Gli scrittori di ogni lingua usano spesso delle immagini o dei modi di dire che, sono sicuro, i lettori non prenderanno certo alla lettera! Per esempio, in italiano usiamo l'espressione "tagliare la corda" che non ha niente a che fare con una corda letterale, ma vuol dire tutt'altra cosa. Oppure, diciamo "darsi la zappa sui piedi", anche se questo non c'entra proprio con la zappa dei contadini. Ci sono centinaia di espressioni idiomatiche come queste, e alcune sono reperibili anche nella Bibbia. Per esempio in ebraico, come in italiano, "mangiare la polvere" significa essere umiliato da qualcuno ("Ti farò mangiare la polvere!") e questa espressione la troviamo usata in Genesi 3: 14 dove Dio dice che il serpente "mangerà la polvere" per tutta la vita, anche se, è ovvio, i serpenti non si nutrono di polvere letteralmente! Sarebbe sbagliato interpretare la frase "mangiare la polvere" in modo letterale. Sfortunatamente, molti fanno un errore simile quando interpretano i testi biblici che parlano della punizione dei malvagi. Per capirci meglio, i termini ebraici e greci equivalenti alle parole italiane "eterno", "in perpetuo", "nei secoli dei secoli", non implicano sempre qualcosa che non ha mai fine. Molti testi del Nuovo Testamento parlano del "fuoco eterno".
"Allora (Cristo) dirà anche a coloro della sinistra: Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli... e questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna" Matteo 25: 41,46 (Vedere anche 18: 8). La parola greca tradotta "eterno" spesso veicola l'idea di una durata senza fine; ma a volte questa parola si riferisce non al processo, ma al risultato; ed è qualitativa, non quantitativa nel significato. Per esempio, "salvezza eterna" (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare qualcuno; "giudizio eterno" (Ebrei 6: 2) non significa un giudizio che non finisce mai; il processo dell'azione finisce, ma il risultato rimane in eterno! Il termine "peccato eterno" (Marco 3: 29) non designa un peccato che non si arresta mai, ma piuttosto un peccato con conseguenze eterne. Allo stesso modo "punizione eterna" (Matteo 25: 46) non significa una punizione che dura in eterno, come "distruzione eterna" (2 Tessalonicesi 1: 9) non significa una distruzione senza fine. Non è l'atto, ma il risultato che è senza fine. È vero, come viene sostenuto da coloro che credono nell'inferno, che la "punizione eterna" di Matteo 25: 46 dovrebbe durare come la "vita eterna" menzionata nello stesso passo; ma questo è vero per ciò che concerne i risultati, non il processo dell'azione, i malvagi saranno "morti", per tutto il tempo che i giusti saranno vivi.
L'espressione "fuoco eterno" dovrebbe essere interpretata nella stessa maniera. Non significa un fuoco che brucia eternamente, ma un fuoco in cui i risultati sono eterni; questo è chiaramente dimostrato dal modo in cui l'espressione viene utilizzata nella lettera di Giuda. Secondo Giuda 7, Sodoma e Gomorra furono bruciate con un "fuoco eterno"; nel passo parallelo di 2 Pietro 2: 6, si dice che il fuoco ridusse quella città "in cenere" e questo viene presentato come esempio di ciò che succederà ai malvagi. Naturalmente il fuoco a Sodoma non sta bruciando ora; il fuoco era eterno perché i risultati sono eterni, non perché non ha mai smesso di bruciare. Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà.
Un'altra espressione equivocata è "fuoco inestinguibile" (Matteo 3: 12; Marco 9: 43 ss.); essa non indica un fuoco che brucia continuamente senza mai spegnersi! In Geremia 7: 20, Dio minaccia di versare la sua ira su Gerusalemme:"...essa consumerà ogni cosa e non si estinguerà". Secondo 2 Cronache 36: 19,21 questa profezia fu adempiuta quando i babilonesi "incendiarono la casa di Dio", il fuoco ridusse in cenere le porte di Gerusalemme (Nehemia 2: 3) e poi naturalmente, si spense. "Fuoco inestinguibile", quindi, significa "fuoco che non si può spegnere", finché non si estingue da solo quando non ha più niente da bruciare. Non significa certo "fuoco che brucia in eterno"!
