Daniele 8: il quinto corno

"Quel che sappiamo per conto nostro è che tutto deve finire. Non sappiamo di più. Quel che vediamo e proviamo ogni giorno ci conferma nella sensazione che nulla sia perfetto. Quando guardiamo al vasto mondo che ci circonda siamo afferrati dallo sgomento. Qual è il senso della storia della terra, un briciolo di tempo  e di spazio, sperduto nell'universo infinito ove i mondi sorgono e scompaiono in miliardi di anni? E qual è il senso della storia dell'umanità, di queste poche centinaia d'anni, quando la paragoniamo ai milioni di milioni di anni d'esistenza della terra? E nella trama di questa storia dell'umanità dove, come da inesauribile sorgente, irrompono alla luce dell'esistenza i popoli, per scomparire presto, quale è il senso della tua breve vita, di questi settanta «o, per i più forti, ottanta anni»? Ma, ha poi davvero un senso? No!, risponde l'universo. Si!, dice la Parola di Dio, cioè il Creatore degli astri e dei viventi, la Parola del tuo Creatore".[1]

I capitoli 7, 8 e 9 del libro di Daniele sono collegati fra di loro, diremmo, sotto certi aspetti "interdipendenti".  A. Crampon scriveva: «La visione presentata in questo capitolo si riallaccia strettamente alla visione del capitolo precedente, che essa sviluppa e chiarisce. Tra le due si pone un intervallo di due anni circa».[2]

In Daniele 7 è possibile cogliere:

  1. La nascita e la caduta di Babilonia, della Medo-Persia, della Grecia e di Roma.
  2. L'apparizione di un potere conosciuto come "piccolo corno" che  opprime il popolo di Dio e altera le verità divine.
  3. La scena del giudizio e susseguente venuta di Gesù.

In Daniele 8 la profezia si concentra in modo particolare su quel periodo noto come giudizio e sulla strada da percorre per essere salvati.

Al versetto 2 ci attende una sorpresa. La visione è accordata a Daniele mentre egli si trovava a Susa. Questa città diverrà la capitale (Ester 1: 2) sotto la dominazione dell’impero Persiano. Sembra che Daniele stia progettando 12 o 14 anni prima, l’avvenire del regime persiano. Il fiume Ulai era conosciuto dai greci sotto il nome di «Eulaeus». La spiaggia a ridosso del fiume era larga 300 metri e si gettava nel fiume Karun a sud di Susa.

«Alzai gli occhi, guardai, ed ecco in piedi davanti al fiume, un montone che aveva due corna; erano alte, ma un corno era più alto dell'altro; il più alto era cresciuto dopo. Vidi il montone che cozzava a occidente, a settentrione e a mezzogiorno. Nessun animale poteva resistergli e non c'era nessuno che potesse liberare dal suo potere; esso faceva quello che voleva e diventò grande […] Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia» (Daniele 8:3-4, 20).

Il montone (versetti 3-4) rappresenta l’Impero Medo Persiano (cfr. ver. 20). Questi agisce su tre direzioni: Occidente settentrione e mezzogiorno. Queste tre direzioni corrispondono alle tre costole nella bocca dell’Orso di Daniele 7.[3]

«Mentre stavo considerando questo, ecco venire dall'occidente un capro, che percorreva tutta la terra senza toccare il suolo; questo capro aveva un grosso corno fra gli occhi. Il capro si avvicinò al montone dalle due corna, che avevo visto in piedi davanti al fiume, e gli si avventò addosso, con tutta la sua forza. Lo vidi avvicinarsi al montone, infierire contro di lui, colpirlo e spezzargli le due corna; il  montone non ebbe la forza di resistergli e il capro lo gettò a terra e lo calpestò; non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dal potere di quello. Il capro si irrobustì ma, quando fu al culmine della sua potenza, il suo gran corno si spezzò; al suo posto spuntarono quattro grandi corna verso i quattro venti del cielo […] Il capro irsuto è il re di Grecia; e il suo gran corno, fra i suoi occhi, è il primo re» (Daniele 8: 5-8, 21).

