05. La natura dell’uomo e della morte

05. La natura dell’uomo e della morte

Secondo il comune credere di antichi e nuovi orientamenti religiosi, l'uomo è costituito da due elementi: il corpo, elemento transitorio destinato a ricevere l'anima e l'anima, sostanza semplice, indivisibile, immateriale, fuori del tempo e dello spazio, dunque spirituale, incorruttibile, immortale.

Questo concetto dualistico classico della natura umana ha enormi implicazioni dottrinali e cultuali.  Un gran numero di insegnamenti derivano o dipendono grandemente da questo. Per esempio, la convinzione che al momento della morte l’anima possa trasmigrare nel paradiso, nell’inferno o nel purgatorio riposa sul presupposto che l’anima sia immortale per natura e che abbia una sua vita autonoma. Cosi anche la venerazione e la mediazione di Maria e dei santi. La trasmigrazione delle anime o metempsicosi, tipico insegnamento delle religioni orientali (Induismo, Buddismo, ecc.) e la preesistenza dell’anima prima della nascita, ecc.

Se, però, l’anima non sopravvive e non può esistere separata dal corpo, allora tutto l’insegnamento sopra espresso può essere considerato come una aggiunta ecclesiastica o fluito da esperienze cultuali ancestrali, mitologiche.

Che cosa significa morire? La morte è la separazione dell’anima immortale dal corpo mortale? Oppure è la cessazione dell’esistenza dell’intera persona, corpo e anima? In che modo la Parola di Dio ci aiuta a comprendere la natura dell’uomo e della morte?

In questa finestra Web rispondiamo a queste e a tante altre domande relative alla morte e al significato di alcune espressioni bibliche che possono indurre a equivocare il senso della natura della morte, della relazione con Dio e della redenzione.

Chi è l’uomo?

Risposta

La più importante affermazione biblica per capire la natura umana si trova in Genesi 1:27: “E Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”.

Questa dichiarazione è di fondamentale importanza per la formulazione di un’antropologia biblica. Gli esseri umani sono degli esseri creati. In altre parole, noi siamo parte integrante del mondo creato. Ciò significa, in primo luogo, che abbiamo avuto un inizio. Non siamo, quindi, eterni e non apparteniamo al divino. Il nostro modo di esistere è essenzialmente differente da quello di Dio: Egli è sempre esistito; noi siamo venuti all’esistenza. Il nostro ruolo nel cuore dell’universo è quello di esseri creati.

In secondo luogo, gli esseri umani sono esseri limitati. La nostra esistenza è paragonabile a un prestito, quindi non è sufficiente a se stessa. Noi non siamo degli esseri indipendenti capaci di produrre energia propria in grado di garantire l’esistenza. Di conseguenza, come un giorno siamo venuti al mondo dal nulla, così possiamo tornare al nulla. Insomma, possiamo smettere di esistere.

Tuttavia, benché la nostra vita ci sfugga, siamo chiamati a collaborare con il Creatore per preservarla: siamo degli amministratori della nostra vita.

In terzo luogo, considerare gli esseri umani come creature significa che essi esistono nel tempo e nello spazio. Questi due elementi sono menzionati nel racconto della creazione. Adamo ed Eva furono creati nel sesto giorno, durante una frazione particolare del tempo (Genesi 1: 24-25, 31). Pertanto noi siamo condizionati dal tempo. Adamo ed Eva sono venuti all’esistenza in un luogo particolare: il giardino d’Eden. Lo spazio costituisce la totalità del mondo creato. Il loro ambiente era la flora, la fauna e l’universo intero. Se lo spazio dove noi viviamo è distrutto, la nostra esistenza è in pericolo (Genesi 2:8 -15). La corretta gestione del mondo creato è dunque di importanza vitale.

Infine, essere creature significa che non siamo il risultato di forze impersonali che agiscono nel cuore dell’universo, ma che siamo il frutto di un atto d’amore. La nostra esistenza è una manifestazione dell’amore disinteressato di Dio, un atto della sua grazia. L’Onnipotente ci ha creati perché, nel suo amore, ha visto che ciò era molto buono. L’amore di Dio, la sua grazia e la sua libertà hanno dato vita a un essere intelligente, che era ed è una parte del mondo creato e quindi differente dal suo Creatore. Questa creatura è capace di apprezzare tale amore e di ricambiarlo.