L'idea comune che l'inferno sia un posto, forse da qualche parte sotto la superficie della terra, dove i morti ora sono torturati tra le fiamme, trova appoggio, spesso, in un brano della Scrittura: la parabola dell'uomo ricco e Lazzaro (Luca 16: 19-31); questa si trova in un gruppo di parabole che trattano dell'uso del denaro, situate nei capitoli 15 e 16 di Luca. Il fatto che questa storia non sia esplicitamente chiamata "parabola" non è rilevante, perché soltanto la prima delle cinque parabole di questo gruppo è chiaramente designata in questo modo (Luca 15: 3). Non si può basare una credenza teologica su alcuni dettagli incidentali di una parabola. Per esempio, quella degli alberi che parlano (Giudici 9: 8-15) non vuole insegnarci certamente che gli alberi possono parlare e anche se, nella parabola del fattore infedele che è narrata in Luca 16, "il padrone lodò il fattore infedele" (Luca 16: 8), noi non ne deduciamo sicuramente che i cristiani debbano essere infedeli e disonesti.
Gli elementi essenziali della storia del ricco e Lazzaro erano già presenti nella religiosità popolare giudaica al tempo di Cristo; infatti, essi si possono trovare nella letteratura giudaica contemporanea. Cristo ha semplicemente preso a prestito questa storia per mostrare come l'uso del denaro influisca sul nostro destino; il soggetto del suo insegnamento non era la situazione dei dannati ma l'economato cristiano. Espressioni bibliche come "nel cuore della terra" (Matteo 12: 40) e "nelle parti più basse della terra" (Efesini 4: 9), che indicano il luogo dove Gesù è andato dopo la crocifissione, sono semplicemente un riferimento alla tomba e non a qualche punto nelle profondità del globo terrestre.
Un'espressione simile è usata in Giona 2: 3, in cui il protagonista, nel ventre del pesce, afferma di essere "nelle viscere del soggiorno dei morti". Che dire di Apocalisse 14: 10,11, che descrive la punizione dei malvagi in termini molto concreti? "Sarà tormentato con fuoco e con zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell'Agnello. E il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli; e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome". Sembra proprio che la Bibbia qui insegni chiaramente la dottrina delle "pene eterne" per i malvagi!
Notiamo prima di tutto che l'immagine del fuoco e dello zolfo, come pure quella del fumo che sale, è ripresa dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (Genesi 19: 24-28); il fuoco e lo zolfo sono, fin dall'inizio, i due mezzi di cui Dio si serve per distruggere gli empi (vedere Salmo 11: 6; Ezechiele 38: 22). Naturalmente, fuoco e zolfo bruciano solo fintanto che non hanno distrutto tutto, come è dimostrato chiaramente dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra e dal testo di Malachia 4: 1, tra gli altri! Va anche rilevato che, nelle lingue bibliche, l'espressione "nei secoli dei secoli" e le equivalenti "in perpetuo", "per sempre" significano, quando sono attribuite all'uomo e al suo ambiente, "per un certo tempo", "per un tempo definito". Ad esempio, in 1 Re 8: 12,13 Salomone afferma di aver costruito una casa per l'Eterno, "un luogo dove tu dimorerai in perpetuo"; è ovvio che ciò si riferisce al periodo in cui il tempio è esistito! In 2 Re 5: 27 troviamo: "La lebbra di Naham si attaccherà perciò a te e alla tua progenie in perpetuo", anche se dal versetto 27 si vede che la profezia si riferisce solo alla durata della vita di Gehazi. In 1 Samuele 1: 22, Anna dice che porterà Samuele al tempio "perché sia presentato dinanzi all'Eterno e quivi rimanga per sempre"; ma al versetto 28 vediamo che "per sempre" equivale a "finché gli durerà la vita" (vedere un altro esempio in Esodo 21: 6). In Geremia 17: 4, Dio minaccia Israele con le parole: "Avete acceso il fuoco della mia ira, ed esso arderà in perpetuo", ma in 23: 20, viene detto che l'espressione equivale a "finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore"! (Vedere anche Ezechiele 5: 13).