I versetti 5-8, offrono un breve racconto sulle imprese di Alessandro il Grande, rappresentato dal capro. "Weinstock[4], richiama l'attenzione sul fatto che in tradizioni astrologiche Dario è figurato col simbolo del montone (ariete) e Alessandro magno con quello del capro (capricorno)".[5]

Le quattro corna dell’ottavo versetto sono da comparare con le 4 teste del leopardo di Daniele sette, quindi i quattro diadochi o generali di Alessandro il Grande.

Dopo 12 anni di conquiste, a 32 anni, moriva a Babilonia lasciando l’impero  con problemi all’interno per la successione. Prima di morire aveva detto ai suoi 34 generali:  «Voi mi farete dei funerali sanguinosi... ». Infatti nella lotta che seguì la sua famiglia fu massacrata. Per qualche tempo, sotto la reggenza prima dell’uno poi dell’altro dei generali, governarono il fratello Filippo Arideo e il figlio postumo di Alessandro Magno, Alessandro II, sua moglie Rossana, la madre Olimpia e nel 308 la sorella Tessalonica. Ma poi tutti quanti perirono. E così il «gran corno cospicuo» che il capro aveva fra gli occhi, cioè la stirpe del Macedone, di Alessandro il Grande, venne spezzata.

Nel 306 a.C. alcuni generali presero il titolo di re, ma dopo la battaglia di Isso, in Frigia, nel 301 a.C., l’impero fu diviso in quattro regni indipendenti con qualche frammento trascurabile. L’angelo aveva detto a Daniele, spiegando la visione, che sarebbero sorti dopo di lui quattro regni, situati verso i quattro punti cardinali, che però «non apparterranno alla sua progenie e non avranno la sua stessa potenza».[6]

«I regni dei diadochi non uguagliarono mai quello del loro fondatore».[7]

L’abate Fabre d’Envieu commenta: «L’Impero di Alessandro o l’Impero Greco fu continuato sotto la forma di quattro regni greci. Gli Stati del conquistatore formarono quattro monarchie situate verso i quattro punti cardinali: all’Est il regno di Siria con Babilonia e le altre contrade orientali (dinastia Seleucida); al Nord il regno d’Asia con la Tracia (dinastia di Lisimaco); al Sud il regno d’Egitto con la Fenicia e la Palestina (dinastia Tolomaica); all’Ovest il regno della Macedonia e della Grecia (dinastia di Cassandro)».[8]

Fin qui l’accordo tra i diversi interpreti è pressoché totale.

Il quinto corno

«Da uno di essi uscì un piccolo corno, che si ingrandì enormemente in direzione del mezzogiorno, dell'oriente e del paese splendido» (Daniele 8:9).

Gli studiosi nell’identificazione del quinto corno sono al quanto divisi e ciò dipende dal sistema interpretativo da essi adottato[9] e da una avvertita preoccupazione relativa nel non vedere in esso il cristianesimo adulterato.[10] Sommariamente, abbiamo tre spiegazioni:

  1. Nel quinto corno è rappresentato Antioco Epifane IV, re Seleucida. Ciò significa che la profezia s’è già avverata.

    La spiegazione che risale a Giuseppe Flavio,[11] che vede in questa nuova potenza Antioco IV Epifane, undicesimo dei ventisei re che si sono succeduti sul trono dei Seleucidi di Siria, che regnò per 11 anni, dal 176 al 164 a.C., è stata seguita da diversi Padri della Chiesa tra cui Ippolito, Gerolamo, Crisostomo. Questa convinzione è tale che «la versione siriaca ha inserito qui, nel testo siriaco, le parole Antioco Epifane».[12]

    Sebbene sia esagerato dire, come scrive l’abate Fabre d’Envieu: «Tutti i critici riconoscono, del resto, che questa profezia fu realizzata ai tempi di Antioco Epifane»[13] o, come asserisce La Bible Annotée di Neuchâtel: «Tutti sono d’accordo nel vedere qui Antioco Epifane»[14] e G.L. Archer afferma : «Non si può quindi porre in dubbio che il piccolo corno del capitolo VIII deve alludere a un comandante dell’impero greco, vale a dire ad Antioco Epifane».[15]