«Quand'io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? l figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore. Tu lo hai fatto dominare sulle opere delle tue mani, hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi: pecore e buoi tutti quanti e anche le bestie selvatiche della campagna;  gli uccelli del cielo e i pesci del mare, tutto quel che percorre i sentieri dei mari. O SIGNORE, Signore nostro, quant'è magnifico il tuo nome in tutta la terra!» (Salmo 8: 3 -9).

Quale insegnamento possiamo trarre circa la natura umana in Genesi 2: 7

Risposta

Non deve sorprendere che questo testo costituisca il fondamento per la riflessione concernente la natura umana. Esso è, dopo tutto, l’unico racconto biblico che informi su come Dio abbia creato l’uomo. Il testo dice: «E il Signore Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra, e gli alitò nelle narici un fiato vitale; e l’uomo fu fatto anima vivente» (Diodati). La nuova Riveduta molto più correttamente traduce: «Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un essere vivente».

Storicamente, questo testo è stato letto attraverso le lenti del dualismo classico. È stato dato per scontato che l’alito di vita che Dio ha soffiato nelle narici dell’uomo fosse un’anima immateriale e immortale immessa da Dio nel corpo materiale. Alla luce di questa interpretazione, si sostiene che come la vita terrena ebbe inizio con l’innesto di un’anima immortale in un corpo fisico, così la fine avverrà quando l’anima lascerà il corpo. Ciò che ha portato a questa errata e mistificante interpretazione va ricercato nel fatto che la parola ebraica nefesh, tradotta «anima» in Genesi 2:7, è stata intesa secondo la definizione tratta dal dizionario della lingua italiana: «Principio immateriale della vita dell’uomo contrapposta al corpo e tradizionalmente ritenuta immortale o addirittura partecipe del divino» o, ancora: «Principio spirituale incarnato in esseri umani» (G. DEVOTO E G.C. OLI, Nuovo vocabolario illustrato della lingua italiana, Selezione dal Reader’s Digest, vol. 1, Milano, 1987 p. 139. Webster’s New Collegiate Dictionary, 1974, voce: «Soul»).

Questa definizione riflette la concezione platonica dell’anima come essenza immateriale e immortale aggiunta al corpo, benché non ne faccia parte. Purtroppo per molti questo presupposto costituisce la chiave di lettura dell’Antico Testamento e si comprende nefesh alla luce del dualismo platonico anziché del concetto biblico dell’uomo. Come dice Claude Tresmontant: «Applicando all’ebraico nefesh (anima) le caratteristiche della psyche (anima) platonica, ... facciamo sì che il vero significato di nefesh (anima) ci sfugga e, inoltre, rimaniamo con innumerevoli falsi problemi» (C. TRESMONTANT, A Study in Hebrew Thought, New York, 1960, p. 94. È il migliore studio per comprendere la differenza tra il pensiero ebraico e quello greco. Titolo originale Essai sur la pensée hébraïque, Paris, Cerf, 1962, p. 97).

1. Von Rad, chiarisce il pensiero sostenendo che il termine «nefesh», tradotto impropriamente per anima: «indica ciò che costituisce un corpo essere vivente, animale o uomo... Se nefesh viene reso con psyche, quest’ultima designa la «vitalità dell’uomo nel senso più largo» o semplicemente l’essere umano vivente». (G. Von Rad, Teologia A.T., 1, 1972, cit. nel Dizionario dei concetti Biblici del N.T. p. 114).

L'antropologia ebraica è caratterizzata dall'assenza del dualismo anima corpo. In ebraico, l'anima è l'uomo nella sua interezza. Non è possibile affermare che l'uomo abbia un'anima, ma piuttosto che egli è un'anima o un essere vivente. Nefesh in Genesi 2: 7 indica il complesso di tutta la personalità, dell’individualità dell’uomo. Perciò anima può equivalere a io stesso, tu stesso. Le distinzioni presenti nella Bibbia fra anima, spirito, corpo, carne, soffio esprimono, nella cultura del tempo, le varie manifestazioni dell’esistenza.

Secondo la Parola di Dio, la nefesh (anima) può avere fame (Salmo 107:9), oppure sete (Salmo 143:6), essere soddisfatta (Genesi 31:14), mangiare bene (Isaia 55:2). La nefesh può anche amare (Genesi 34:3; Cantico dei Cantici 1:7), commuoversi (Salmo 31:10), gridare (Salmo 116:4; 119:10), conoscere (Salmo 139:14), essere saggia (Proverbi 3:22), adorare e lodare Dio (Salmo 103:1; 146:1).

