Significato escatologico delle Settanta Settimane

«Ma quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio mandò il suo Figlio... affinché noi ricevessimo l’adozione di figli (di Dio)» S. Paolo.[1]

«Il centro del tempo è un fatto storico, già compiuto nel passato: la vita e l’opera del Cristo» Oscar Cullmann.[2]

Aspetti introduttivi[3]

Nel terzo anno del regno di Beltsatsar, Daniele ebbe una visione nella quale vide un potere che sarebbe sorto alla fine della dominazione greca, già vincitrice dei Medo-Persiani. Esso si sarebbe impadronito della Palestina, il paese splendido, si sarebbe elevato contro il Principe dei principi, gli avrebbe tolto il perpetuo, avrebbe abbattuto il santuario e soppresso la verità. Alla domanda: «Fino a quando...?», la risposta è: «Fino a 2300 sere e mattine; poi il santuario sarà purificato».[4]

Il messaggero celeste, l’angelo Gabriele, inviato da Dio per spiegare a Daniele il significato della visione, fa sapere al profeta che essa copre un lungo periodo che va fino al «tempo della fine», e il potere che sorgerà dopo la divisione del regno di Grecia «a motivo della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; s’inorgoglirà in cuore suo, e in piena pace distruggerà molta gente; insorgerà contro il Prin­cipe de’ principi» e alla fine «sarà infranto, senz’opera di mano».[5]

Daniele, fortemente impressionato per quanto gli era stato mostrato in visione, svenne. La spiegazione fu interrotta. L’uomo di Dio così termina la descrizione di quell’esperienza: «Io, Daniele, svenni, e fui malato vari giorni; poi m’alzai, e feci gli affari del re. Io ero stupito della vi­sione, ma nessuno se ne avvide».[6] L’abate Crampon traduce: «... Poi m’alzai e mi occupai degli affari del re. Io ero stupefatto di ciò che avevo visto, e nessuno la comprendeva» e poi commenta: «Nessuno di coloro ai quali comunicai la mia visione la comprendeva perfettamente o meglio nessuno se ne accorse, non notò, non conobbe la viva impressione che mi aveva causato la visione, fino a rendermi ammalato».[7]

La visione presentava una ulteriore distruzione del tempio e la soppressione del Capo del popolo d’Israele. Daniele pensava che il periodo cronologico della visione riferito alla purificazione del santuario poteva essere l’annuncio di un prolungamento dell’esilio. Il tempio e la città di Gerusalemme erano ancora distrutti. Daniele sapeva che i profeti collegavano le loro speranze messianiche al tempio e alla città di Gerusalemme. Ma come ciò si poteva realizzare se tutto era demolito? I profeti e in particolare Isaia avevano annunciato il trionfo messianico in seguito all’esilio, con il ristabilimento della nazione d’Israele.[8] Daniele per tutto questo era sconvolto.

a) Spiegazione della visione in rapporto all’ottavo capitolo

Daniele metteva in relazione la visione che aveva avuto e che descrive nel capitolo VIII del suo libro con i settant’anni di esilio che erano stati annunciati da Geremia. La comprensione della visione lo preoccupava e quando i Medo-Persiani conquistarono Babilonia, nel modo in cui Isaia l’aveva annunciato due secoli prima, indicando anche in Ciro il Medo il pastore che avrebbe realizzato la Sua Parola,[9] per il profeta e per tutto il popolo si compiva il segno che l’esilio stava per finire. Daniele pregò Dio che perdonasse i peccati d’Israele, affinché quanto annunciato da Geremia si avverasse. Dio gli rivelò allora in quale momento: il peccato sarebbe stato definitivamente espiato, la giustizia eternamente instaurata e, siccome Daniele era preoccupato per Gerusalemme distrutta da Nebucadnetsar, Dio gli rispose che in un tempo ben preciso, in seguito a un decreto, la città sarebbe stata ricostruita, ma per essere poi nuovamente distrutta con il tempio, a causa dell’infedeltà del popolo.