    La critica a questa spiegazione scaturisce dal testo stesso perché: «Questa visione concerne il tempo della fine» (Dn 8: 17, 19), frase che «è sempre impiegata in senso escatologico e si riferisce in maniera chiara alla venuta del Regno»[16] di Cristo o, come spiega Ludwing Dennefeld in La Sainte Bible di Pirot: «L’ultimo periodo della storia del mondo che precederà lo stabilimento del regno di Dio».[17]

    Inoltre, il testo ci informa che il piccolo corno sorgerà «alla fine del loro regno...» - dei diadochi -  in altre parole, dopo la distruzione di questi o dei rispettivi regni (Dn 8: 23-25). Pertanto, il quinto corno non può essere Antico Epifane.

    Infine, la simbologia del linguaggio non permette una spiegazione in favore di Antioco. Il celebre Isacco Newton, nel 1700, faceva notare: «Non è molto giudizioso che alcuni abbiano preso questo ultimo corno per Antioco Epifane. Il corno d’una bestia non è mai preso per un semplice individuo; esso significa sempre un nuovo regno».[18] Le due corna del montone raffigurano i Medi e i Persiani. «Il primo corno cospicuo (del capro peloso) era il regno di Alessandro Magno e della sua famiglia».[19] «Il primo grande corno non indica Alessandro stesso, ma piuttosto il regno di Alessandro, per tutto il tempo che fu rappresentato da lui, da suo fratello, e dai due suoi figli»,[20] e le quattro corna che sorgono alla fine della sua dinastia, i quattro regni dei diadochi che abbiamo presentato sopra. Isacco Newton continua dicendo: «Ora il regno di Antioco era un antico regno. Antioco regnava su uno delle quattro corna, mentre il piccolo corno costituiva un quinto (regno) con i suoi propri re».[21]
  2. Coloro che applicano il sistema futurista, ritengo che questo corno rappresenta l’anticristo. Pertanto, rimandano, ogni  possibile interpretazione in un tempo indeterminato. Ma tale spiegazione crea un vuoto profetico improbabile che è impossibile accettare. Infatti, la profezia s’interrompe con la divisione dell’impero Greco – Macedone, per poi scomparire nel nulla. Ciò è praticamente impossibile, perché Dio, come dall’esperienza dell’Antico Testamento, non ha mai smesso di camminare con la storia del suo popolo e della chiesa. La profezia non può prescindere da Dio che percorre la storia dell’umanità.

    «Del resto come potrebbe sorgere un personaggio futuro da uno dei quattro regni ellenistici che hanno cessato di esiste da così tanti secoli?».[22]

  3. Da uno studio comparato con Daniele 7, si evince che il quinto corno di Daniele 8 svolge un’opera di contrasto della stessa natura dell’undicesimo corno di Daniele 7; che esso incarna lo spirito della quarta bestia di Daniele 7, ovvero Roma imperiale.

Daniele VII

versetto 20 maggiore dei precedenti

versetto 25 parole contro l’Altissimo

versetto 25 cambia tempi e legge

Daniele VIII

versetto 9 divenne molto grande

versetti 11,25 auto esaltazione

versetto 13 calpesterà la verità

versetto 25 perseguiterà i santi

versetto 26 sarà sterminato

versetto 10 calpesterà l’esercito del cielo[23]

versetto 26 sarà distrutto senza opera umana

(vedere anche 2:45; 7 :26)

Daniele otto denuncia che la “sua potenza sarà grande, ma non sarà potenza sua” (v. 24). Ciò significa che agisce in funzione di un potere che gli è conferito (cfr. 2 Tess. 2: 9-10). Inoltre che è “esperto in intrighi” la Cei traduce: “sfacciato e intrigante” (v. 23), “sarà causa di rovine inaudite” (v. 24), “prospererà nelle sue imprese” (v. 24) e a motivo della sua astuzia, la frode prospererà nelle sue mani” (V. 25). Letteralmente: “con sua astuzia farà prosperare l’inganno nelle sue mani” e  “distruggerà molte persone che si credevano al sicuro” (v. 25) letteralmente: “e con lusinghe corromperà molti”.