Poiché tu non abbandonerai l'anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione” (Salmo 16:10). “Ecco, tutte le vite (anime, ebr. Nefesh) sono mie; è mia tanto la vita del padre quanto quella del figlio; chi pecca morirà” (Ezechiele 18:4). “La persona (anima, ebr. Nefesh) che pecca è quella che morirà, il figlio non pagherà per l'iniquità del padre, e il padre non pagherà per l'iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà sul giusto, l'empietà dell'empio sarà sull'empio” (Ezechiele 18:20).

Commentando Genesi 2:7, Hans Walter Wolff si chiede: «Che cosa significa in questo caso nefesh (anima)? Certamente non anima nel senso tradizionale dualistico. Nefesh dev’essere visto insieme con tutta la forma dell’uomo, e specialmente con il suo alito; inoltre, l’uomo non ha nefesh (anima), egli stesso è nefesh (anima), e vive come nefesh (anima)». (H. W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, (trad. E. Buli), Brescia, Queriniana, 1975, p. 18).

In breve, l’uomo è un’unità «psicosomatica», egli non ha un’anima, ma è un’anima o un essere vivente. Nefesf è l’uomo nella sua totalità.

Approfondimento

  • Il termine Nefesh nell’Antico Testamento

Qual è il significato della parola psyche nel Nuovo Testamento?

Risposta

L’anima, psyche nel Nuovo Testamento indica l’intera persona nello stesso modo in cui nefesh la indica  nell’Antico Testamento. Per esempio, nella sua difesa davanti al Sinedrio, Stefano menziona che «settantacinque anime (psyche)» della famiglia di Giacobbe scesero in Egitto (At 7:14), figura e usanza, queste, presenti nell’Antico Testamento (cfr. Gn 46:26, 27; Es 1:5; Dt 10:22). Nel giorno della Pentecoste, «tremila anime (psyche)» (Atti 2:41) furono battezzate e «ogni anima (psyche)» era presa da timore (At 2:43). Parlando della famiglia di Noè, Pietro dice «otto anime (psyche) furono salvate attraverso l’acqua» (1Pt 3:20).

È evidente in testi come questi, che il termine anima è usato come sinonimo di persona. In questo contesto, merita considerare la nota promessa di Cristo del riposo per le «anime» di coloro che accettano il suo giogo (Mt 11:28). L’espressione «riposo per le vostre anime» deriva da Geremia 6:16, in cui il riposo per l’anima è promesso a quanti camminano secondo i comandamenti di Dio. Circa il riposo che Cristo offre all’anima, Edward Schweitzer dice: «siamo assai lontani dalla mentalità greca, secondo la quale l’anima trova riposo quando è liberata dal corpo. Qui è mantenuta ferma l’unità e la totalità dell’uomo. Proprio nel suo corporeo agire in ubbidienza l’uomo troverà il riposo in Dio». (E. SCHWEITZER, voce «Psyche» in G. KITTEL, G. FRIEDRICH, Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia, 1988, vol. XV, col. 1247.)

Cristo dà riposo (pace interiore e armonia) alle anime di quanti accettano la sua grazia e la sua salvezza («venite a me») e vivono secondo i principi di vita che egli ha insegnato e vissuto («imparate da me»).

Approfondimento

  • Psyche nel Nuovo Testamento

Che cosa insegna la bibbia circa lo stato dei morti?

Risposta

Le Sacre Scritture insegnano che l’anima non ha un’esistenza cosciente separata dal corpo, e nessun testo biblico specifica che alla morte l’anima sopravvive come un’entità cosciente. Infatti, «l’anima [cioè la persona] che pecca, è quella che morirà» (Ez 18:20; cfr. Gn 2:7; Sal 146: 4; Gn 3:19).

In considerazione di questo breve riepilogo sulla natura dell’uomo, secondo la Parola di Dio «la morte è un sonno». La morte non è un annientamento definitivo; è solo uno stato di incoscienza temporaneo in attesa della risurrezione. La Bibbia paragona ripetutamente questo stato intermedio a un «sonno».  Riferendosi ai morti, l’Antico Testamento descrive Davide, Salomone e altri re d’Israele e di Giuda, come addormentati insieme ai loro antenati (1 Re 2:10; 11:43; 14:20,31; 15:8; 2 Cr 21:1; 26:23; ecc.). Giobbe chiama la morte un sonno (Gb 14:10-12); così fanno Davide (Sal 13:3), Geremia (Ger 51:39,57) e Daniele (Dn 12:2).