Daniele scrive nel capitolo IX: «Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto nella visione da principio, mandato con rapido volo, s’avvicinò a me, verso l’ora dell’oblazione della sera. E mi ammaestrò, mi parlò, e disse: “Daniele, io sono venuto per darti intendimento. Al principio delle tue supplicazioni, una parola è uscita; e io sono venuto a comunicartela, poiché tu sei grandemente amato. Fai dunque attenzione alla parola, e intendi la visione”».[10]

«Quale visione?... se questa parola non si riferisce a quella del capitolo VIII, chi dirà ciò che significa? Non c’è nessuna visione al capitolo IX che possa essere proposta all’esame di Daniele; non c’è là che una conversazione tra Gabriele e Daniele, il cui scopo è di spiegare la visione».[11]

«Si tratta... della visione in cui Gabriele si era mostrato precedentemente; la visione alla quale era stata fatta allusione in una forma precisa[12]: quella che Gabriele aveva ricevuto l’ordine di spiegare[13]».[14]

L’angelo Gabriele non aveva potuto spiegare completamente la visione del capitolo VIII perché Daniele era svenuto: «Si trattava, in effetti, di spiegare ciò che non era stato compreso al capitolo precedente: la parte relativa ai 2300 anni, messa in rapporto con la durata del sacrificio continuo».[15] «La profezia delle 70 settimane fa dunque corpo, benché separato da un certo tempo, con la visione del capitolo VIII».[16]

Questo pensiero del canonico Vidal è espresso anche nella Bibbia, versione Pirot, che dice: «Lo scopo del capitolo IX è di completare il precedente dal punto di vista cronologico».[17] Mons. Rinaldi così si esprime nel suo commentario esegetico su Daniele: «La rivelazione di questo capitolo (IX) si collega a quella precedente, che intende completare - alla fine del capitolo VIII il profeta non è rimasto del tutto privo di dubbi...: Dio gl’invia l’angelo Gabriele che gli reca la profezia delle 70 settimane.... Gabriele è partito per mettere Daniele in condizione di intendere pienamente, letteralmente “fargli intendere intelligenza”. Sembra con ciò collegarsi con il testo di VIII:27: dopo la visione e rivelazione il profeta “non era intendente” e l’angelo viene come “facente intendere”, per dargli “intelligenza”».[18]

L’angelo quindi andò a fare capire a Daniele quello che non aveva potuto comprendere prima: «Fai dunque attenzione alle parole ed intendi la visione».

Le settanta settimane

«Settanta settimane sono state fissate (isolate)[19] riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. Sappi dunque e comprendi bene: dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino all’apparire di un unto, di un capo, ci saranno sette settimane e sessantadue settimane ed (essa) sarà restaurata e ricostruita, piazza e mura, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d’un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra. L’invasore stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta; sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore commetterà le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore» (vv. 24-27).

Per Ernest Renan «il libro di Daniele dà in qualche modo alle speranze messianiche la loro ultima e definitiva espressione».[20]

Vittorio Messori, autore di Ipotesi su Gesù, soffermandosi sulla profezia di Daniele 9, afferma: «C’è in questo testo, una progressione continua e davvero impressionante, che sfocia nella celebre Magna Prophetia, la grande profezia del capitolo nono. Qui, seppure tra le oscurità dell’oracolo e nella logica costante del Dio che “sceglie la penombra”, sembra davvero che venga suggerita la data in cui sarebbe apparso il Messia. È la prima e unica volta nella Scrittura che si stabilisce un vero e proprio “calendario”».[21]

Dato che su questa profezia ci sono molte referenze, [22] per una immediata comprensione del testo, ritengo saggio evidenziare gli aspetti più rilevanti, rimandando il lettore alla nota di approfondimento dopo la conclusione di questo studio.

Primo: questa profezia, a differenza di quella delle 2300 sere e mattine di Daniele 8:14, ha un preciso punto di partenza: «Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme» (v.25).

Secondo: questa profezia, come la precedente, richiede l’applicazione del principio un giorno uguale a un anno.