A compimento della sua funesta condotta, “si ergerà pure contro il principe dei principi (v. 25), alla lettera: “e contro il principe dei principi si ergerà”,[24] togliendogli il quotidiano, profanando “il luogo del suo santuario” (v. 11).

Uno degli aspetti significativi dell’attività è la sua azione contro il Principe dei principi (il Principe Mika’el), infatti, cercherà di togliergli il tamîd (il ministero continuo) e di abbattere il fondamento del suo santuario (mekôn miqdashô). In altre parole l’azione sovvertitrice del quinto “corno” adombra un’usurpazione del ministero di Cristo che consiste nell’opera di riconciliazione caratterizzata dal perdono dei peccati, dalla dinamica della santificazione e del giudizio. Questa attività di Cristo in favore dell’umanità e in particolare modo della sua chiesa, è sostituita da un servizio sacerdotale terreno rivestito dal potere di rimettere esso stesso i peccati, da una dinamica della santificazione contraddistinta dalle buone opere e dalle penitenze,  da un giudizio che bandisce le persone nel purgatorio, nell’inferno o in paradiso e dal trionfo di un regno terreno che non ha nulla a che fare con il regno di Dio che non è di questo mondo, né con i nuovi cieli e la nuova terra.[25]

In breve, il quinto corno di Daniele 8 è identico alle gambe di ferro della statua di Daniele 2, al mostro dalle 10 corna e all’’11.mo corno di Daniele 7. Rappresenta Roma nel suo divenire politico - religioso. Ciò significa che nella visione, Roma non viene vista sotto il profilo prettamente politico, ma principalmente religioso. Infatti, scrive Oscar Culman «il culto dell’imperatore era il punto in cui lo Stato romano superava i suoi limiti, in cui si ergeva per così dire ad istituzione divina, al fine di dominare anche selle anime dei suoi sudditi... Rifiutare di offrire i sacrifici all’immagine dell’Imperatore e di pronunciare Kyrios Kaiser (Signore Cesare) comportava d’ufficio la condanna a morte».[26]

Il cattolico Wladimir d’Omersson, accademico francese e ambasciatore per otto anni presso la santa sede, scrive: «Sul piano storico il Papa è l’erede dei Pontefici Romani e questo titolo interessa sia l’antico impero di Roma sia l’era cristiana».[27]

Poco a poco - così ci mostra la storia - l’Impero Romano d’occidente fece posto alla Chiesa Romana così bene da far dire che il primo non è completamente scomparso, ma ha subito una metamorfosi. Se, come in un puzzle, mettiamo l’uno accanto all’altro gli attributi del corno, così come li descrive Daniele, constateremo stupefatti di trovarci davanti a una predizione che si è avverata in ogni suo particolare.

“Il Papa che s’intitola re e Pontifex Maximus (Pontefice Massimo) è il successore di Cesare. Tutta penetrata di spirito romano del III e del IV secolo, la Chiesa ha restaurato, nella sua propria costituzione, l’impero Romano. Dopo il VII e l’VIII secolo i patrioti cattolici di Roma e d’Italia non l’hanno mai compreso diversamente”.[28]

Scrive J. H. Waggoner: "C'è una differenza tra il piccolo corno del cap. 7 e quello del cap. 8. Il primo rappresenta Roma papale, mentre il secondo rappresenta Roma in tutte le sue fasi della sua storia, la fase pagana e la fase papale".[29]

Tale spiegazione è in armonia con l’insieme delle profezie che illustrano il modo in cui Dio segue la storia. Ad esempio, la sette chiese e i sette sigilli,[30] come anche apocalisse 13[31] del libro dell’apocalisse. Queste e tante altre profezie ci rendono consapevoli che non siamo soli, che Dio è con e per noi e ci aiutano a comprendere l’evolversi della storia per essere maggiormente determinati nelle cose che riguardono Dio, in vista delle beata speranza del ritorno di Cristo.