Il Nuovo Testamento usa la stessa immagine. Nel descrivere la condizione della figlia di Iairo che è morta, Cristo dice che sta dormendo (Mt 9:24; Mc 5:39). Egli si riferisce in maniera simile a Lazzaro deceduto (Gv 11:11-14). Matteo scrive che molti santi addormentati risuscitarono prima della risurrezione di Cristo (Mt 27:52); e nel riportare l’esperienza del martirio di Stefano, Luca scrive che «si addormentò» (At 7:60). Paolo e Pietro paragonano la morte a un sonno (1 Cor 15:51, 52; 1 Ts 4:13-17; 2 Pt 3:4).

La concezione biblica della morte in quanto sonno corrisponde bene a quello che è veramente, come lo dimostrano i seguenti paragoni: a) coloro che dormono sono incoscienti: «i morti non sanno nulla» (Ec 9:5); b) nel sonno, il pensiero cessa: «Il suo fiato se ne va… in quel giorno periscono i suoi progetti » (Sal 146:4); c) il sonno segna la fine di tutte le attività del giorno: «Poiché nel soggiorno dei morti… non c’è più lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza» (Ec 9:10); d) il sonno ci separa da coloro che sono svegli e dalle loro attività: «Essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole» (v. 6); e) il sonno spegne ogni emozione: «Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono… periti» (v. 6); f) nel sonno gli uomini non possono lodare Dio: «Non sono i morti che lodano il Signore» (Sal 115:17); g) il sonno presuppone un risveglio: «L’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori» (Gv 5:28,29).

Nei due grandi capitoli sulla risurrezione in 1 Tessalonicesi 4 e in 1 Corinzi 15, Paolo parla ripetutamente di coloro che si sono «addormentati» in Cristo (cfr. 1 Ts 4:13,14,15; 1 Cor 15:6,18,20). Uno sguardo a certe sue affermazioni fa luce su ciò che Paolo intendesse affermare quando ha paragonato la morte al sonno. Scrivendo ai Tessalonicesi, che facevano cordoglio per i loro cari che si erano addormentati prima di sperimentare la venuta di Cristo, Paolo li rassicura che, come Dio ha risuscitato Gesù dai morti, così, mediante Cristo, «ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati» (1 Ts 4:14).

Approfondimento:

  • Lo stato dei morti nell’Antico Testamento
  • Lo stato dei morti nel Nuovo Testamento

Nella Bibbia ci sono diverse parole, espressioni e racconti, come ad esempio la parabola del “ricco e Lazzaro” (Luca 16: 19-31), che inducono a credere nell’immortalità dell’anima e all’inferno. Come comprendere questi racconti e terminologie alla luce di quanto espresso nelle precedenti risposte?

Risposta

Il testo è solo un racconto, una parabola che Gesù presenta per trarre un insegnamento esistenziale e spirituale. Di simili parabole Gesù ne ha raccontate molte. Esse sono degli esempi che Gesù ha utilizzato per evidenziare il parallelismo con il regno del Padre (Matteo 13).

Ora, trattandosi di una parabola, di un racconto allegorico, è importante cogliere l’insegnamento centrale, evitando di prendere alla lettera i gesti o i personaggi allegorici. Ad esempio, quando Gesù raccontò la parabola del seminatore, non intendeva certo dare lezioni in agraria e con la parabola del lievito non voleva insegnare a fare il pane. Così pure, nella similitudine del ricco e del povero, era ben lungi dal volere parlare delle condizioni dell’uomo dopo la morte. Stiamo dunque ben attenti a non interpretare le parole di Gesù diversamente da come sono state espresse.

Nella Parabola del Ricco e Lazzaro, Gesù fa presente ai farisei che senza la conversione tutte le ricchezze del mondo non servono a nulla per la salvezza. Non si può comprare il Regno dei Cieli. Nei versetti 27-31, Gesù precisa che i Farisei sono ciechi riguardo alla parola di Dio e talmente impenitenti che «…non crederebbero neanche se alcuno risuscitasse dai morti». E proprio questo avvenne poco tempo dopo, quando Lazzaro, fratello di Marta, risorse (Giovanni cap. 11). Questo miracolo irritò in modo tale i farisei, che decisero di far morire Gesù e Lazzaro (Giovanni 11: 52; 12:10). E cosa cambiò nella loro vita, dopo la resurrezione dello stesso Cristo? Con menzogne cercarono di nascondere la verità (Matteo 28: 11-25).

«Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse» (Luca 16:31). In altre parole, gli israeliti avevano tutto quanto era loro utile per ravvedersi, avevano la Parola di Dio annunciata da Mosè e dai profeti. I segni, le opere potenti e perfino la risurrezione di una persona, non conducono alla conversione coloro che sono avvezzi nei piaceri e nella loro opposizione a Dio.

In breve, in questa parabola Gesù ha utilizzato un racconto popolare, non certo per dargli la sua approvazione quanto piuttosto per imprimere nelle menti dei suoi ascoltatori un’importante lezione spirituale. Merita qui sottolineare che anche nella parabola precedente del fattore infedele (Lc 16:1,12), Gesù si serve di un racconto che non rappresenta l’etica biblica. Da nessuna parte la Bibbia approva l’operato di un amministratore disonesto che dimezzi i debiti arretrati dei creditori per ottenere un beneficio personale. La lezione della parabola può essere un invito a farsi degli amici per se stessi (Lc 16:9) e non certamente a imbrogliare negli affari.

John W. Cooper riconosce che la parabola dell’uomo ricco e di Lazzaro «non dice necessariamente ciò che Gesù o Luca credevano circa la vita ultraterrena, né fornisce una base per la dottrina sullo stato intermedio. Gesù ha usato un’immagine comune semplicemente per comunicare meglio il suo insegnamento etico. Non vuol dire che egli condividesse questo racconto né che credesse nel suo contenuto». (J.W. COOPER, Body; soul, and Life Everlasting: Biblical Anthropology and the Monism-Dualism Debate, Grand Rapids, p. 139).

Cooper pone la domanda: «Che cosa dice questo episodio circa lo stato intermedio?». Risponde nettamente e onestamente in questo modo: «La risposta è niente. La causa dualista non può appoggiarsi a questo brano per sostenere la sua tesi». Ibidem.

Non si devono mai trarre conclusioni dogmatiche da una parabola, pertanto facciamo tesoro degli insegnamenti di questa parabola, e ricordiamoci che la salvezza è esclusivamente e intimamente legata all’atteggiamento che assumiamo, nel nostro tempo, nei confronti di Gesù Cristo e della Parola di Dio.

Approfondimento

  • Il ricco e Lazzaro

Esiste l’inferno?

Risposta

Per tre fondamentali motivi, la Parola di Dio non autorizza a credere all’esistenza di un inferno di pene eterne e del purgatorio.

1. Il concetto di inferno è fortemente dipendente dalla visione dualistica della natura umana che ammette la sopravvivenza eterna dell’anima sia nella beatitudine celeste sia nel tormento. È evidente che questo dogma sia estraneo all’uomo biblico che è indivisibile e completo, dove la morte indica la cessazione di vita per la persona nel suo insieme. Adamo, all'alba dell'umanità, non fu minacciato di sofferenze eterne, ma di ritorno alla non esistenza: «Il giorno che ne mangerai per certo morrai», disse Dio ad Adamo, e dopo il peccato aggiunse: «Mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra donde fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai» (Genesi 2: 17; 3: 19).

2. L’inferno secondo la tradizione si basa su un’interpretazione letterale delle immagini simboliche come la geenna, lo stagno di fuoco e la morte seconda. Tali immagini non possono essere interpretate letteralmente perché, sono descrizioni metaforiche della distruzione totale del male e degli empi. Per esempio, in italiano usiamo l'espressione "tagliare la corda" che non ha niente a che fare con una corda letterale, ma vuol dire tutt'altra cosa: fuggire. Oppure, diciamo "darsi la zappa sui piedi", anche se questo non c'entra proprio con la zappa dei contadini. Ci sono centinaia di espressioni idiomatiche come queste, e alcune sono reperibili anche nella Bibbia. Per esempio in ebraico, come in italiano, "mangiare la polvere" significa essere umiliato da qualcuno ("Ti farò mangiare la polvere!") e questa espressione la troviamo usata in Genesi 3: 14 dove Dio dice che il serpente "mangerà la polvere" per tutta la vita, anche se, è ovvio, i serpenti non si nutrono di polvere letteralmente! Sarebbe sbagliato interpretare la frase "mangiare la polvere" in modo letterale.