Il Talmud precisa «Una settimana in Daniele 9 significa una settimana d’anni» (Yoma 54a). Questo modello d’interpretazione lo troviamo negli scritti degli Esseni (manoscritti del mar Morto). Le 70 settimane sono convertite in 490 anni, periodo che si conclude con la venuta del «Maestro di giustizia». [23]

Se la cattività è durata 70 anni, la grazia di Dio sarà 7 volte più abbondante, cioè 7 volte 70 = 490 anni. – (Matteo 18: 21 – 22).[24]

Terzo: al versetto 25 troviamo la data d’inizio dei 490 anni. Questa data coincide con il decreto riguardante la costruzione di Gerusalemme. Il libro di Esdra ci informa che la città di Gerusalemme e il tempio furono ricostruiti a partire da tre decreti promulgati da Ciro (536 a.C. Esdra 1: 1-4; 2 Cron. 36: 22,23); Dario (520 a.C. Esdra 6: 6-12) e Artaserse I (457 a.C. Esdra 7: 12-26). I decreti di Ciro e di Dario, in effetti, concernono la costruzione del tempio. Bisogna aspettare l’editto di Artaserse I, dato nell’autunno del 457, che oltre a confermare i precedenti, riguardanti il tempio, sancisce la costituzione di giudici, di magistrati per amministrare la vita civile della città. Ora il potere di ricostruire Gerusalemme politicamente e giuridicamente Gerusalemme includeva anche la costruzione della città: le sue mura e case, riunire dei cittadini e farvi regnare delle leggi.

La profezia afferma dunque che a partire dall’editto di Artaserse (457 a.C.) «fino all’apparire di un unto, di un capo, ci saranno sette settimane e sessantadue settimane» - in altre parole sarebbero passate 62 settimane, più 7 settimane, per un totale di 69 settimane fino all’apparizione di un «Unto capo», che gli studiosi quasi universalmente identificano con la figura di Gesù.

Dato che 69 settimane equivalgono a 483 giorni (69 x 7) e che un giorno equivale a un anno, l’arco di tempo copre almeno 483 anni. Quindi, secondo questa straordinaria profezia, il Messia sarebbe apparso 483 anni dopo il 457 a.C. cioè la data dell’editto di ricostruire Gerusalemme. È accaduto esattamente questo. Aggiungendo 483 anni al 457 a.C. si arriva al 27 d.C., anno in cui Gesù, «l’Unto capo»[25], fu battezzato e iniziò il proprio ministero.

La profezia offre dettagli più precisi per quanto riguarda l’ultima settimana, o gli ultimi sette anni (la prima parte si riferiva solo a 69 settimane, o 483 anni), periodo che comprende anche la crocifissione di Cristo. [26]

"In mezzo alla settimana". «Con questa precisazione l'angelo indica il centro della profezia, ma anche il centro del tempio dell'universo. Il messaggio biblico comincia con la creazione e termina con la nuova creazione all'ultimo giorno che ne è lo scopo e il fine. Tra questi due momenti si situa l'avvenimento decisivo della croce...».[27] L' elezione di Gesù Cristo, la cui morte sulla croce e risurrezione costituiscono il centro della salvezza.[28] La profezia delle 70 settimane copre dunque un periodo di 490 anni, che vanno dal 457 a.C. al 34 d.C.

In breve:

  • 7 settimane = 49 anni per la costruzione di Gerusalemme. Questo periodo si conclude nell'anno 408 a.C.
  • 62 settimane = 434 anni fino alla consacrazione - battesimo dell'Unto dell'Eterno = Gesù: il Messia; così arriviamo al 27 d.C.
  • 1 settimana, cioè 7 anni, nel mezzo dei quali l'unto sarebbe stato soppresso, ucciso.
  • Dopo la morte del Messia, restano 3 anni ½ di grazia per il popolo d’Israele in tanto che popolo eletto. E’ l’ultimo appello. Gli apostoli esortarono gli abitanti di Gerusalemme a cambiare condotta - Atti 2: 35 - 38. Ma nel 34 della nostra era il Grande Consiglio giudeo lancia un grande offensiva contro i Cristiani e lapidano Stefano. I cristiani si disperdono ed evangelizzano i gentili (Atti 7: 54 - 57; 8: 1-2). I 490 anni finiscono.