 


[1] E. Brunner, “La nostra fede” Casa Ed. Battista,  p. 167, Roma, 1965

[2] CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V,  Daniel, 1900, nota.

[3] In questo capitolo non si parla di Babilonia perché questo impero era giunto alla sua fine e stava cedendo il posto alla potenza che la seguiva. Inoltre si può pensare che strategicamente la conquista di Babilonia da parte di Ciro sia iniziata con la campagna militare contro la Lidia nel 547 a.C. (Vedere YOUNG Cuylrt, The Early History of de Mede and the Persians and the archaemenid Empire to the Death of Cambyse, Press University, Cambridges 1988, p. 36.

[4] Weinstock «Journ. Rom. St.» 38, 1948, 43 s.; (cfr, H. Fuchs, in TZ 5, 1949, 233 s.)

[5] Esistono monete con il montone che rappresenta la Persia e con il capro ad emblema della Grecia (SPICER W.A., Tempi odierni alla luce della profezia, London  1917, p. 205).

[6] Daniele 11:4; 8:22.

[7] Abate FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1890, p. 839

[8] Idem, p. 798. The Seventh-Day Adventist Bible Commentary (SDABC) vol. IV, Review and Herald Publishing Association, Washington D.C. 1955, p. 822 così riassume: «Tolomeo ebbe l’Egitto con la Palestina e parte della Siria; Cassandro ebbe la Macedonia con la sovranità nominale sulla Grecia; Lisimaco ebbe la Tracia e una buona parte dell’Asia Minore; e Seleuco ebbe il resto di ciò ch’era stato l’Impero Greco, cioè‚ una parte dell’Asia Minore, il Nord della Siria, la Mesopotamia e l’Est».

[9] La profezia può essere considerata come già realizzata, in fase di realizzazione o si realizzerà in un lontano futuro.

[10] Ciò riguarda anche l’undicesimo corno di Daniele 7

[11] Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, X, XI, 7.                  DELCOR Mathias, Studi sull’Apocalittica,  Paideia editrice, Brescia 1987, pp. 277,278 di Giuseppe Flavio riporta: «Il grande corno…. Indicava il primo re, dopo la sua morte, e la spartizione tra loro, del suo impero.  Sarebbe sorto fra loro un re che avrebbe fatto guerra al popolo giudaico e alla sua legge, distrutto la sua forma di governo, saccheggiato il Tempio e interrotto i sacrifici per tre anni».  A questo punto della sua composizione lo storico giudeo identifica questo re con Antioco Epifane: «È, infatti, questo che il nostro popolo dovette subire da parte di Antioco Epifane, come Daniele aveva previsto e di cui molti anni prima aveva descritto il compimento». In maniera assai sorprendente aggiunge: «Similmente Daniele ha scritto a proposito della supremazia dei Romani e del modo con cui si sarebbero impadroniti di Gerusalemme e avrebbero devastato il Tempio» Antichità Giudaiche, X, 273-276, p. 277. Quest’ultima frase è considerata dai critici una glossa ed è in questo caso esagerata» A. SCHLATTER, Die Theologie des Judentums nach de Bericht des Josephus, Hildesheim 1975, ristampa ed. 1932, p. 217. Questa frase è omessa nella versione latina e la si attribuisce a Crisostomo, ma è considerata autentica dal traduttore RALPH Marcus, per il motivo che si trova nel contesto di Daniele 11-12 che le fonti rabbiniche ritenevano che la profezia parlasse anche della conquista romana e quindi non c’è nessun motivo di pensare che egli avrebbe potuto omettere qui i Romani. Vedere M. Delcor, o.c., p. 278.