Sfortunatamente, molti fanno un errore simile quando interpretano i testi biblici che parlano della punizione dei malvagi. Per capirci meglio, i termini ebraici e greci equivalenti alle parole italiane "eterno", "in perpetuo", "nei secoli dei secoli", non implicano sempre qualcosa che non ha mai fine. Per esempio, "salvezza eterna" (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare qualcuno; "giudizio eterno" (Ebrei 6: 2) non significa un giudizio che non finisce mai; il processo dell'azione finisce, ma il risultato rimane in eterno! Il termine "peccato eterno" (Marco 3: 29) non designa un peccato che non si arresta mai, ma piuttosto un peccato con conseguenze eterne. Allo stesso modo "punizione eterna" (Matteo 25: 46) non significa una punizione che dura in eterno, come anche l’espressione "distruzione eterna" (2 Tessalonicesi 1: 9) non significa una distruzione senza fine. Non è l'atto, ma il risultato che è senza fine.

3. Il pensiero che il Dio della Bibbia, che è misericordia e giustizia, possa infliggere un castigo eterno per i peccati commessi nello spazio di una vita, che per quanto lunga è comunque brevissima rispetto all’eternità, è un pensiero che non offre una spiegazione ragionevole. La dottrina del tormento eterno in uno stato di coscienza è decisamente incompatibile con la rivelazione biblica dell’amore e della giustizia divini.

Com'è nata allora questa dottrina nell'ambito del Cristianesimo? È unanimemente riconosciuto da studiosi appartenenti a tutte le Confessioni religiose, che le più eminenti figure del Cristianesimo, tra il II e il V secolo (Origene su tutti), impregnate di cultura greca hanno lentamente fatto sempre di più una lettura greca della Bibbia, trasferendo ai suoi termini categorie a essa ignote.

Il soggiorno dei morti è diventato il Tartaro greco; l'anima, dimensione dell'uomo, è divenuta un elemento. Molti generi letterari simbolici hanno assunto un valore letterale. L'esempio più classico è la lettura della parabola del ricco e Lazzaro, contenuta in Luca 16: 19-31. Questa parabola è una storiella ebraica presente nella favolistica dell'epoca che Gesù racconta per trarne un insegnamento (Cfr. I.H. Marshall, Commentary on Luke, Grand Rapids, Michigan 1978, p.633). Per secoli, invece, è stata utilizzata per descrivere l'inferno.

Nota:

La risposta è stata tratta da uno studio di Rolando Rizzo “Da silenzio all’inferno” tratto nel libro “Dal Cristianesimo al Cattolicesimo, ed. ADV, Firenze e dal libro di S. Bacchiocchi “Immortalità e risurrezione”, ed. AdV, Firenze, 2004

Approfondimento

  • Il fuoco eterno nella Bibbia
  • Le metafore dell’inferno
  • Il destino dell’uomo in Apocalisse

Oltre alla parabola del ricco e Lazzaro, ci sono dei testi biblici che possono indurci erroneamente a credere nell’immortalità dell’anima?

Risposta

Taluni testi biblici, estrapolandoli dal loro contesto, non considerando il genere letterario e una sana esegesi biblica, possono di fatto indurci a credere nell’immortalità dell’anima. Fra i tanti, ad esempio, il testo di Matteo 10:20: «E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna».

Questo testo non serve per provare l’immortalità dell’anima, poiché la seconda parte del versetto dice: “temete piuttosto colui che può far perire e l’anima e il corpo nella geenna” (Mt. 10: 28). L’insegnamento di Gesù qui è che gli uomini possono solo mettere in pericolo alla nostra vita attuale, ma non quella spirituale, o la nostra relazione con Dio. Dio tiene nelle sue mani la nostra vita eterna (Giovanni 10:28). Infatti, al ritorno di Cristo i credenti risusciteranno con un corpo incorruttibile, nel senso che Dio ricostruirà l’integrità del nostro essere nella resurrezione, ma con un corpo glorioso, non più soggetto alla malattia, alla sofferenza e alla morte (1Corinzi 15: 51-54).