Quarto: al versetto 24 ci viene detto che le 70 settimane sono state «fissate o (isolate) per il popolo...» da un periodo più lungo, cioè dai 2300 anni di Daniele 8: 14. Questo significa che il punto di partenza dei 490 anni vale anche per la visione specifica di Daniele 8:14 e che riguarda la purificazione del santuario celeste, che, alla luce della purificazione del santuario terreno che avveniva nel giorno dello Yom kippur (Lev 16), a che fare con il giudizio preliminare che precede il ritorno di Cristo.

Ora, partendo dall’autunno del 457 a.C. aggiungendo i 2300 giorni - anni si arriva all’autunno dell’anno 1844 della nostra era; anno in cui iniziò l’ultima fase della storia dell’umanità.

L’angelo Gabriele aveva dichiarato che questo periodo concerneva il tempo della fine (Daniele 8: 17), pertanto, noi viviamo nella fase finale della storia dell’umanità, nel periodo del giudizio che si svolge immediatamente prima del ritorno di Cristo in gloria.

Infatti, quando Gesù ritornerà avrà con sé il premio della vita eterna (Ap. 22:12); ovviamente occorre già in precedenza che venga stabilito chi dovrà ricevere questo premio. Dio stesso rassicurò Daniele dicendogli che «alla fine dei giorni, avrebbe ricevuto il premio, la sua parte d'eredità» (Daniele 12:13).

Oggi viviamo nell'ora del giudizio preliminare (Ap. 14:7). Come al tempo dell'antico Israele, nel giorno del gran perdono (Yom kippur) coloro che non si pentivano dei loro peccati e non offrivano la loro vita a Dio erano esclusi dal campo, separati dal popolo, cosi anche noi oggi siamo inviati a non vanificare la grazia di Dio (2 Corinzi 6: 1-2). Questo il nostro momento! Per quel che riguarda il passato possiamo fare ben poco: esso ormai appartiene all'eternità. Il futuro potrebbe anche non venire. Solo questo momento, questo attimo fuggente è nostro. Perché non abbandonare completamente la vostra vita a Cristo, ora, in questo preciso istante? Perché non dirgli: Signore, in questo momento io ti consacro la mia vita, perdona i miei peccati. Purificami con la tua grazia e rendimi idoneo per il tuo Regno?

Nota di approfondimento

Daniele 9:26-27 - «Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d'un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un'inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra. L'invasore stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta; sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore commetterà le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore».

Questa dichiarazione annuncia la distruzione di Gerusalemme che avvenne nel 70 d.C. ad opera di Tito. Gesù stesso ha annunciato la distruzione del tempio e della città prima che fosse passata quella generazione.[29]

Alcuni studiosi identificano il «capo» con il generale Tito. Però credo che sia più corretto vedere in questo nagid (capo) ancora lo stesso Messia, ovvero Cristo Gesù.

Se, come alcuni credono che si tratti di Tito, credo che il termine scelta sarebbe stato “melek” e non “nagid”.

Gesù Cristo risponde alla descrizione dettagliata della profezia: è lui il Messia Principe che è apparso alla fine delle 69 settimane (versetto 25); è lui il Messia che è stato sterminato (soppresso) (versetto 26a). Dovrebbe dunque anche corrispondere al Principe del popolo che, venendo, causerà la distruzione della città e del santuario (versetto 26b). Riconoscendo in lui il «principe che verrà», si è in sintonia con le indicazioni cronologiche date nei versetti precedenti.

I Romani appaiono anche in questa profezia, ma solamente sotto i tratti del “devastatore” di cui si parlerà più avanti (vers. 27).

Già nell’Antico Testamento Dio si servì delle varie nazioni, Assiria e Babilonia, per compiere un suo giudizio parziale. Di loro dice: «... L’Assiria, verga della mia ira! Il bastone che ha in mano è lo strumento della mia indignazione».[30]«O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni».[31]

L’abate Fabre d’Envieu fa notare: «A torto si è supposto che il titolo di Nagid era dato al principe romano che doveva distruggere Gerusalemme, Tito, indicato al versetto seguente sotto il nome di Devastatore. Egli non era che il luogotenente del Messia, il quale, solo, è propriamente il Capo, il Conduttore, il Veniente. Colui che è stato stabilito capo delle nazioni e che ha ricevuto i popoli come una eredità che gli spetta di diritto, si è posto alla guida dei romani per esercitare i suoi castighi su una nazione che aveva rifiutato di essere suo popolo. Egli stesso ha condotto l’esercito che doveva punire l’insolenza e l’ingratitudine dei Giudei».[32]