Il testo di Apocalisse 14: 11 dice anche che "non hanno requie né giorno né notte" coloro che sono puniti! Il libro di Isaia ci fornisce la chiave per comprendere appieno questo versetto. Le parole di Giovanni riflettono, infatti, la profezia di Isaia nel destino di Edom: "I torrenti d'Edom saranno mutati in pece, e la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo ne salirà in perpetuo; d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" Isaia 34: 9,10. Isaia 34: 5 - 35: 10 descrive prima la distruzione con il fuoco e poi la restaurazione di Edom. Sebbene Isaia 34: 10 sembri implicare che il fuoco di Edom brucerà per sempre, i versetti seguenti indicano che vi cresceranno "le spine, le ortiche e i cardi" e che "diventerà una dimora di sciacalli, un chiuso per gli struzzi" (34: 13)!
E' ovvio che il fuoco dovrà spegnersi dopo che avrà completato la sua opera distruttrice, ma c'è di più! Il versetto 10 dice che "d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" e il versetto 17 dice che alcune bestie "avranno il possesso in perpetuo" del paese, e quindi che Edom non sarà mai più abitata da esseri umani. Tuttavia, il capitolo seguente (Isaia 35) descrive la restaurazione di questa stessa terra, e il momento in cui viene ripopolata dai giusti! Le condizioni saranno così cambiate che il luogo che serviva come "dimora di sciacalli" (34: 13) diventerà un "luogo da canne e da giunchi" (35: 7 - vedere anche il versetto 9). Infine, il testo di Apocalisse 14: 11 non può descrivere una pena che non ha fine anche perché nello stesso libro (19: 21) viene detto che coloro che hanno il marchio della bestia saranno distrutti ("uccisi con la spada") durante la battaglia di Armaghedon. E' chiaro, quindi, che le espressioni di Apocalisse 14: 10,11 sono da interpretarsi in senso simbolico, come tutto il resto del libro.
"Dove il verme loro non muore". Isaia 66: 24 usa ancora una volta un linguaggio simbolico per descrivere la distruzione dei malvagi. Al di fuori delle mura di Gerusalemme c'era una valle che veniva usata anticamente come scarico dei rifiuti e anche delle carcasse dei condannati a morte. In questa valle i vermi che si nutrivano delle carni delle carcasse abbandonate sembravano sempre presenti e il fuoco che bruciava l'immondizia sembrava sempre acceso. Questa valle, chiamata "Valle di Hinnon " divenne un simbolo della sorte dei malvagi. In greco il suo nome fu traslitterato con "Gehenna". I "vermi" a cui Isaia fa riferimento sono i vermi letterali che si nutrono delle carni dei cadaveri ( v edere Giobbe 17: 14; 21: 26; 24: 19,20; Isaia 14: 11).
Come il fuoco "inestinguibile", i vermi non muoiono fino a che non hanno portato a termine il loro compito. Poco prima, nello stesso capitolo, Isaia aveva descritto la stessa scena con questi termini: "Poiché ecco l'Eterno verrà nel fuoco... poiché l'Eterno eserciterà il suo giudizio col fuoco e con la sua spada, contro ogni carne; e gli uccisi dell'Eterno saranno molti. Quelli che si santificano e si purificano per andare nei giardini dietro all'idolo ch'è quivi in mezzo... saranno tutti consumati, dice l'Eterno" Isaia 66: 15-17. Perciò, visto che il testo di Isaia 66: 24 è ancora una volta simbolo di una distruzione completa, è tendenziosamente errata la traduzione di Marco 9: 48 nella versione Interconfessionale denominata TILC: "Ed essere gettato all'inferno, dove si soffre sempre e il fuoco non finisce mai".
Di Tim Crosby, studioso avventista, Articolo pubblicato nel “il Messaggero Avventista, edito dall'A.d.V. di Firenze, nei mesi di gennaio e febbraio 1988.