Edward William Fudge osserva giustamente che «L’avvertimento di nostro Signore è chiaro: la capacità dell’uomo di togliere la vita si limita al corpo e solo nel tempo presente. La morte che l’uomo infligge non è finale, perché Dio chiamerà i morti dalla terra e darà ai giusti l’immortalità. La capacità di Dio di uccidere e distruggere è senza limite, va ben oltre l’aspetto fisico e il presente. Dio può distruggere il corpo e l’anima, ora e nell’avvenire» (E.W. FUDGE, The Fire That Consumes, Houston, 1989, p. 177).

Un altro esempio, lo leggiamo in 1 Pietro 3:19-20. «E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l'acqua».

La frase, «E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere» non deve essere intesa come se il Cristo, dopo la sua morte, sia andato non si sa in quale posto - purgatorio o inferno - e in quale modo, per predicare l’Evangelo cercando di convertire gli antidiluviani. Questa lettura è impossibile per le seguenti ragioni:

  1. I morti dormono (Ecclesiaste 9:5-10; 1 Tessalonicesi 4:13-18).
  2. Gli antidiluviani sono morti con il diluvio, tornando a essere polvere (Genesi 3:19).
  3. Il termine «spiriti» (pneumati dal gr. «πνεύμα»; ebr. «rūah») significa vento, respiro, ed è riferito all’azione dello Spirito Santo (Giovanni 3:8, ecc.); agli spiriti impuri equivalente di demoni (Marco 1:26; 5:3-5; 9:17); allo spirito dell’uomo. E ciò non nel senso di una componente di un organismo psicologico articolato, quanto piuttosto «dell’io» con i suoi progetti (Romani 2:11), con i suoi sentimenti (1 Corinzi 16:18, ecc.), con la sua conoscenza o autocoscienza(1Corinzi 2:11). Nelle lettere di Paolo, spirito è essenzialmente l’opposto del concetto di carne (Romani 8:2-13; Galati 5:17), riferito all’io, precisamente al «carattere o alla persona».

Inoltre, l’apostolo Pietro, nella sua prima lettera, parla dell’opera dello Spirito di Cristo attraverso i profeti dell’Antico Testamento (1 Pietro 1:10,11). Gesù, il Creatore (Colossesi 1:16), ha guidato il suo popolo anche all’epoca di Noè e di Mosè (1 Corinzi 10:4).

Gli «spiriti in carcere» (prigionieri del peccato), al tempo di Noè, erano uomini, così come le “otto anime” salvate dalla distruzione del diluvio. Anche noi adoperiamo a volte i termini “grande anima”, “anima inquieta”, “anima tribolata”, e descriviamo con questi, diversi tipi e caratteri, e non anime immateriali che hanno abbandonato il corpo. L’Evangelo fu predicato agli uomini già prima del diluvio. Ma il loro cuore non si è lasciato condurre dallo Spirito di Dio, verso il bene: dal punto di vista spirituale erano “legati” al peccato. Per questa ragione sono chiamati “spiriti in carcere”. Con questa espressione, si intende la prigione del peccato.

La dottrina dell’immortalità dell’anima è in conflitto con la redenzione o altre dottrine della Bibbia?

Risposta

Il concetto dualistico classico della natura umana ha enormi implicazioni dottrinali. Un gran numero di dottrine derivano o dipendono grandemente da questo. Per esempio, la convinzione che al momento della morte l’anima possa trasmigrare nel paradiso, nell’inferno o nel purgatorio riposa sul presupposto che l’anima sia immortale per natura e che abbia una sua vita autonoma. Questo significa che, se l’immortalità innata dell’anima poggiasse su una concezione non biblica, allora la dottrina relativa all’aldilà, (paradiso, purgatorio e inferno), dovrebbe essere radicalmente modificata se non addirittura rifiutata. Dal dualismo antropologico dipende anche la mediazione di Maria e l’intercessione dei santi che nella chiesa cattolica e nelle chiese ortodosse hanno un posto rilevante. Se le anime dei santi sono in cielo, si potrebbe pensare che esista la loro intercessione a favore dei peccatori che si rivolgono a loro. La devozione mariana e il culto dei santi anche se scaturiscono da una pietà popolare molto sentita, sono in contrasto con l’insegnamento biblico.

Inoltre, il dualismo tradizionale ha contribuisce a svalutare la speranza dell’avvento, oscurare ed eclissare l’attesa del secondo avvento e incoraggiare idee erronee sul mondo futuro.