«Quando Tito entrò nella città (dopo averla espugnata) ammirò le alte fortezze... osservando... l’altezza della loro massicciata, la grandezza di ciascun macigno, l’accuratezza delle connessioni e come fossero ampie ed elevate, esclamò: “Davvero abbiamo fatto la guerra con Dio e fu Dio che da questa fortezza tirò abbasso i Giudei! poiché mani d’uomini o macchine, che cosa possono contro queste torri?”».[33]

Gesù, dopo aver presentato la parabola dei cattivi vignaioli, parlando di coloro che lo avrebbero rifiutato, disse: «La pietra che gli edificatori hanno riprovata è quella ch’è diventata pietra angolare... Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato ad una gente che ne faccia i frutti. E chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed ella stritolerà colui sul quale cadrà».[34]

«La morte del Messia comporta due conseguenze: la prima sarebbe l’abbandono del popolo ebraico, Dio lo lascerebbe andare a se stesso, il Messia rinuncerebbe al popolo che aveva rinunciato a lui. La seconda, un po’ più lontana nella sua realizzazione, era la desolazione della città e del santuario. Il rinnegamento e la crocifissione del Messia portarono alla distruzione della città e del tempio, alla dispersione della nazione ebraica».[35] Gesù stesso annunciò il giudizio su Gerusalemme nella parabola delle nozze in cui gli amici del re, il popolo d’Israele, rifiutano l’invito alla salvezza e subiscono la distruzione: «Allora il re s’adirò, e mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e ad ardere la loro città».[36]

La distruzione di Gerusalemme, come quella di Sodoma e Gomorra, è una raffigurazione, un tipo del giudizio finale ed è la dimostrazione della distruzione del male e di tutti coloro che avranno rifiutato la vita che solo l’Eterno può dare.

La persona del Cristo è salvezza per gli uni ed è condanna per gli altri. Non ci si può disinteressare di lui. È la pietra sulla quale si edifica la propria vita o è la pietra sulla quale si schianta la propria esistenza. Queste parole possono sembrare dure, ma l’uomo non può ridere del suo Creatore, la storia d’Israele lo dimostra. Se l’uomo non accetta Dio, si causa la morte.[37]

J.H.A. Ebrard scriveva: «Il Salvatore è chiamato Unto quando si tratta della sua sofferenza e del suo rigetto; è chiamato Principe quando si tratta del giudizio che esercita su coloro che l’hanno rifiutato».[38]

Considerando che Gesù Cristo, l’Unto Capo, risponde perfettamente a tutti i dettagli di questa profezia ed è il solo protagonista di questo testo; è lui il Messia Principe che è apparso alla fine delle 69 settimane; è lui che è stato soppresso ed è quindi ancora lui che dovrebbe, quale Principe del popolo, venire per distruggere la città.

Il testo biblico si esprime in termini causali e potrebbe dire che sia il popolo ebraico la causa della distruzione di Gerusalemme. Si può avere la seguente lettura: «Il popolo a causa del Capo che verrà (del Capo veniente), - distruggerà - sarà la causa della distruzione della città e del santuario». «Il popolo di Capo il veniente causerà la distruzione della città e del santuario». In altre parole, il popolo d’Israele non avendo accettato il Messia causerà la distruzione della propria nazione, che sarà materialmente realizzata dai Romani. Gesù piange su Gerusalemme perché la città ha rifiutato la sua protezione e si è esposta alla distruzione.[39]

Negli anni sessanta la causa della ribellione dei Giudei nei confronti dell’impero di Roma va proprio ricercata nell’attesa messianica e nella convinzione che i tempi a lui attribuiti per il presentarsi al popolo erano compiuti.

Per i giudei il Messia conquistatore, che avrebbe fatto risplendere il trono di Davide, doveva prendere il potere. Gli Ebrei si ribellarono ai Romani sperando che il Messia finalmente si manifestasse e prendesse nelle sue mani la sorte del popolo. Questa ribellione della nazione nella convinzione che il Messia sarebbe dovuto venire è stata la causa della distruzione di Gerusalemme.

