg[/author_image] [author_info]Giovanni Leonardi è pastore della Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno[/author_info] [/author]


[1] Adversus haereses 29.7.
[2] Ecclesiastical History 7.19. Si noti che Alessandria d’Egitto era politicamente e culturalmente strettamente legata a Roma.
[3] Citato in Kenneth A. strand (Ed.), The Sabbath in Scripture and History, Review and Herald, Washington, D.C., 1982, p. 216.
[4] Ibid, p. 217.
[5] Ibid, pp. 240,247.
[6] I testi biblici sono citati dalla Nuova Riveduta. Eccezioni saranno segnalate.
[7] Il sabato si ritrova anche all’interno delle altre leggi, ma queste servono a ricordare, rafforzare e completare quanto detto nel Decalogo. È molto interessante il fatto che tra tutte le leggi scritte nel libro del patto, solo poche siano messe anche nel Decalogo, le più importanti: tra queste c’è appunto quella del sabato.
[8] La stessa arca è chiamata, per ben 42 volte, «arca dell’alleanza», probabilmente perché il decalogo che conteneva era il documento principale dell’alleanza, ma non possiamo essere sicuri che questo fosse la sola ragione. Un altro motivo potrebbe essere che l’arca era al centro del servizio divino (in cui il decalogo continuava comunque ad avere un suo ruolo importante) come segno dell’incontro tra Dio e il popolo.
[9] Qualcuno potrebbe obiettare: «Allora perché non osserviamo anche i noviluni?» La mia risposta è che, nella sua descrizione del futuro, bisogna concedere al profeta il diritto di essere più giudeo di quello che siano noi, perché lui è vissuto prima di Cristo e noi dopo. È lo stesso problema che incontriamo in Isaia 56:7, dove, pure in un contesto chiaramente messianico, quindi successivo alla nascita e alla morte e risurrezione di Cristo, si continua a descrivere il rapporto tra i neo convertiti alla fede e Dio, in termini di adorazione come quella che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme con tutti i sacrifici di animali compresi. In un’ottica cristiana noi sappiamo e abbiamo capito che i sacrifici dell’antico patto erano un’ombra dell’unico e vero sacrificio di Cristo e che dopo che questo fosse stato realizzato, gli altri erano destinati a scomparire; ma Dio non pretende che questo fosse il messaggio da dare a e attraverso Isaia. Per quel momento bastava capire che l’alleanza sarebbe stata allargata anche ai pagani senza mettersi a discutere sui dettagli di come si sarebbe realizzata. Allo stesso modo, nel testo che stiamo considerando, quello che Dio voleva fare capire è che anche nella nuova terra, i suoi figli avrebbero continuato ad incontrare il Signore regolarmente, come avveniva sulla terra. Per fare capire questo menziona i momenti di incontro più frequenti, quello settimanale del sabato e quello mensile dei noviluni. Noi però sappiamo che mentre il sabato settimanale fa parte della legge principale di Dio, il novilunio nasce come iniziativa del popolo. Era un’abitudine comune a molti popoli, derivante dal passaggio, indicato dalla luna, da un mese all’altro. Si trattava di una tradizione sociale di Israele e in quanto tale non è obbligo per noi. È vero che nella Bibbia, il Signore inserisce i noviluni tra le varie festività, ma lo fa solo perché accetta e fa sua la tradizione di Israele, non perché Egli li abbia comandati. Possiamo anche notare che quasi tutte le volte che i noviluni sono menzionati, essi hanno a che fare con realtà cultuali e rituali. Essi non sono mai inseriti in un contesto morale come il Sabato e sono quindi soggetti a scomparire insieme a tutti i rituali legati al tempio terreno.
[10] Alcuni vedono le indicazioni date dalla chiesa riunita a Gerusalemme come se corrispondessero alle cosiddette «leggi noachiche» ma a noi non sembra che sia così. Queste leggi riguardavano l’obbedienza alle autorità, e/o l’osservare la giustizia sociale, l’astensione dall’idolatria, dalla bestemmia, dall’adulterio, dall’omicidio, da rapine, dal mangiare carne con il suo sangue. In ogni caso rimane in piedi tutto quello che abbiamo detto: le norme che si richiede di osservare non costituiscono tutto ciò che fa parte della fede cristiana, e l’osservanza comune de sabato è presupposta dal contesto stesso in cui nasce la discussione.