Approfondimento

  • Immortalità dell’anima: Conseguenze del dualismo antropologico

Come considerare le esperienze ai confini della morte note anche come NDE (sigla dell’espressione inglese Near Death Experience)?

Risposta

Le esperienze ai confini della morte, note anche come NDE (sigla dell’espressione inglese Near Death Experience), sono fenomeni descritti in genere da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo essere state dichiarate «clinicamente morte» o «prossime alla morte». Queste, una volta risvegliate o «tornate in vita», sostengono che durante la loro «irreversibilità clinica» hanno continuato ad avere la percezione di se stesse di ciò che stava accadendo intorno a loro e di aver vissuto l’esperienza del “tunnel della luce”.

La percezione di se stessi, in un contesto extra corporeo, fluisce dall’idea dell’immortalità dell’anima, quindi non è compatibile con l’insegnamento olistico della natura dell’uomo. Inoltre, nella Parola di Dio, non troviamo alcuna indicazione che ci autorizzi ad accettare tale indirizzo di fede.

Comunque, è importante evidenziare che, chi è stato dichiarato clinicamente morto e poi è tornato in vita, è probabile che non sia veramente morto. Inoltre, le dichiarazioni riguardanti il “tunnel della luce” o l’entrare in contatto con entità familiari o angeli, possono essere facilmente collocate nell’ambito delle interazioni “fantastiche”, tipiche di chi è sotto l’effetto di narcosi.

Il teologo Hans Kung, che ha studiato il problema in maniera esaustiva, ha fatto notare alcune somiglianze tra gli stati psichici di coloro che, dopo un coma, tornano in vita e i tossicodipendenti. Molte delle esperienze di persone “ritornate dall’aldilà” rassomigliano molto a quelle di individui colpiti da schizofrenia, isteria, suggestione, narcosi da LSD e da mescalina. Identiche sono anche le esperienze di orientamento, le percezioni sensibili visive, acustiche, tattili e di altro tipo e le sensazioni con riferimento al tempo e allo spazio. Le medesime emozioni le provano chi sostiene di viaggiare fuori dal proprio corpo.

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Risposta

La Scrittura afferma che l’uomo è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza (Genesi 1: 27; 2:7) e non lo considera né immortale né attribuisce immortalità all’anima. L’aggettivo “immortale”, che si trova una sola volta nella Bibbia, è attribuito a Dio: “Al Re eterno, immortale, invisibile, all’unico Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli” (1Timoteo 1:17). Il sostantivo “immortalità”, citato cinque volte, non è mai riferito alla condizione attuale dell’uomo. In 1 Timoteo, l’apostolo Paolo afferma chiaramente che “Dio solo possiede l’immortalità” (6:15,16).

Dio, dopo aver creato l’uomo, gli disse: “Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2:17). L’uomo, purtroppo, disobbedì andando incontro alla morte. Infatti, “Il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23).
L’uomo dunque muore, ovvero cessa di esistere, ritorna a essere polvere: “Mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (Genesi 3: 19).

La Scrittura afferma che i defunti scendono nel soggiorno dei morti, o sheôl-ades. La parola ebraica sheôl si trova sessantacinque volte nell’Antico Testamento, e il termine greco ades è menzionato undici volte nel Nuovo. I due termini sono equivalenti. Lo sheôl-ades indica il sepolcro, la tomba, il soggiorno dei morti.
“Così l’uomo giace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli, egli non si risveglierà né sarà più destato dal suo sonno” (Giobbe 14:12). Nel soggiorno dei morti non c’è nessuna attività. I morti non sanno nulla, sono incoscienti. Non sentono, non vedono, non soffrono e non godono. Dormono. Sulla base di quanto scritto dalla Bibbia, lo stato dei morti può riassumersi con queste cinque parole: silenzio, oblio, incoscienza, sonno, riposo. “Se il Signore non fosse stato il mio aiuto, a quest’ora l’anima mia abiterebbe il luogo del silenzio” (Salmo 94:17; 115: 17; Ecclesiaste 9: 5,6).

Se, tuttavia, il salario del peccato è la morte, “il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù” (Romani 6: 23). Gesù disse: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell’ultimo giorno. Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6:39,40). Quando Gesù ritornerà i morti in Cristo risusciteranno a riceveranno il dono della vita eterna (1Tessalonicesi 4: 13-18).

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