Gesù aveva detto: «La pietra che gli edificatori hanno riprovata è quella che è diventata la pietra angolare. Chiunque cadrà su quella pietra sarà sfracellato; ed ella stritolerà colui sul quale cadrà». Gesù, piangendo su Gerusalemme, annuncerà: «Affinché venga su voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia... Io vi dico in verità che tutte queste cose verranno su questa generazione... Ecco la vostra casa sta per essere lasciata deserta».[40]



[1] Galati 4:4,5.

[2] CULLMANN Oscar, Christ et le temps, Neuchâtel 1966, p. 57.

[3] Di Adelio Pellegrini, tratta dal libro “Quando la profezia diventa storia”

[4] Daniele 8:13,14. Per la sua spiegazione vedere il nostro Capitolo XI, pp. 440-454, e Capitolo XIII, pp. 514-533.

[5] Daniele 8:17,19,25, vedere 2:34.

[6] Daniele 8:17,27.

[7] CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, Tournai 1900, testo e nota.

[8] Isaia 35:59-61.

[9] Isaia 13; 44:28-45.

[10] Daniele 9:21-23.

[11] LITCH Josiah, Prophetical Expositions, t. I, Boston 1842, p. 132.

BARNES Albert, Notes on the Book of Daniel, t. II, Edimburg 1853, p. 148 ha pensato a quanto presentato nel capitolo 9. Ma questo capitolo non riporta una visione, c’è un messaggio di Dio tramite l’angelo Gabriele. Nel capitolo 9 «non si tratta propriamente parlando di una visione» fa notare Giuseppe BERNINI, Daniele, 1976, p. 11. Il capitolo 9 «Non è propriamente parlando una visione; è una rivelazione che raggiunge il suo culmine nella difficile profezia delle 70 settimane» Gilberto GALBIATI, Il Libro di Daniele, Roma 1969, p. 87. Vedere Abraham Bar Hiyya Hanasi, 1967, p. 148. Il capitolo 9 presenta «l’inizio, della visione di 8:16» S.R. DRIVER, Daniel, 1936, p. 153.

PLOEGER, Das Buch Daniel, 1965, p. 129, ha mostrato che la parola mar’eh (visione), impiegata in 9:23, richiama la stessa parola impiegata in 8:16. La stessa precisazione la si trova in BENTZEN, Das Buch Daniel, 2a ed., Tübingen 1952, p. 66 e presso altri commentatori.

Il prof. William H. SHEA così spiega: «Quando Gabriele si avvicina a Daniele (9 :23) lo esorta in questi termini : “Sii attento alla parola (che ti trasmetto in questo momento) e comprendi la visione (che tu hai visto in precedenza)”. L’angelo rinvia il profeta alla visione del capitolo 8, e ciò in un modo estremamente preciso. La parola tradotta per “visione” è mar’eh, che si riferisce in particolare all’“apparizione” di certi esseri. Questo termine contrasta con la parola hazôn, utilizzato per le visioni simboliche nel libro di Daniele. Questa distinzione l’abbiamo in Daniele 8:26, in cui l’angelo dà l’assicurazione al profeta che la visione (mar’eh) delle sere e delle mattine è vera, ed invita Daniele a tenere segreta questa visione (hazôn). Il primo termine si riferisce all’apparizione degli esseri angelici del versetto 13 e 14 (dove si presentano i 2300 giorni); il secondo si applica all’insieme della visione simbolica dal versetto 2 a 12. Se esaminiamo le parole di Gabriele in Daniele 9:23, costatiamo che esse rinviano Daniele non alla visione simbolica del capitolo 8 in generale, ma all’apparizione (mar’eh) dei due personaggi celesti dei versetti 13 e 14. Siccome la dichiarazione di Gabriele che segue si riferisce al periodo profetico delle 70 settimane, questo è messo in relazione diretta con i 2300 giorni dall’impiego di questo vocabolo tecnico» Daniel 9:24-27, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Seminaire Adventiste du Salève, Collonges sous Salève 1982, pp. 288,289.