[12] BARNES Albert, Notes on the Book of Daniel, New York 1853, p. 344; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Le Jugement, Collonges sous Salève 1968, p. 16. Numerose versioni hanno aggiunto in nota il nome di Antioco Epifane. Alcuni esempi: la traduzione ecumenica The Bible; The Berkeley versione in lingua inglese moderna, Grand Rapids 1959; The Amplified Bible, Grand Rapids 1965, pone Antioco tra virgolette in nota a 8:9.

[13] J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 779.

[14] La Bible Annotée,  o.c., t. II, p. 297.

[15]  ARCHER Gleason Leonard, La Parola del Signore, Introduzione all’Antico Testamento, ed. Voce della Bibbia, Modena 1972, p. 474.

[16] CHARLES Robert Henry, A critical and Axegetical Commentary on the Book of Daniel, Oxford 1991, p. 394.

[17] DENNEFELD Ludwing, La Sainte Bible, vol. VIII, ed Pirot, Paris 1946, p 684.

[18] NEWTON Isacco, Observation upon the Prophecies of Daniel, London 1831, p. 137.

[19] NEWTON Thomas, Dissertation on the Prophecies which have remarkably been fulfilled and at this time are fulfilling in the world, t. II, 7a ed., London 1896, p. 49.

[20] Idem, t. II, ed., 1758, pp. 32,33; cit. A.F. Vaucher,  o.c., p. 16.

[21] I. Newton, o.c., p. 137.

[22] A.F. Vaucher, L’Antichrist, p. 18.

[23] “distruggerà i potenti e il popolo dei santi” (V. 24). Al versetto 10 “fece cadere a terra una parte di quell'esercito e delle stelle, e le calpestò”. “L’esercito del cielo” è il popolo di Dio, la comunità dei credenti. “Le stelle” sono i suoi capi, i suoi principali esponenti (Ap 1:20; 2:1).

[24] Il capo di questo esercito non può essere né un sacerdote, né un principe, né qualsiasi persona fisica. Il capo dell’esercito è il Dio degli eserciti. L’espressione che segue: «Il suo santuario», fa ancora pensare a Dio stesso che è il «Principe dei principi», come Daniele specifica più avanti e che chiama anche capo del popolo: Micael “vostro principe”, cioè il principe del popolo di Dio. L’impegno di “Micael, il grande principe”, in favore del suo popolo è descritto in Daniele 12:1-3, (Daniele 10:13,21; 12:1), che secoli prima si presentò a Giosuè come «il capo dell’esercito dell’Eterno» e dal quale ricevette l’adorazione (Giosuè 5:13-15). Questo capo è l’Emanuele, Dio con noi e viene adorato, è il «Principe della Pace» e «Principe dei popoli» (Giovanni 20:28; Atti 7:59; Filippesi 2:10,11; Isaia 9:5; 55:4.). Nel capitolo seguente sarà presentato come l’Unto-Capo (Dan 9:25) il quale incarnerà la funzione regale e sacerdotale. Nel libro di Daniele la parola “principe” sar indica abitualmente un essere celeste. È dunque normale considerare che voglia dire la stessa cosa qui. G. Hasel fa notare che il verbo dell’espressione «s’ingrandì fino al Principe dell’esercito» «esprime l’idea che (questa) potenza si attribuisce con arroganza delle prerogative che non appartengono a nessun altro che al “Principe dell’esercito”»- HASEL Gerhard F. La petite corne, les saints et le sanctuaire en Daniel 8, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Collonges sous Salève 1982, p. 210.

[25] Gv 18:36; Mt 26:29; Ap 21

[26] Oscar Culman, Dieu et Césare, Neuchatel, 1936, p. 83, 84

[27] Wladimir d’Omersson, il Papato, ed. Paoline, 1958, p. 156

[28] Carl Gustav Adolf HarnacK, “L’essenza du Christanisme, Paris, 1907, p. 299

[29] J. H. Waggoner, D'eden en Eden, p. 148

[30] Queste profezie seguono l’evoluzione del cristianesimo nel corso della storia e costituiscono un continuo richiamo alla conversione da parte di Dio, rivolto in primis alla chiesa.

[31] Da uno studio comparato di questo capitolo emerge un dato interessante in rapporto a Daniele 7.