[12] Daniele 9:21.

[13] Daniele 8:16.

[14] MONTAGUE George, The Times of Daniel, London 1845, p. 393. Vedere BLISS Sylvester, Memoirs of W. Miller, ed. 1853, pp. 156-166. Vedere BERICK F.H., The Grand Crisis, p. 96; P. de BENOIT, Le Prophéte Daniel, 1941, p. 63.

[15] WOOD Hans, The Revelation of s. John, London 1787, p. 384.

[16] VIDAL G., La prophétie des semaines, Alger 1947, p. 70.

[17] DENNEFELD Ludwig, Les grands Prophètes, in La Sainte Bible, vol. VIII, ed. Pirot, Paris, p. 689.

[18] RINALDI Giovanni C.R.S., La Sacra Bibbia - Daniele, ed. Marietti, Torino 1962, pp. 123,126,127.

[19] Per tradurre questo verbo sono state usate molte varianti (la radice è chatchak) come «determinate» oppure «deliberate», il significato basilare dello stesso è «isolare», ed è così che la maggior parte dei dizionari di ebraico lo definiscono. Purtroppo questa parola non compare in alcuna altra parte della Bibbia e questo non ci permette di vedere eventuali altri modi di utilizzo. In ugaritico, una lingua simile all’ebraico, gli studiosi hanno scoperto che il sinonimo di chatchak significa anch’esso «isolare». Possiamo allora riformulare il significato essenziale della frase biblica: «70 settimane sono state isolate». Isolate da che cosa, se non da un’altra profezia temporale? E da quale altra profezia? Non può che trattarsi della visione (mareh) dei 2.300 giorni di Daniele 8:14, alla quale ha fatto riferimento Gabriele, che indica un periodo più lungo.

[20] E. RENAN citato da V. MESSORI, Ipotesi su Gesù, Sei editrice, Torino, 2001, p. 75.

[21] V. MESSORI, Ipotesi su Gesù, Editrice Sei, Torino, 2001, p. 75.

[22] Per uno studio dettagliato di questa profezia, leggere «The Seventy Weeks of Daniel 9: An Exegetical Study», in The Sanctuary and the Atonement, pp. 252-276. Anche God Cares, pp. 189-257. Antonio Caracciolo, Capire Daniele, Edizioni ADV snc - Falciani - Impruneta - FI

[23] «Ma ricordandosi del patto fatto con i Patriarchi, Egli (Dio) lascerà un resto in Israele... e ai tempi della collera, 490 anni dopo, che erano stati dati nelle mani di Nebucadnetzar, re di Babilonia, egli li visiterà. e susciterà loro un maestro di giustizia, per condurli nella via cara al suo cuore e per fare conoscere alla generazione, quel che farà nell’ultima generazione». (Scritto di Damasco, «l’esortazione». Manoscritto A, 1: 4-11; cf. A Dupont Sommer, Les Ecrits Esséniens découvert prés de la mer Morte, p. 137).

[24] Per ulteriore approfondimento, nello stesso sito leggi lo studio: “L’equivalenza giorni – anni”

[25] Versetto 26 - il termine «Unto - ebr. masah, gr. Chrisma», «Messia - ebr. masiah» o «Cristo - gr. Cristos», sono sinonimi.

[26] Vedere Ellen G. WHITE, Il gran conflitto, Edizioni ADV, Falciani, 2000, pp. 257,258.

[27] O. Cullman, Le retour de Christ, p. 13, Neuchatel, 1943

[28] Versetto 27. Cristo stabilirà nel mezzo di una settimana un’alleanza grazie al suo sacrificio (Luca 22: 20). Egli «farà cessare sacrifico e oblazione...» - Matteo 27: 50 - 52

[29] Matteo 24:34.

[30] Isaia 10:5.

[31] Geremia 51:20.

[32] J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 983.

[33] Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, VI.

[34] Matteo 21:42,44.

[35] J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 980.

[36] Matteo 22:7.

[37] Geremia 2:19; 5:25; 6:19;7:19.

[38] Ebrard, cit. K. Auberlen, o.c., p. 132.

[39] Matteo 23:37,38.

[40] Luca 20:16-18; Matteo 23:35,36.